La Battaglia di Anghiari parte seconda.

Tra mito e storia, tra cronaca e leggenda, il mistero della “Battaglia di Anghiari” di Leonardo Da Vinci, è uno degli enigmi più impenetrabili di sempre: ha scatenato teorie e fantasie, ha generato dimostrazioni illusorie e smentite fittizie; per alcuni visionari è un tesoro da riportare alla luce, per gli scettici è l’ennesimo capitolo del romanzo dell’assurdo.

Ma dove risiede la verità?
Per arrivare a formulare una nostra teoria, dobbiamo innanzitutto partire dal presupposto principale, ovvero: si tratta di un’opera realmente esistita? Se sì, di che episodio guerresco stiamo parlando?
Definite e scolpite queste due colonne portanti, possiamo addentrarci nell’arcano e cercare di capire se ci siano possibilità effettive, che il capolavoro sia sopravvissuto, celato da un gioco di prestigio di Giorgio Vasari.
Le testimonianze sull’esistenza di un’opera eseguita da Leonardo Da Vinci all’interno del Salone dei 500, in corrispondenza della parete ovest, raffigurante un groviglio di soldati e cavalli, sono assolutamente inconfondibili.  

Registri contabili riguardanti la vita del maestro fiorentino, attestano l’acquisto di materiali per la realizzazione di un affresco speciale, che mantenesse una lucidità ed una brillantezza tipiche delle pitture murarie romane.
Ci sono inoltre le diverse copie sparse per il pianeta, schizzi più o meno elaborati che rappresentano un capolavoro di Leonardo, copiato nei viaggi a Firenze, di diversi artisti viventi ed operativi tra il 1505 ed il 1555.

Sono gli scritti dello stesso Vasari, storico dell’arte principale del Rinascimento, a certificare l’esistenza della colatura delle parti esterne di un’opera nel palazzo del governo, ed è proprio il Vasari che ci racconta che Cosimo I De’Medici lo aveva convocato per coprire l’affresco del Da Vinci e dipingere anche la parete antistante, riservata a Michelangelo durante la sfida iniziale. Non ci sono dunque dubbi sulla veridicità della Battaglia di Anghiari, ma per addentrarci ancora meglio nella selva oscura del mistero, è utile saperne di più anche sull’entità del confronto armato. 

Anghiari è un piccolo comune della provincia di Arezzo, un borgo medievale suggestivo che sorge su di una collina della Valtibertina.Siamo nel giugno del 1440 quando le truppe milanesi guidate dal comandante Nicolò Piccinino, affrontano una coalizione formata dai veneziani e alcuni reggimenti dello Stato Pontificio, sotto la guida della Repubblica di Firenze.La cinta muraria di Anghiari domina una valle ricca e rigogliosa, è inoltre uno strategico snodo viario per raggiungere Roma senza attraversare i passi dell’Appennino. 

I milanesi cercano l’effetto sorpresa ed attaccano la cittadina il 29 giugno, un momento decisamente particolare perché è il giorno di San Pietro e Paolo e, nei paesi che abbracciano la fede cristiana, non è permesso combattere. L’assalto improvviso però non produce buoni frutti, gli alleati, condotti dal gonfalone della repubblica fiorentina, accerchiano il nemico e lo costringono ad una resa quasi immediataSi dibatte molto ancora oggi sulla reale entità dello scontro, fu un cruento massacro ispirato dalla brutale follia come nel capolavoro leonardesco, oppure, come riportò in una delle sue cronache Niccolò Machiavelli, “non ci fu che un solo morto, peraltro accidentalmente caduto da cavallo?

Il Tevere che scorre sul campo di battaglia che fu, si macchiò col sangue dei milanesi, o fu solo il teatro dei sollazzi dei fiorentini festanti, perché i nemici si ritirarono come innocue pecorelle? Non abbiamo testimonianze utili ufficiali in tal senso, possiamo gestire la nostra curiosità cercando una via di mezzo. E’ probabile che Leonardo fosse chiamato ad esaltare la forza ed il coraggio dei suoi concittadini, visto che il dipinto gli era stato commissionato dal gonfaloniere; nello stesso tempo, Machiavelli, impegnato a riconquistare la fiducia dei Medici, forse gettava ombre su una delle vittorie della Repubblica che aveva allontanato la signoria, proprio in quegli anni. Il fatto è che il maestro Leonardo Da Vinci, al tocco delle tredici ore del 6 giugno 1505 si appresta a dare la prima pennellata sulla parete ovest del Salone dei 500.

Cinquant’anni dopo, Giorgio Vasari si trova di fronte a ciò che resta del capolavoro più sorprendente che avesse mai ammirato ed è costretto a celarlo per sempre. E’ precisamente questo l’istante in cui saliamo sulla macchina del tempo, viaggiamo nella mente di un uomo strabiliante, costretto a fare un torto alla ragione stessa che lo ha reso straordinario: Vasari deve cancellare un’opera d’arte miracolosa. 

Ed ecco che inizia l’incredibile partita a scacchi: mito contro realtàLa storia ci racconta che Giorgio Vasari coprì la pittura muraria di Leonardo realizzando scene epiche della battaglia di Marciano, successo della famiglia Medici, onorata e celebrata sui resti di un tributo alla Repubblica: prima mossa della realtà. Il primo provvedimento del Vasari, anche brillante architetto, è quello di rialzare il soffitto del Salone dei 500 di 7 metri. Ci sono dei lavori intensi nella sala, terminati i quali il dipinto di Leonardo non compare più.

Ed ecco che tocca al mito: durante i lavori il Vasari avrebbe fatto costruire uno stretto muro davanti a quello preesistente, poi affrescato: resta cioè una piccola intercapedine tra i due muri, ed il capolavoro di Leonardo è ancora lì.La partita si gioca su questo presupposto ed il mito sfodera una mossa fondamentale per lo sviluppo delle nostre indagini. Dicevamo che Giorgio Vasari è chiamato a rappresentare scene della battaglia di Marciano, sul suo affresco, in mezzo a centinaia di dardi verdi della Signoria dispiegati al vento, compare una strana bandiera, su di essa c’è una scritta bianca che dice così: “cerca trova”.

E adesso entra in scena anche la scienza: è stato analizzato al microscopio il pigmento del colore bianco della scritta e, confrontato con il resto del dipinto, coincide perfettamente, sono stati stesi nello stesso momento. Per cui è stato sicuramente Vasari a scriverlo: perché? La mano dei “realisti” muove la sua pedina affermando che “cerca trova” è un motto riconosciuto dell’esercito fiorentino di quel tempo, una frase comune, incisa su molte bandiere di Firenze all’epoca. 

Il mito risponde con delle domande: e perché Vasari l’avrebbe scritto soltanto su una di esse?Ma soprattutto, perché quella scritta, effettuata da un sublime pittore fanatico della prospettiva, non segue la piega della bandiera?L’uomo che ha disegnato e progettato il magnifico ed incredibile Corridoio Vasariano, ha sbagliato ad apporre una scritta su una bandiera? 

Secondo il mito la scritta indica precisamente il punto in cui indagare, il regalo supremo di un fiorentino eccelso alla curiosità intrinseca nell’animo della sua gente, un dono ai posteri:  “cercate! Troverete la scuola del mondo!” E se mito e realtà allora convergessero? E se davvero là dietro ci fosse qualcosa? C’è qualcuno che ha provato a dimostrarlo, o meglio che ha impiegato le energie di una vita, dedicandola interamente a questa incredibile scoperta.

 

L’ingegner Maurizio Seracini, in collaborazione con l’Opificio delle Pietre Dure, il programma televisivo Voyager e la compagnia National Geografic, hanno ottenuto il permesso di portare avanti delle indagini scientifiche sul campo.Le autorità italiane hanno concesso di effettuare dei sondaggi nei punti in cui la pittura del Vasari era maggiormente danneggiata, nei pressi della scritta “cerca trova” è stata riscontrata la presenza di un’intercapedine. Tramite minuscole sonde si è certificata la presenza di un secondo muro, su cui si vedono, chiaramente, tramite la riproduzione video delle sonde stesse, macchie di colore. 

Successivamente gli esperti hanno ottenuto la possibilità di analizzare dei pigmenti di colore riscontrati sul muro nascosto ed hanno rilevato tracce di sostanze decisamente indicative. Su un frammento del muro si nota la presenza di manganese mista a ferro, componenti tipici del colore nero usato da Leonardo Da Vinci

Ogni artista, infatti, elabora i propri colori con ingredienti scelti, a seconda del tono che vuole ottenere: la presenza di manganese e ferro, all’epoca era una caratteristica esclusiva leonardesca, riscontrata anche nel colore nero utilizzato per dipingere la “Gioconda” ed il “Giovanni Battista”.Con queste informazioni, la squadra di esperti, ha dichiarato praticamente certa la presenza di un dipinto del maestro fiorentino, dietro all’affresco del Vasari. 

Il mito ha vinto?
Purtroppo, probabilmente non lo sapremo mai. Il conservatorismo congenito delle autorità, non permette di andare oltre, non consente di distruggere il muro dipinto dal Vasari, in nome di una teoria, seppur praticamente dimostrata. Il sogno di riportare alla luce la scuola del mondo, s’infrange su leggi che possiamo giudicare giuste o meno, di certo c’è che a vincere non è stata la realtà, e neppure la leggenda.

Ha vinto il Vasari, antenato illustre di un popolo a cui ha trasmesso i geni della curiosità e della passione sfrenata per l’arte.Sapeva che avrebbe fatto breccia nel cuore dei fiorentini, assetati di conoscenza e di sapere, ingordi di bellezza e di magnificenza, proprio com’era lui.