Christine Garvey, “Working Objects” – Interazione tra corpo umano e tecnologia, in chiave onirica e grottesca

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Esposta fino al 9 dicembre alla galleria dell’università SACI di Firenze, la mostra “Working Objects” di Christine Garvey è un evento davvero da non perdere. Noi l’abbiamo visitata insieme all’artista newyorchese, per capirne di più:

Christine, come nasce questo progetto?

L’idea parte proprio dal mio periodo di studio qui a Firenze dove, grazie alla borsa Fullbright, ho avuto la possibilità di passare molto tempo nel museo della Specola e in quello Galileo. Sono rimasta affascinata dalla verosimiglianza dei modelli di cera, dai particolari anatomici: era un’epoca storica piena di scoperte scientifiche, innovazione, ricerca. Il modo in cui il microscopio permetteva di esplorare il mondo e di esplorarci, ha cambiato la nostra percezione della realtà e di noi stessi. Mi appassiona cercare di capire di più sull’interazione tra tecnologia e corpo umano e volevo esprimere tutto questo nelle mie opere.

Infatti nei tuoi quadri, ci sono chiari riferimenti anatomici (mani, bocche, occhi), ma anche richiami al mondo animale e vegetale. Perché?

Volevo inserire degli elementi che fossero immediatamente riconoscibili all’occhio dello spettatore: il manto maculato di un animale, un fiore variopinto, sono tutte forme che attraggono la vista. Inoltre, fanno da contrappeso ad altri tratti meno identificabili come organi o tessuti corporei inseriti all’interno della composizione, aumentando così il contrasto.

Proprio il contrasto sembra essere un aspetto molto presente nelle tue opere, è così?

Sì, per esempio nella scelta del colore. Tutte le opere sono molto colorate, vistose, oniriche con una predominanza di toni ‘zuccherosi’ come il verde menta e il rosa ciclamino. Ma, d’altra parte, ci sono anche colori scuri, gotici. L’aspetto buio del sogno. Questo crea una dissonanza a livello ottico che produce un effetto “disturbante” e inquietante: una ricerca del “grotesque” che gioca appunto sulle contraddizioni cromatiche.
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Senza dubbio, sono opere di forte impatto visivo: ci si sente come catturati dentro un mondo altro…Un microcosmo fantastico e esotico, leggermente illusorio e inquietante

È vero. Volevo trasmettere il senso di ansietà, di apprensione per la nostra condizione e per la nostra salute. Il senso di alienazione e spersonalizzazione del corpo: nelle composizioni ci sono delle immagini scannerizzate di parti di me, che però si fondono con il resto e quasi non si distinguono. Lo sguardo tecnologico si concentra sul particolare e non sulla visione di insieme. Da un qualsiasi referto medico, non riusciamo a riconoscerci anche se, ovviamente, siamo noi nel nostro strato più profondo.

Questo cosa significa?

Significa che, nonostante abbiamo sempre più informazioni, paradossalmente ci conosciamo e ci riconosciamo meno. E questo ci spaventa: ci fa capire quanto siamo fragili, deboli e vulnerabili. La terribile duplicità tra il desiderio di conoscere e la paura della scoperta.

Le tue opere trasmettono un messaggio profondo, ma dove hai trovato l’ispirazione per realizzarle?
Sono sempre stata attratta dal mistero del corpo umano e del suo funzionamento. Provengo da studi di tecniche di stampa ma volevo dare una tridimensionalità alle mie opere, per questo ho provato con il collage: c’è qualcosa di catartico nel tagliare e incollare immagini e nel riempire o creare, intenzionalmente, vuoti. Qualche volta sono sopraffatta dagli stimoli esterni e questo è per me un ottimo modo per riordinare i pensieri e fare delle scelte.
Christine Garvey

Dove trovi le immagini adatte?

Dappertutto: sui cartelloni pubblicitari, sulle riviste di moda, online. I corpi sono ovunque e siamo abituati a vedere così tante rappresentazioni al giorno che restarne davvero impressionati è quasi impossibile.

Non si può dire lo stesso delle tue opere: sono assolutamente impressionanti. Sei soddisfatta del tuo lavoro?

È strano ma direi di sì. Per me è stata una sorpresa sperimentare così tanto nella tecnica e nel colore.

Adesso cosa farai?

Per un po’ tornerò a New York e probabilmente mi dedicherò alle tecniche di stampa. Vorrei riportare tutto questo sulle due dimensioni. Poi forse tornerò in Italia o in un altro Paese, non so. Al momento dedico un po’ di tempo alla famiglia e agli amici, prima di cimentarmi in altri progetti.

Working Objects”, una mostra assolutamente da visitare.
Rita Barbieri