Dedalo, oltre i disturbi alimentari

Intervista al dottor Lorenzo Franchi, presidente dell’Associazione Dedalo e del centro omonimo che promuove, attraverso un approccio psicoanalitico, la prevenzione e la cura dei disordini alimentari.

Dedalo è il più grande architetto della storia d’Occidente: nella mitologia infatti, il protagonista entra nel famoso labirinto facendo fronte alle sue paure e, muovendosi all’interno dei suoi meandri illogici, arriva a trovare le soluzioni e le risposte adeguate anche a fronte di ostacoli non previsti né tantomeno immaginati.
Ecco perché, a Firenze, si è scelto proprio il nome Dedalo per designare un centro (parte anche della FIDA, Federazione Italiana Disturbi Alimentari) che promuove, attraverso un approccio psicoanalitico e un’equipe multidisciplinare, la prevenzione e la cura dei disordini alimentari e di tutti gli altri sintomi di ordine psicologico.
Abbiamo intervistato il dott. Lorenzo Franchi, presidente dell’associazione:
Dottore, il problema dei disturbi alimentari sembra essere ancora molto presente nella nostra società. È così? Chi sono i soggetti che ne soffrono di più?
Sicuramente è così. La società moderna e occidentale ha a che fare con questo fenomeno proprio a causa del suo benessere. Nei cosiddetti paesi del terzo mondo, dove il cibo scarseggia, il problema non esiste. Sembra assurdo ma ci ammaliamo proprio perché esiste un surplus, in termini di quantità e scelta, che ci permette di farlo. I soggetti a rischio continuano a essere le donne, ma in misura minore anche gli uomini.
Perché soprattutto le donne?
Intanto forse, semplicemente le donne ammettono più facilmente di avere un problema e sono generalmente più propense a iniziare un percorso terapeutico e psicoanalitico. Poi perché le donne, biologicamente e storicamente, a differenza degli uomini possiedono la capacità di nutrire. Il cibo è prima di tutto, nutrimento, anche se questo concetto apparentemente banale è stato completamente snaturato.
Perché?
Perché abbiamo caricato il cibo di significati completamente diversi da questo. Da un lato esiste una deriva ortoressica della società che ci porta ad avere una ossessione per la magrezza e per la salute ma dall’altro invece esiste una sorta di esasperazione, dove l’alimento diventa quasi un oggetto o perfino un sostituto sessuale.
In inglese esiste un termine, “foodporn”, intraducibile in italiano, utilizzato tra gli hashtag più frequenti su Instagram e altri social media.
Esatto, è espressione della relazione passionale verso il cibo: Lacan direbbe che il cibo è soddisfazione della pulsione e non del desiderio. Ci appaga sul momento ma continuiamo sempre a desiderarlo: non siamo mai totalmente soddisfatti. Il cibo è paragonabile quasi a uno stupefacente: ti fai una dose, ma subito dopo ne vuoi un’altra. In un circolo potenzialmente pericoloso.
Ma quando si inizia a parlare di veri disturbi alimentari? Quali sono i sintomi?
Quando, parafrasando ciò che dici, il cibo è solo sintomo visibile di un disagio più profondo e nascosto. Non è l’abbuffata una tantum o la dieta per perdere un po’ di peso a produrre la bulimia o l’anoressia. Purtroppo ci sono ben altri fattori.
Quali per esempio?
Intanto la tavola apparecchiata è, nella nostra tradizione, sinonimo di condivisione. Per questo, nella maggior parte dei casi, i problemi sono legati alla socialità del soggetto: la famiglia, il partner… Il cibo è scelto come sostituto metonimico di una relazione personale. Molto spesso il vero problema sta proprio nella dimensione affettiva: però è una verità troppo scomoda da ammettere per cui si ‘sceglie’ di manifestare il disagio in un altro modo.
Non mangiando o mangiando troppo?
Per esempio, ma le gamme sono davvero infinite. Si passa dalla demonizzazione di alcuni alimenti all’assunzione delle cose più strane.
Ma perché si sceglie questa e non un’altra forma?
Perché è ciò che abbiamo più sottomano. Ci alimentiamo sempre, almeno tre volte al giorno. Non possiamo vivere senza. Quindi è ciò che è meno complicato sottrarre, controllare o aumentare.
Ma come possiamo guarire? Le forme più gravi della malattia portano alla morte…
Questo è vero. Ma in molti casi guarire è non solo possibile ma reale. Il primo step è cercare di andare oltre l’evidenza del corpo malato: scavare più a fondo e ascoltare, individuare l’origine del disagio. Io non mi occupo dell’aspetto prettamente fisiologico: calorie, dieta ecc. Il lavoro dell’analisi non sta nel correggere forzatamente il rapporto con il cibo, ma nell’ascoltare il soggetto, aiutandolo a dialogare con quelle parti di sè che lo spaventano. Ricordiamoci che il problema principale non è nel piatto, ma altrove.
Che tipo di approccio curativo proponete nel vostro centro, a differenza di altri?
Offriamo sempre una prima consulenza gratuita e molto spesso, i nostri pazienti, sono sorpresi di trovarsi in un posto dove per la prima volta parlano di se stessi e non della loro malattia. Perché, credimi, il vero problema non è mai il disturbo, ma cosa nasconde e cosa significa. Siamo una squadra di 4 collaboratori e abbiamo una tecnica multidisciplinare: con le colleghe proponiamo diversi percorsi artistici, teatrali, comunicativi per cercare di superare il blocco e procedere nella terapia.
Come vi contattano le persone che hanno bisogno di aiuto?
Nell’80% dei casi via mail: ci chiedono un primo appuntamento informativo e in seguito valutiamo singolarmente come proseguire e se affidarci a altre figure mediche (nutrizionisti, internisti ecc.) e strutture. Ma ci tengo a sottolineare che nella maggior parte dei casi, questi disturbi non sono irreversibili. Anzi, sono perfettamente curabili e più diffusi e frequenti di quello che si pensa.
A questo proposito, molto spesso si parla di un impatto negativo dei modelli estetici, veicolati e diffusi capillarmente dai media o dalla pubblicità. Cosa pensa di questo?
Direi che è un po’ riduttivo e fuorviante riportare un comportamento patologico a un semplice tentativo di emulazione di modelli su cui, ovviamente, si può sempre discutere. Non credo che una ragazzina, per esempio, si metta a dieta semplicemente perché vuole diventare come la velina di turno… Ritengo più probabile, per esempio, che voglia farlo perché ha difficoltà ad accettarsi e a piacersi. Con questo, proporre modelli più variegati sarebbe senza dubbio più sano, realistico e sensato. Ma probabilmente, da un punto di vista commerciale, un fallimento.
Questo è vero: sulle diete, la cosmesi ecc si è costruito un mercato enorme a livello globale…
Sì, e ne siamo tutti target più o meno consapevoli. La pubblicità fa leva sulle nostre insicurezze, sui nostri disagi per offrire la soluzione più semplice e immediata. Che però, molto spesso, sul lungo termine non è la vera strada.
Qual è la soluzione allora?
Lavorare su se stessi, sulle proprie relazioni e storie personali. Risalire la foce, anche controcorrente. Non nascondersi dietro a un dito (o al disturbo nel piatto) ma andare a fondo.
Grazie, dottore.
Grazie a te per l’intervista.
Centro Disturbi Alimentari Dedalo
ENGLISH VERSION>>>>
Dedalo, in mythology, is the architect that enters the labyrinth overcoming his fears and moving in its illogical meanders to find the right solutions. To him is entitled the Association Dedalo, a centre that promotes the prevention and treatment of eating disorders. We interviewed Lorenzo Franchi, dottor and president of the association.
Eating disorders seem to be still very actual. Which are the most affected subjects?
They indeed are. Our modern society, in the Western part of the world, is fighting this problem due to its wellbeing. We get sick because of this surplus, both in quantity and choice, in fact the third world countries donʼt have it. The people at risk are mainly women and to a lesser extent mens.
Why women?
Firstly, because they admit more easily to have a problem and are generally more prone to start a therapeutic and psychoanalytic treatment. Secondly because they have the capacity to feed. Food is first of all a nutrient, if this concept loses its nature, problems start.
Why?
Because food is charged with completely different meanings. On one side the obsession for skinny bodies and health, on the other a sick relationship with food that becomes a sexual substitute.
“Foodporn” is one of the most frequent hashtags on Instagram and other social medias…
It expresses this passional relationship with food. Lakan would say that food is satisfaction of the impulse and not of the desire. It is only a temporary satisfaction, you keep craving for it.
Which are the real eating disorders and their symptoms?
The problems with food are only the visible symptoms of a deeper problem. There are many other factors.
For example?
A laid out table, in our tradition, means sharing. And itʼs for this reason that in the majority of cases, the problems are linked to the sociality of the subject: the family, the partner, to their sentimental sphere. Eating too much or not enough.
But why choosing food?
Because we always eat, at least three times a day and we cannot live without. So it is easy to cheat.
How can we heal before it’s too late?
The first step is go beyond the body: dig deep to get to the origin of the problem. I listen to my patient and try to help him recover a correct relatioship with the part of himself that scares him the most.
What type of approach do you use at Dedalo?
We offer a first free session in which our patients usually are surprised of being asked to talk about themselves and not their illness. We are in four and we use a multisciplinary approach: art, theatre, communication in order to overcome the block and proceed in the therapy.
Very often it is said that the aesthetic models proposed by media and publicity are negative. What do you think about it?
This is downsizing the problem, a pathological behaviour is not just an attempt to emulate controversial models. A young girl doesnʼt go on a diet just to become a soubrette, she is probably struggling to accept herself. Having said that, offering different models would be more healthy, realistic and reasonable, but probably a commercial failure. Publicity calls on our insecurities, offering the most simple solution, but on the long run it’s not the right way.
And which is the right way?
Work on ourselves, on our relationships and personal stories, go back to the origins. •
Testi di Rita Barbieri