Il cinema di Danielle Arbid al Festival dei Popoli

Il cinema di Danielle Arbid, regista libanese protagonista al Festival dei Popoli

Cineasta libanese, classe 1970, Danielle Arbid è stata la protagonista di una delle due retrospettive organizzate quest’anno dal Festival dei Popoli. Vincitrice di molti premi, anche internazionali, come il Pardo d’Argento e il Pardo d’Oro al Festival di Locarno con Seule avec la guerre (2000) e Conversations de salon (2004), l’avevamo conosciuta a Firenze lo scorso aprile durante il Middle East Now con il suo Peur de rien (2016), la sua ultima produzione, presentata al Toronto Film Festival.
Dopo aver visto quasi tutti i suoi lavori, tra documentari, cortometraggi e film a soggetto, è inevitabile pensare a un legame tra le storie narrate in immagini e la sua storia personale. Siamo alla fine degli anni Ottanta, verso la fine danielle-arbiddella guerra civile: Danielle lascia il Libano a diciassette anni, ancora adolescente, per andare a studiare a Parigi. Qui si iscrive alla facoltà di letteratura comparata e prosegue studiando giornalismo, muovendo i primi passi come giornalista freelance collaborando con Libération. È attraverso il mondo dell’inchiesta che si avvicina al cinema documentario, creando i primi cortometraggi come Raddem (1998) e il documentario Seule avec la guerre (2000).
Piano piano scopre il lato del cinema che le mancava nel giornalismo: la possibilità di raccontare il suo punto di vista, di dare una soggettività allo sguardo. “Facendo film potevo fare esattamente quello che non dovevo fare come giornalista, non dovevo più cancellare me stessa”. Danielle non ha mai studiato cinema, ma si è sempre lasciata ispirare dalle altre arti a cui si sentiva affine, come la fotografia, gli altri film, e soprattutto dalle persone che vedeva nelle strade. Ama infatti sperimentare forme diverse di cinema, di rappresentazione visiva, dalla fiction al documentario raccontato in prima persona, in un intersecarsi di generi e forme narrative sicuramente affascinante.
I protagonisti dei suoi film sono viaggiatori che vedono il mondo come stranieri, alla ricerca di qualcosa: libertà, amore, legami, verità. Ma vengono sempre dipinti con un forte realismo, senza distorcere la crudità del reale in nome di un falso romanticismo. Quando le viene posta una domanda sul tema dei suoi film, la guerra, risponde che il soggetto dei suoi lavori non è la guerra in sé , ma è indistricabilmente parte della sua identità: la guerra non è solo quella fatta di bombe ed esplosioni, è anche quella che si crea all’interno di una famiglia, di una coppia, nelle relazioni.parisienne-poster
È evidente nel suo ultimo film, Peur de rien (2016), da molti considerato come un lavoro autobiografico, in cui si identifica la protagonista Lina come l’alter ego della regista. Arrivata a Parigi dal Libano, Lina combatte la sua “guerra” nella nuova società che la accoglie, procedendo passo dopo passo e senza abbattersi tra le mille difficoltà che la aspettano. La ricerca della libertà e dell’amicizia si scontra continuamente con tradimenti e rifiuti, ma non è su questo aspetto drammatico che Danielle Arbid si concentra: la regista vuole dare importanza alla forza e all’ottimismo del processo di adattamento a un mondo nuovo, senza vittimizzarne i personaggi, ma anzi, rendendoli forti.
Il film è anche una specie di ringraziamento alla Francia, che l’ha accolta negli anni Novanta, anni di fervore sociopolitico e artistico, dal rock alternativo e l’hip-hop al RnB e al ballo di strada. È in questo contesto che la regista ha trovato una seconda casa.
Quando si arriva in un paese nuovo, si lasciano talmente tante cose alle spalle che si dà importanza al futuro, ad andare in un’unica direzione: avanti. È un aspetto che spesso manca, secondo Danielle, nelle rappresentazioni del fenomeno dell’immigrazione, dove in genere si sottolinea il passato e non la voglia e l’intraprendenza di andare avanti. Anche se non è ben chiaro come: Lina sperimenta, inciampa, si rialza, piano piano scopre come vivono i francesi… è un vortice di energia, che di solito va di pari passo con la voglia di scoprire, ricercare e condividere esperienze. Peur de rien è un po’ un inno alla libertà e alla speranza, in contrasto alla disperazione e al senso di commiserazione che i film sull’immigrazione tendono ad enfatizzare. Un film sull’emancipazione sentimentale e politica, dove la vera guerra da combattere è quella delle relazioni.
Lasciamo la sala e Danielle, in attesa del suo prossimo film: un adattamento di Passion simple (1990) di Annie Ernaux, nota scrittrice francese, che sarà in parte ambientato proprio a Firenze. Chissà, forse la rivedremo presto.
Roberta Poggi