In cerca d'acqua, rabdomanzia: suggestione o realtà?

Ci mancava solo Lucifero: mai nome fu più adatto, visto che le temperature attuali superano i 40 gradi. Mentre ci troviamo a boccheggiare, sudare, inveire contro i cambiamenti climatici e l’effetto serra, l’unico nostro desiderio è refrigerarci: il mare, la piscina, via va bene anche una bella doccia…Basta sia fresca e abbondante.

 
Acqua insomma e più la desideriamo, meno ce n’è a disposizione. Laghi che si prosciugano, torrenti in secca, risorse idriche ridotte ai minimi. Un allarme continuo che, fintanto per dirla alla Morandi non “scende la pioggia”, continuerà a preoccuparci. Ma allora, se non vien giù dal cielo, dove l’andiamo a cercare l’acqua? La risposta potrebbe venire da sottoterra.

In passato, per cercare le falde acquifere o i bacini nascosti, si ricorreva alla nobile figura del rabdomante, conosciuto e apprezzato dalle più antiche civiltà (a cominciare da quella greca e cinese) per il suo talento nel ‘sentire’ i fluidi scorrere nel sottosuolo. La rabdomanzia (dal greco ραβδόμαντεία: lett. “divinazione con la verga”) è infatti una pratica che consiste nel tentativo di individuare acqua o filoni di metalli nascosti sotto la superficie terrestre, avvalendosi semplicemente di uno strumento di legno, a forma di Y, che si muove rivelando i movimenti del corpo, provocati dalle vibrazioni trasmesse dall’oggetto o dal liquido ricercato. Il possessore di tale ‘dono’ è appunto il rabdomante.

Nonostante il fenomeno sia conosciuto fin dal III millennio a.C, fu considerato per lunghissimo tempo come opera diabolica, fino al XVII secolo quando L. de Vallemont, nel suo testo “La physique occulte ou Traité de la baguette divinatoire” (1693), affrontò la questione con un approccio più moderno. Tuttora la tecnica non ha ancora ottenuto alcun riscontro scientifico di efficacia ed è considerata uno dei metodi della radioestesia ma sempre più persone vi ricorrono e ci sono figure, come Uri Geller, ampiamente rispettate e utilizzate anche dalle compagnie petrolifere. Fortuna? Suggestione? “Non è vero ma ci credo”?

Facendo una piccola ricerca e un po’ di domande, abbiamo trovato alcune testimonianze di rabdomanti (più o meno accreditati) che raccontano la loro personale esperienza:
“Quando arrivo sul posto impugno la bacchetta e ruotando su me stesso faccio un giro d’orizzonte di 360 gradi. Questo mi consente di individuare la direzione nella quale dirigermi per incrociare la falda. Nel caso di più falde in punti diversi mi dirigo verso la migliore. Localizzata la falda segno il punto d’inizio e fine e poi individuo lo scorrimento. Con precisione segno il centro della falda stessa usando due ferri a forma di “L” che muovendosi nelle mie mani si incrociano esattamente in quel punto. Mi posiziono sopra questo punto (che va picchettato) e determino la profondità dell’acqua. Questo lavoro mi richiede massima concentrazione e dispendio d’energia. Dal calcolo delle “battute” riesco a determinare con buona precisione la profondità della falda e la sua portata. Il margine d’errore si aggira sul 20 per cento.” riporta sul web Luigi Cantonati, conosciuto soprattutto nel territorio trentino.



Ma allora, su quali principi si basa la rabdomanzia?
Nelle tradizioni di tutto il mondo, i rabdomanti, oltre al classico pendolo e alla bacchetta, usano anche gusci di tartaruga (in Nigeria), fili (presso i Kasha, Nord America), aghi galleggianti (presso i Cherokee), tavolette di legno (in Sudan) e altro ancora. Tutti strumenti caratterizzati da un equilibrio fragile e precario.
Ed è proprio la rottura di questo a fornire la risposta al rabdomante: quando si pone la domanda, lo strumento oscilla o si muove, seguendo i movimenti impercettibili del corpo, causati dalle vibrazioni sotterranee. Il corpo comunica le scosse alla bacchetta e l’equilibrio precario si rompe. I principi base sono dunque due: la sensibilità corporea e la fragilità dell’oggetto che si maneggia.
A questo bisogna sicuramente aggiungere il “talento” e la serietà del rabdomante che ha trasformato l’arte in mestiere.
Ecco, in tempi di emergenza idrica e cicloni di calura africana, se le risposte (o le acque) non piovono dal cielo, magari saranno da cercare sottoterra? Mal che vada, sarà un altro buco nell’acqua.
Rita Barbieri