Quale degrado? Questione di (minimi) termini

degrado3Degrado, casbah, suk, circo, sono solo alcune delle parole che da diversi mesi vengono usate per descrivere il centro storico di Firenze. Ogni termine ha un proprio peso e questi in particolare pesano come macigni, perché descrivono la nostra città, la città di tutti, patrimonio dell’Unesco. In realtà, degrado è semplicemente ciò che viene considerato tale, e spesso trova alloggio nella testa di chi certe parole le mastica più del pane. Il termine suk indica i mercati arabi, meravigliosi luoghi che attirano viaggiatori da tutto il mondo, ma viene vissuto con disprezzo quando è svincolato dal suo contesto. Una parola che s’insinua dentro suscitando un’idea di sporco e caotico. zingari1

Da alcuni mesi a questa parte, il quotidiano La Nazione utilizza a larghe manciate questi termini per raccontarci la situazione in cui riversa Firenze. Descrivere la città dell’ospitalità con simili aggettivi è semplicemente creare una serie infinita di ossimori. Il primo caso che prendiamo in esame è qualcosa di semplicemente aberrante. Il video in questione (http://multimedia.quotidiano.net/?tipo=media&media=47156), oltre ad essere orribile dal punto di vista della post-produzione, presenta il sindaco di Firenze come “re Tortello”, è dedicato al ministro per l’integrazione Cècile Kyenge, parla di casbah fiorentina e ribattezza via Panicale nel modo peggiore possibile: extracomunity street. Il filmato ritrae due stranieri che litigano e quasi arrivano alle mani e oltre. Quasi, perché in realtà non succede proprio niente. Minuti e minuti di puro disagio passati a vedere un video grottesco e offensivo per l’intelligenza comune.

degrado1Ma il disagio non passa solo da una telecamera: fiumi e fiumi d’inchiostro digitale vengono quotidianamente sprecati, accompagnati da interi album fotografici, per descrivere Firenze come un’immonda città invasa da cialtroni. E non parlano principalmente di turisti, ma di chi a Firenze, in un modo o nell’altro, ci vive. “L’ultimo schiaffo”, “l’ennesimo oltraggio”, tuonano da La Nazione quando un gruppo di “zingare” (il solo termine fa accapponare la pelle) e un paio di giovani definiti punk non si sa bene per quale motivo, accompagnati da un grosso cane, utilizzano le Fonticine di via Nazionale per lavarsi e rinfrescarsi.

Stiamo semplicemente perdendo di vista il significato di questi spazi lungo le strade. Oggi li vediamo come inutili oggetti ornamentali di una città-vetrina, ma in realtà quelle storiche fontanelle sono nate proprio per assolvere questi compiti: lavare, rinfrescare e dissetare. Sia chiaro, non esplodiamo di gioia nel vedere gli angoli più antichi di Firenze ricoperti da una patina di detersivo per piatti usato come il più detergente dei saponi, ma la rabbia e l’indignazione fini a sè stessi producono soltanto ignoranza e intolleranza.

E non soltanto i luoghi storici e le situazioni ad essi collegate sono oggetto di descrizioni al vetriolo; anche i “luoghi di culto”. Il Centro culturale islamico presente in Borgo Allegri, infatti, non è esente da tali impietosi giudizi. Il centro di preghiera, un ex magazzino non molto spazioso, viene descritto come l’ennesimo luogo in cui il degrado prolifica più delle blatte, dove ci sono persone che sul ciglio della strada bevono, mangiano, si lavano e, addirittura, pregano. “I momenti più difficili –scrive La Nazione– sono quelli del Ramadan (un mese di preghiere durante il quale il centro islamico viene preso d’assalto)”. “Preso d’assalto”, come vittima di un agguato da parte dei feroci beduini di Saladino; in realtà, il Centro è l’unico posto in cui i musulmani fiorentini possono riunirsi per pregare e mangiare insieme dopo il digiuno diurno. Se ci infastidisce vederli sul marciapiede a pregare, proviamo a pensare quanto possano essere infastiditi loro a doversi inginocchiare sul cemento sudicio ed avere come luogo religioso un “ex magazzino non molto spazioso”, quando a pochi metri di distanza ci sono chiese maestose e una splendida sinagoga. Parlare di moschea farebbe arricciare il naso a tanti, parlare di degrado no. Ci vergogniamo e ci disgustiamo di fronte a queste storie, quando ci basta andare in qualsiasi luogo all’estero, persino in quei caotici paesi arabi, e dire che siamo italiani per sentirsi rispondere come prima cosa «Ah, Berlusconi», seguito da pizza, mafia e l’immancabile mandolino. Questo è degrado.

 JACOPO AIAZZI