Ratafià: da chimiche ad artigiane della stoffa

Dare origine a Ratafià è stata una scommessa. Ma le sorelle Laura e Valentina l’hanno vinta. Adesso producono grembiuli e accessori per tutti i ristoranti più cool di Firenze, esportano fino in Australia e hanno sempre un nuovo progetto in cantiere. Compreso adesso.

Non tutte le crisi vengono per nuocere. La prossima volta che un analista, commercialista o personal coach vi dice che la crisi è un’opportunità e non una sciagura, avrete una ragione per credergli. Anzi due. Si chiamano Laura e Valentina, sono due sorelle imprenditrici e non possono che ringraziare la crisi per la loro nuova vita. «Avevamo un’azienda a Prato dove lavoravamo come chimiche. Era un colorificio, specializzato in tinture ad acqua per tessuto», raccontano. «Era il 2000 quando abbiamo deciso di cominciare ad usare quei colori per seguire la nostra vera passione, che è dipingere. Abbiamo venduto l’azienda e fondato Ratafià». Nella loro seconda vita hanno messo in pratica tutte le tecniche e i segreti acquisiti nella prima. Tuttora i colori usati per i tessuti di Ratafià sono autoprodotti.
Come avete ri-cominciato?
Abbiamo lavorato per 12 anni quasi esclusivamente per conto terzi, case di moda, marchi di abbigliamento e biancheria per la casa. Poi per fortuna è arrivata la crisi, abbiamo avuto meno richieste e abbiamo cominciato a lavorare più per noi stesse, cioè per Ratafià.
Il Santo Bevitore, La Divina Pizza, Calistro, la Sorbettiera, Simbiosi, Burro e acciughe, Santarosa Bistrot. A Firenze tutti vogliono i vostri grembiuli dipinti a mano. Come è nata l’idea?
La cucina è un’altra nostra passione. Da qui l’idea dei grembiuli personalizzati. Lavoriamo in sinergia con ristoratori e gestori di varie attività nel food and beverage. Sviluppiamo i progetti ad hoc, in base all’identità e l’immagine del locale in cui si andranno a inserire. In più c’è la linea di pezzi unici, disponibile in negozio in Via del Casone 3 rosso, zona Porta Romana, per chi vuole fare o farsi un regalo.
Su quali tessuti e con quali tecniche lavorate?
Privilegiamo lino, canapa e garza di cotone. Le tecniche sono tante, ma è tutto fatto a mano. La cosa più tecnologica è la stampa in serigrafia per personalizzare i grembiuli. Anche gli strumenti che usiamo sono fatti a mano: lo stampino è scolpito da noi, gli stencil sono nostri. Lavoriamo tanto con il pennello, con alcuni tipi di corrosioni e sovratinture. I tessuti che usiamo sono quasi sempre bianchi in partenza. Ma il colore regge anche ai candeggi e ai lavaggi in lavatrice, qualità fondamentale per ristoranti e attività pubbliche.
Dove trovate ispirazione?
L’ispirazione per fortuna non ci manca, è un dono di famiglia. Tra i nostri disegni la riga e i pesci sono due costanti, poi c’è stato il periodo dei papaveri, delle fantasie infantili.
Qual è il vostro mercato di riferimento?
Ristoratori e privati. Ci conoscono e ci commissionano cose, soprattutto regali personalizzati.
La richiesta più strana che vi hanno fatto?
Di tutto. Recentemente un uomo ci ha chiesto un copripiumone da regalare alla moglie con il disegno della Sposa Cadavere. Abbiamo dipinto anche 14 metri di striscione per la Fiorentina.
Attraverso quali canali vendete?
Prima di tutto attraverso il nostro shop in zona Porta Romana (aperto dal lunedì al venerdì con orari flessibili), ma abbiamo avviato anche una collaborazione con l’Alveare che dice sì. Poi c’è la vendita online, soprattutto per l’estero. L’ultima cosa l’abbiamo spedita a Bratislava, ma anche Belgio, Spagna, Stati Uniti. E dall’Australia continuano a chiamarci per i calzini dipinti a mano. Ma abbiamo smesso di farli. Troppo piccoli, abbiamo bisogno di superfici più ampie per esprimerci.
Su cosa punterete questo autunno?
Forse andremo sull’arcaico, sulle linee pulite, sulla mitologia, sui colori e le forme del Sud. E sulla nuova linea di pantaloni dipinti a mano, in pieno stile Ratafià al di fuori delle mode.
www.ratafiafirenze.it
ENGLISH VERSION>>>>
A crisis may actually be turned into an opportunity, and Laura and Valentina made this happen. Two sisters who owned a paint factory in Prato, specialized in fabric dyeing, decided to sell their firm and founded Ratafià, so they could follow their real passion: painting.
How did you re-start?
We worked for third parties for 12 years, then fortunately crisis arrived! We started receiving less and less orders and found the time to focus on ourselves.
Your tailor-made, hand-dyed aprons are highly requested in Florence. Every restaurant, café, bakery wants them. How did you come up with the idea?
Cooking is another passion of ours. That’s how we came up with personalized aprons. Upon request, we create ad-hoc products shaped on the place’s identity.
Which fabrics do you work with, and which techniques do you use?
We do prefer linen, hemp and cotton. There are many techniques, but everything is hand-made. The most technologic thing we do is silkscreen printing. The tools we work with are hand-made too, and so do stencils. We work a lot with the paint brush, and fabrics we use are usually white at the beginning. But our colors are very resistant to both bleaching and washing machines, this is basic as we work with restaurants and public businesses.
Where do you take inspiration from?
Fortunately we don’t lack in inspiration, it’s a family thing. Straight lines and fishes are constant with us, but we also had the Poppy period for example.
What’s your main business target?
Restaurateurs and private business owners. The know us and commission things, mainly tailor-made presents
What’s the most unusual request you’ve ever had?
Everything. Recently a man requested a duvet cover with the Corpse Bride painted on, as a present for his wife.
Which selling channels do you use?
We have our shop in Porta Romana, but we also do online selling, mainly for overseas clients. Last thing we shipped went to Bratislava, but we work with Belgium, Spain and US too.
What are you plans for the upcoming fall season?
We might go for mythology, southern colors and shapes, clear lines. And for our brand new hand-dyed trousers line, obviously designed for workers.

Testo di Paola Ferri