Regine dal tramonto all’alba: Drag Queen sul grande schermo.

Un documentario di un regista toscano svela cosa c’è dietro il “trucco” delle drag queen. “Temporary Queens”, dopo essere stato presentato a Firenze, guarda all’estero.

 
Una drag queen è un uomo che si veste da donna, sale sul palco e fa spettacolo, perché ci si può vestire da donna per tante ragioni”. Diego Claudio è intervistato sul divano di casa. Testa rasata, un filo di barba e un cagnolino in collo. Se non fosse per la voce, in lui si riconoscerebbe a fatica l’alter ego chiamato La Wanda Gastrica: parrucca colorata, tacchi vertiginosi, vestiti appariscenti e un (finto) decolté esplosivo. Diego, dal tramonto all’alba, si trasforma in una regina della notte, che come tante sue “colleghe” anima le piste dei locali gay. Dismessi gli abiti di scena, la donna rimane nell’armadio. “Non vado a fare la spesa vestito da donna, non sarebbe pratico”, fa notare ridendo.

Sul grande schermo scorre la sua storia e quella di altri giovani che hanno deciso di fare questo mestiere: Valerio Chellini “Lalique Chouette”, da cui ha preso spunto il lungometraggio, e Criss Fosella “Kriss Malavaka”, che è arrivato fino a Ibiza. C’è anche una ragazza, Aurora Tieri. A svelare cos’è c’è dietro al “trucco” delle drag queen è un documentario girato tra Firenze, Pisa, Lucca e Roma per due anni di lavoro: “Temporary Queens – Regine dal tramonto all’alba”, presentato per la prima volta al Florence Queer Festival 2017, è stato proposto per diversi festival internazionali. “Volevo raccontare il dietro le quinte, la vita di tutti i giorni e le difficoltà che queste persone devono affrontare per il mancato riconoscimento del loro lavoro”, spiega il regista Matteo Tortora, livornese di origine, ma da una quindicina di anni a Firenze.

E poi ci sono i pregiudizi, molto più forti di quanto si creda soprattutto nell’ambiente omosessuale, dice il videomaker. “Quando racconto ad amici gay che ho girato un documentario sulle drag queen, c’è chi storce la bocca. Ho fatto questo per abbattere i preconcetti”. Drag queen di notte, ragazzi in blue jeans nel quotidiano, sebbene in Italia si faccia ancora fatica a riconoscere questa professione con un po’ di confusione anche sui termini: travestiti, transgender, drag queen. E lo fanno capire gli stessi protagonisti del documentario.
La telecamera entra nei camerini, ricavati in sottoscala o in piccole stanze, piene di abiti e tette finte. Incontra giovani che passano pomeriggi interi a capire come allestire un palco, fare un’entrata ad effetto. Durante le ore di trucco e le prove dei costumi, si scherza, si parla del più e del meno. Fino alla notte, quando tutti agghindati danno spettacolo. Urlano, cantano, si dimenano. “Per loro è un mondo dorato, ma agli occhi di una persona che guarda il documentario non è la stessa cosa – osserva il regista – i primi a non crederci sono i proprietari delle discoteche, danno pochi soldi e se devono tagliare il budget, vola via la prima drag e non il barista. E poi c’è un pubblico che beve e disattento: spesso non capisce cosa c’è sul palco e non comprende le citazioni artistiche su cui le drag hanno lavorato per ore”.

Gianni Carpini