Finisce il ricreativo, principia il culturale

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Le Case del Popolo devono tornare ad essere centrali nell’aggregazione giovanile e luogo di sperimentazione artistica per la socialità post-pandemia.

Negli anni ’70 e ’80 le Case del Popolo andavano ben oltre rispetto all’immagine stereotipata del film Berlinguer ti voglio bene di Giuseppe Bertolucci, con il “compagno” Vladimiro Tesoroni che estraeva i numeri della tombola. Erano fucine di creatività e le persone che si trovarono a ricoprire un ruolo nei consigli direttivi dei circoli ricreativi diedero vita a un compromesso: lasciare i giovani sperimentare progetti culturali nei locali in cambio di una gestione oculata degli spazi di aggregazione.

Ad esempio, anche un club mitico come il Tenax era in affitto nei locali della Casa del Popolo di via Pratese, come tanti altri locali di tendenza per i giovani ospitati presso i “circoli” all’epoca: la Rokkoteca Brighton a Settignano, il Backdoors a Poggio a Caiano, il Topical a Montespertoli, il Sicurcaiv a Grassina, il Virus a Vinci o il Cloro a San Piero a Sieve, solo per citarne alcuni.

In questi posti, oltre a dibattiti politici, capitava di assistere a concerti e dj set di artisti affermati a livello nazionale, cineforum con proiezioni di film d’essai e teatro, o addirittura la musica lirica. Spesso qui si ospitavano le radio locali (Novaradio Città Futura è a tutt’oggi l’emittente dell’ARCI di Firenze) ed erano il primo palcoscenico messo a disposizione per giovani musicisti. Nelle Case del Popolo della Toscana hanno cominciato ad esibirsi i Litfiba, i Diaframma o la Bandabardò, nonché i primi spettacoli teatrali di un duo irresistibile, destinato poi a ben altri palcoscenici: Roberto Benigni e Carlo Monni

Le Case del Popolo permisero la sperimentazione di cultura alternativa – inserita peraltro in un contesto sociale dove c’era già ampia offerta di club per i giovani – in una stagione che vide nascere il fenomeno della new wave fiorentina. Poi hanno perso la loro capacità di aggregazione giovanile. 

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Questo perché dalla metà degli anni Novanta è stata sdoganata una cultura meno impegnata in cui l’identificazione politica è venuta meno. Giova ricordare che erano presidi legati al Partito Comunista Italiano e quindi c’era un “giro” di persone con le idee chiare dal punto di vista politico e avevano un ideale di cultura. Parallelamente, con la fine dell’eredità del Partito Comunista Italiano, si tornò alla Milano da bere: il “Berlusconismo” è stato il riflusso della cultura individualista, con la politica non più interessata allo sviluppo di una scena culturale.

Progressivamente le Case del Popolo sono diventate luoghi dove passare per un aperitivo, anche a causa di una normativa che ha imposto loro di scegliere se essere circolo ricreativo o bar. Molte hanno optato per la somministrazione al pubblico e, nonostante la disponibilità di spazi sovradimensionati per il bacino di frequentazione, negli ultimi anni si sono proposte principalmente come ristoranti. I locali ormai si sono riempiti solo con la tombola e il ballo liscio. Eppure, passata la pandemia, sarà necessario “fare cultura” ripartendo dal basso, perché il Covid-19 ha ucciso il clubbing. Locali storici che da un anno hanno chiuso avranno difficoltà a ricreare un cartellone di appuntamenti stagionali, altri hanno abbassato definitivamente la saracinesca.

La pandemia da Covid-19 ha messo la parola fine alla socialità reale dei concerti e per molto tempo ancora il settore degli spettacoli dovrà pagare un prezzo alto all’emergenza sanitaria. A completare lo scenario, la crisi post-pandemia all’orizzonte che si traduce in pochi soldi in tasca da spendere in giro tra dancefloor e festival. I ragazzi, da un anno costretti all’isolamento digitale, sono la categoria più colpita dalla mancanza di lavoro. Una doppia penalizzazione per loro, economica e culturale.

Le Case del Popolo, invece, dovrebbero cogliere l’occasione per riscoprire la loro vecchia vocazione, perché sono aperte a tutti senza discriminazione di sorta, diffuse sul territorio e spesso unico presidio di socialità nei piccoli paesi: questo faciliterebbe la nuova aggregazione per una cultura diffusa.

Il mainstream dell’intrattenimento avrà ancora per un po’ il fiato corto, sicuramente riuscirà a riciclarsi, ma nel frattempo torneremo mai ad assistere ad eventi fuori dall’ordinario com’era normale accadesse frequentando le Case del Popolo a Firenze e provincia? Dalla rock band New-da che sul palco ruppe a martellate una televisione a tubo catodico a Federico Maria Sardelli con l’Orchestra del Maggio Musicale, dallo spettacolo teatrale irriverente sulla religione I miracoli di Padre Pio alla proiezione in cinemascope de L’uomo che cadde sulla Terra con David Bowie… 

La privazione della socialità dovuta alla pandemia avrà stimolato nei giovani la ricerca di un modello culturale diverso da quello imposto dal mainstream? In questo caso, occorre che qualcuno torni ad offrire loro uno spazio indipendente per metterlo in scena.

Articolo di Valerio Grana, Francesco Sani e Stefano Ciofi

Foto: © Grooming Photo