Sandra Vásquez De La Horra: Aguas Profundas

Sandra Vásquez De La Horra

Al Museo Novecento fino al 17 ottobre la prima esibizione personale in un museo italiano dell’artista cilena. Intervista e brevi riflessioni con la curatrice della mostra, Rubina Romanelli.

Sandra Vásquez De La Horra, artista cilena contemporanea (Viña del Mar, 1967) è appassionata ed evocativa: di origine mestiza, è nata in una cultura che comprendeva quella spagnola e quella africana Yoruba, popolazione deportata ormai da secoli ma presente nelle zone dove è cresciuta, prima di partire per la Germania e studiare con Jannis Kounellis.
Nel lavoro di Vásquez De La Horra, la testimonianza politica è forte, avendo l’artista vissuto la violenta dittatura di Pinochet. Non solo: nelle sue opere evoca le radici della cultura e delle tradizioni animiste. I suoi disegni, una volta compiuti, vengono immersi nella cera: questa fissa definitivamente la grafite sulla carta, che viene così indurita e colorata da un suggestivo tocco opaco.

Sandra Vásquez De La Horra

Le opere di Sandra Vásquez De La Horra sono in mostra nei più importanti musei mondiali

Nel lavoro di Vásquez De La Horra, prevale la figura femminile. Fondamentali e forti sono poi le influenze e le reminiscenze del paesaggio, che vanno a costituire il corpo umano e le abitazioni – come nella prima casa “aperta”, realizzata appositamente per questa mostra – fatta di laghi, nuvole, cielo, fiumi, alberi, arcobaleni. Oltre ai disegni, in mostra vi sono i “leporelli”, lavori tridimensionali: fogli piegati che diventano scultura. La piccola scultura Yo soy Casa, fa parte dell’ultimissima produzione dell’artista ed è la prima di una nuova serie.

Paesaggi domestici e ritratti offrono una visuale affascinante e suggestiva, carica di spunti etici e antropologici, con potenti forze oniriche e immaginative. Messaggi universali meditati fanno riflettere sul ruolo della donna, la casa, i confini, il rifugio, la Natura madre.
Titolare di un curriculum notevole, Sandra Vásquez De La Horra ha opere nelle collezioni del Museum of Modern Art (MoMA) di New York, Art Institute di Chicago, Morgan Library & Museum, MNAM – Centre G. Pompidou di Parigi, Bonnefantenmuseum di Maastricht, Pinakothek der Modern di Monaco e molte altre. Abbiamo incontrato e intervistato la curatrice della mostra, Rubina Romanelli.

Sandra Vásquez De La Horra

Conosciamo la curatrice della mostra al Museo Novecento, Rubina Romanelli

Rubina: raccontati in una mini-biografia. Sei curatrice in Italia per il Museo Novecento: in quali altri progetti collabori?

Sono nata a Fiesole e ho la cittadinanza inglese. Provengo dalla dinastia di scultori fiorentini Romanelli. Pasquale, il primo, fu allievo di Lorenzo Bartolini (1777-1850). Ancora oggi la mia famiglia ha lo studio di scultura in Borgo San Frediano 70, dove hanno scolpito prima Bartolini e poi i nostri antenati e attualmente è gestito da mio fratello. Si tratta di una ex chiesa, una gipsoteca ricolma di sculture, luogo fascinosissimo e unico, che commercia sculture e offre corsi di scultura secondo tradizioni antiche.
Ho lavorato in varie gallerie in Italia e all’estero. A Firenze nella mia galleria, poi da Alessandro Bagnai e a Londra come Gallery Manager da Sprovieri, lavorando con artisti come Jannis Kounellis, Ilya ed Emilia Kabalov, Nan Goldin… Ho ideato, organizzato e curato molti progetti indipendenti, tra cui un ciclo di aste di beneficenza in tre città italiane in collaborazione con Christie’s. Collaboro con la neonata associazione NOS che si occupa di produzione d’arte contemporanea e che ha vinto un bando dell’Italian Council, per un progetto con Flavio Favelli e più recentemente sta collaborando con il collettivo Alterazioni Video. Ho un proficuo rapporto col Museo Novecento e nell’ultimo anno ho curato due mostre: quella di Francesco Carone e quella in corso dell’artista cilena Sandra Vásquez de la Horra. Da agosto mi sono trasferita a Londra ma ho intenzione di continuare a creare ponti tra i miei due mondi e non solo.

Sandra Vásquez De La Horra

Qual è in concreto il lavoro del curatore? Come si fa a trasformare una passione in lavoro?

Ho letteralmente l’arte nel sangue e anche se all’inizio non volevo seguire questa via, mi ci sono ritrovata. Il mio legame con l’arte è indissolubile, ma è in quella contemporanea e nel lavoro diretto con gli artisti che ho trovato la mia “vocazione”. Curare una mostra significa innanzitutto prendersi cura del rapporto con l’artista, accarezzarne i progetti, talvolta sostenerli fino a renderli concreti seguendone i passaggi anche più pratici. Nel lavoro di curatore vi sono tante sfumature che talvolta non sono legate solo al discorso teorico di progettazione artistica o della produzione di testi, ma anche a ciò che si riesce a creare a livello più ampio, attraverso il dialogo tra artista, pubblico, istituzioni e altri soggetti interessati.

Come hai conosciuto l’artista cilena Vásquez De La Horra?

Ho conosciuto Sandra circa quindici anni fa, quando organizzai una sua mostra a Londra da Sprovieri; da allora sono innamorata del suo lavoro e la seguo. Negli ultimi due anni sono andata a vedere diverse sue mostre all’estero e pian piano ho ideato un progetto per il Museo Novecento che offrisse una visione del suo lavoro, incluse le recenti sperimentazioni, che sottolineano il passaggio dal disegno a una dimensione scultorea.

Su quale criterio hai svolto la selezione delle opere e la scelta degli impianti espositivi?

Le opere selezionate appartengono agli ultimi anni e comprendono disegni e opere tridimensionali. I disegni sono per la maggior parte di ampio formato; i suoi lavori tridimensionali, i “leporelli”, sono fogli piegati a fisarmonica che seguono lo stesso procedimento tecnico dei disegni, ossia vengono immersi nella cera. Le “case” sono disegnate sulle pareti esterne e infine due lavori inediti che saranno presentati per la prima volta al Museo Novecento, di cui non svelo niente perché mi auguro che andrete a vederli. Mi premeva mostrare la complessità del mondo dell’artista e delle tematiche che emergono nel suo lavoro: il mondo latinoamericano, le sue origini indigene, il tema della migrazione, del sincretismo religioso, del disagio sociale, del rapporto uomo/donna e un filone più autobiografico ma che si fa universale, legato alla donna come madrepatria e come casa.

Qual è la tua riflessione sul panorama artistico fiorentino?

Il panorama fiorentino è in un momento di slancio, grazie alle piccole e grandi istituzioni e ai venti favorevoli dell’attuale amministrazione, in particolare al sostegno del sindaco Dario Nardella. Inoltre, grazie al Museo Novecento e al lavoro del suo direttore artistico Sergio Risaliti, la città si è attivata con innumerevoli progetti che si sono sviluppati non solo al museo ma anche al Forte Belvedere, in piazza della Signoria e in altre istituzioni. Palazzo Strozzi ha anche il merito di presentare mostre di artisti contemporanei molto conosciuti, alternandole a mostre storiche.

Qual è stato il lascito di questa esperienza per te? E per l’artista?

Sono orgogliosa e onorata di aver curato la prima personale in Italia di questa artista che all’estero è presente in collezioni davvero importanti. Sandra ha avuto l’opportunità di lasciarsi ispirare dalla storia della città e dalle opere del museo, soprattutto da quelle di Mario Sironi, creando dei nuovi lavori che sono esposti qui per la prima volta. È stata una grande soddisfazione aver potuto “nutrire” questa grande artista con del “materiale fiorentino”!
La mostra, all’interno dello spazio Room, prosegue il ciclo di mostre di artiste donne iniziato con Maria Lai e successivamente con il duo Goldschmied & Chiari.

Articolo a cura di Martina Scapigliati 
ph di Leonardo Morfini