Intervista a Carla Bru, curatrice grafica del FJFF

Per rappresentare l’edizione 2018 del Firenze Jazz Fringe Festival  è stata scelta la sofisticata, ma allo stesso tempo incisiva, arte della fiorentina Carla Bru. Noi di FUL l’abbiamo incontrata nel suo studio in San Niccolò per fare due chiacchere.

 

Qual è stato il tuo percorso artistico e quando hai deciso di dedicare la tua vita completamente all’arte?

Ho fatto l’Istituto d’Arte e l’Accademia di Belle Arti a Firenze, poi c’è stata una parentesi di nove anni in Brasile dove ho seguito un corso con un pittore di San Paolo, che mi ha molto aiutata ad approcciarmi allo spazio in maniera totale, a lasciarmi andare oltre ai famosi bordi che fin da piccoli ti dicono di rispettare. Non ho comunque avuto un inizio, ho semplicemente seguito quella che era la mia passione. Anche a livello lavorativo mi sono sempre dedicata all’arte, ho sempre fatto delle mostre. Tornata a Firenze per un periodo ho fatto la pittrice di strada vera, nelle piazze per i turisti, attività che non mi dava però molta soddisfazione a livello artistico in quanto dovevo sempre ripetere gli stessi soggetti su richiesta. Dopo qualche anno ho deciso che dovevo avere un angolo tutto mio, ho trovato questo spazio, e mi sono buttata facendolo diventare il mio studio. Mi ricordo ancora il passaggio dalla strada allo studio, per i primi tre mesi quasi mi vergognavo ad esporre le mie cose in vetrina, perché comunque un conto è fare le cose per i turisti ed un altro esporre lavori tuoi, e così avevo tappezzato la vetrina di carta velina per non fare vedere le mie produzioni. Adesso sono già 9 anni che ho questo studio e sono molto soddisfatta. La scelta di fare arte per lavoro certo comporta dei compromessi tra quello che mi piacerebbe fare e quello che poi so che venderò, sono due binari che viaggiano paralleli, a volte si allontanano, certe volte si avvicinano.

Come base dei tuoi lavori usi spesso dei collage realizzati con quotidiani e riviste su cui intervieni poi dipingendo. Scegli i pezzi con cui articolare il collage solo per una questione estetica o all’interno delle tue opere le parole assumono un significato simbolico che rimanda al messaggio che l’opera vuole veicolare? 

A me piace molto la pittura a pennellata, lì c’è lo sfogo, l’istinto. Poi sono approdata al collage, che per me è come dare una seconda vita alle riviste che altrimenti verrebbero buttate via. All’inizio lo facevo perché ero entrata in crisi a livello artistico, non mi piaceva quello che stavo producendo, e il ritaglio mi rilassava e mi divertiva. Ci deve essere ogni tanto uno stacco, era come un antistress. In un primo momento l’approccio e la scelta dei ritagli erano puramente estetici, al posto dei riempimenti e dei colori delle figure che andavo poi a dipingere a pennello sceglievo ed inserivo i ritagli di giornale. Piano piano vedevo che la scelta dei ritagli iniziava ad assumere un significato, le frasi all’interno dell’opera si combinavano e si collegavano tra loro in un unico messaggio e ho quindi iniziato una nuova fase del collage a cui ho dato il nome di Art Telling, dove le mie opere raccontano una storia e lanciano messaggi a chi le andrà a vedere. Per quanto riguarda l’approccio, non sono una che ci ragiona tanto e vado molto ad istinto. Prendo una rivista, la sfoglio, l’occhio cade su una parola o frase, la ritaglio e la metto da una parte senza starci troppo a pensare. Solo quando vado a ricomporre l’opera vedo che le frasi si combinano e acquistano un senso senza che l’abbia voluto o pensato.

Il Firenze Jazz Fringe Festival è una manifestazione innovativa che punta già dal nome ad andare controcorrente, rompendo il confine, la sponda appunto (Fringe). Come è nata questa collaborazione e come hai interpretato artisticamente questo messaggio?

È nata in seguito all’incontro con il Project Manager Francesco Astore. È stato lui a propormi di fare questa grafica, ma non avevo molto margine di libertà, in quanto doveva essere presente la scritta JAZZ come nella locandina dello scorso anno e dovevano essere inseriti i piccoli ‘omini’ che puoi vedere nell’illustrazione finale. Quindi mi sono chiesta cosa potevo metterci, visto che era già tutto fatto. All’inizio avevo fatto una versione con la mia sciamana, che era molto vicina alla mia arte, ma con il jazz aveva poco a che vedere. Su consiglio dell’addetta alla comunicazione, Sara Bertolozzi, abbiamo quindi optato per la versione a collage più minimale dove all’interno della parola JAZZ spiccano alcune parole chiave.

Nel tuo collage emerge la frase “Jazz speaks – For life”, sì perché esiste qualcosa che sa di vita vera più del jazz? Cosa è per te il Jazz?

In realtà del Jazz conosco solo il sottofondo che metto quando creo e dipingo, che mi piace perché mi accompagna senza prendere il sopravvento e senza essere troppo invadente. Non sono appassionata di nessun genere musicale in particolare, ma ogni musica ha la sua funzione. Ad esempio ho scoperto che la musica classica mi rilassa quando cucino, mentre mi irrita quando dipingo. Il Jazz ha le giuste sonorità per stimolare ed accompagnare il mio processo creativo artistico, come anche il Buddha bar o il Chillout.

Ma noi conosciamo anche un’altra Carla, quella che è scesa in strada per veicolare il suo messaggio. C’è una parte della Carla Bru che si realizza solo grazie all’azione in strada? I tuoi messaggi sono sempre positivi, delicati ma allo stesso tempo sensuali e forti… che storia ci stai raccontando?

Questo è il vestito, poi dentro ci sono varie sfaccettature. Quando vado ad attaccare i poster in strada è come se non lo facessi nemmeno io. Finché va da sé questo mio lato lo faccio andare; si deve essere come la foglia che cade dall’albero dove sotto c’è un fiume. Quando lascio andare le cose funzionano, se voglio controllarle è la fine, perché tanto la mente è limitata. E quindi io lascio che le cose facciano il suo corso.
Ad un certo punto della mia produzione artistica, mi sono iniziata a chiedere se le opere che facevo con le frasi che venivano fuori al suo interno le stessi facendo solo per me o se volevo che il messaggio fosse diretto soprattutto agli altri e ho pensato che fosse giusto che arrivassero alle persone. Ho pensato di offrire all’esterno qualcosa di positivo, perché comunque c’è una responsabilità su quello che tu metti fuori, che può influenzare le persone che lo andranno a vedere. Si sente sempre più spesso lamentele e cattive notizie e quindi mi sono sentita di uscire in strada con un messaggio di amore e positività. Mi sono chiesta come potevo comunicare senza la parola; la risposta è stata con i gesti, come la mano che porge il fiore, o con immagini simboliche di forza, istinto, ribellione e di legame alla madre terra sintetizzate nelle varie sciamane dai capelli rossi. E quando mi scrivono le persone che colgono i miei messaggi sono felice. È come se ci facessimo dei regali a vicenda alla fine.
Credo inoltre molto nello scambio e nella condivisione e per questo condivido il mio studio con altri street artist (Blub, Ache77, ExitEnter, JamesBoy, Mìles e molti altri) e credo che tutto possa funzionare meglio attraverso la collaborazione e senza competitività.
Francesca Nieri