La leggenda di Fiona May

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Il ritratto di un’atleta di origini inglesi, naturalizzata italiana, tra disciplina, emancipazione e maschilismo.

La storia prende, la storia dà.

La storia prende, la storia dà. 12 dicembre 1969, Slough, Regno Unito, da due ragazzi giamaicani, nasce Fiona May: la storia italiana, inizia il racconto di un nuovo capitolo, intenso, lucente.

12 dicembre 1969, Italia, Milano, appena 53 minuti cambieranno per sempre il racconto di un Paese intero, 53 minuti che solcheranno di vuoto il profilo di una Nazione tormentata, recisa, una penisola scontornata dagli eventi, come sempre, da sempre. Sono le 16:37 in Piazza Fontana, nel grande salone dal tetto a cupola scoppia un ordigno contenente 7 chili di tritolo, L’inferno, all’improvviso, 17 persone perdono la vita, 13 muoiono sul colpo, 87 si feriscono. Da quel minuto esatto si modifica la storia, in molti sono gli studiosi che parlano di una Repubblica Italiana prima e dopo Piazza Fontana. Si consuma una tragedia, prole di un periodo indimenticabile, pregno di ideali, follie, rivoluzioni e controrivoluzioni, un arco di tempo che segnerà per sempre azioni e reazioni future.

La leggenda s’insinua sempre nella tragedia, sono gli antichi Greci ad insegnarcelo, ed il destino vuole che in un giorno così terribile per l’Italia intera, a migliaia di chilometri di distanza, in un ospedale di un sobborgo di Londra, nasca una bambina che sarà una bandiera speciale di questo strano Paese, sventolando concetti di emancipazione ed integrazione, che ci rendono, oggi, fieri ed orgogliosi. Quando nasce Fiona, Slough, è un satellite residenziale di una città che si espande in modo spasmodico. A soli 32 km dalla stazione di Charing Cross, Slough si trova lungo la strada che collega la capitale a Bath e Bristol: è già una cittadina famosa per essere la zona più multietnica dell’intero Regno Unito, al di fuori della Grande Londra.

Dalla scuola alle Olimpiadi 1988

Il tramonto degli anni ’60 in Inghilterra porta con sé i detriti di una società seppellita da nuovi ideali, si chiude un decennio di rivoluzioni e conquiste, di medaglie d’oro e macchie indelebili. Quattro stravaganti ragazzi britannici dall’acconciatura improbabile scelgono il sottofondo musicale di un’era, cambiando per sempre i costumi di una società in subbuglio: è il tempo dei Beatles, è il tempo dell’amore libero, del rock, degli hippies, della parità dei sessi e della legalizzazione dell’omosessualità. La riforma dell’educazione del Regno Unito porta all’eliminazione delle vecchie grammar school, a vantaggio dei nuovi istituti comprensivi, nati all’insegna di un nuovo sistema educativo egualitario e di un miglioramento dell’accesso agli istituti di formazione superiori.

È proprio in una di queste “nuove scuole inglesi” che inizia la storia di Fiona May, è proprio durante le ore di ginnastica, che una bambina scopre l’amore della sua vita. Da un’intervista al Corriere della Sera

la leggenda di fiona may

 “L’insegnante di educazione fisica chiama mia mamma già alle elementari: “Sua figlia deve fare atletica“. Papà mi porta subito al campo di allenamento, ma mi dicono che sono troppo piccola. Io ci resto malissimo, perché capisco immediatamente che quello è il mio mondo. Mio padre promette di riportarmi l’anno dopo, e mi prendono subito: salto in alto e in lungo, poi i 100, gli ostacoli. A 14 anni sono in nazionale Under 20, a 17 vinco l’oro europeo

Reattiva, pronta, sicura, determinata, predestinata. Fiona May si mostra subito competitiva, con la casacca britannica, ai Mondiali juniores di Atene del 1986, si classifica ottava nel salto in lungo, con la misura di 6 metri e 11 centimetri. L’anno successivo, in occasione degli Europei di categoria disputati a Birmingham, ottiene il primo oro della sua carriera, arrivando a saltare 6 metri e 64 centimetri.

Ma è il 1988 l’anno del definitivo approdo tra i grandi. Dopo aver vinto i Mondiali juniores di Sudbury, in Canada, migliorando ancora il suo record, con un salto di 6 metri e 88, prende parte alla spedizione olimpica britannica a Seul, in Corea del Sud, dove si qualifica per la finale piazzandosi al sesto posto. Dopo l’emozione della prima Olimpiade, Fiona attraversa un periodo di crisi in cui ottiene pochi successi degni di nota, non riuscendo a prendere parte ai giochi olimpici successivi, quelli di Barcellona del 1992. Il bronzo che conquista nella Coppa Europea, svoltasi a Roma, è l’ultimo squillo dell’atleta, a difesa dei colori della Regina, da qui in poi inizia un’altra storia, una storia tutta italiana.

L’Italia, Firenze

Fiona May si sposa nel 1994 con Gianni Iapichino, ex astista e lunghista toscano di ottimo valore, un uomo che non ama stare sotto i riflettori, allenatore, marito e padre delle sue due figlie. È grazie a questo matrimonio che possiamo annoverare quest’atleta fenomenale, nella leggenda dello sport azzurro, ottiene infatti la cittadinanza italiana e si trasferisce a Firenze. Fiona approda in un’Italia shakerata da una classe dirigente folle e convulsa, la politica stravolge per sempre i suoi paradigmi: è l’alba dell’era Berlusconi, un personaggio che utilizzerà l’apologia del liberismo per sconvolgere tutti i dettami governativi. Negli anni ’90 l’Italia è un Paese in pieno boom economico, il benessere ed il comfort si diffondono per le vie e le piazze di una nazione entusiasta e rumorosa.

A Firenze i giovani ballano al Jaiss e al Central Park, la città culla la new wave del rock italiano, sulle note dei Litfiba e dei Diaframma si riempiono i locali sotterranei. Gabriel Omar Batistuta ha i capelli e la barba che ricordano un profeta religioso, e il popolo viola lo segue più o meno con la stessa devozione con cui veniva seguito Gesù. Un comico, attore e regista, Leonardo Pieraccioni, porta in scena le abitudini e le usanze delle campagne intorno a Firenze, contribuendo a diffondere una rinnovata percezione della toscanità.

I successi di Fiona May vengono accolti con grande fervore, è una delle prime atlete di colore a vestire la casacca azzurra. Oltre che il simbolo di una società che accoglie la multietnia, Fiona diventa un monito di stile ed eleganza, in un periodo storico in cui l’icona della bellezza suprema femminile passa da Madonna a Naomi Campbell. Ovviamente non è tutto rosa e fiori, il razzismo è una piaga antica di cui liberarsi è pressoché impossibile, non mancano critiche al veleno e bullismo, ma Fiona è un gigante e la sua marcia verso il successo è implacabile, è così da quand’era bambina. Da un’intervista a Vanity Fair:

«Disciplina, capacità di essere al 100%, rispetto per gli altri, impegno a fare le cose senza usare scorciatoie. Non bisogna avere paura del fallimento: aiuta a imparare. […] Quando sono stata bocciata a scuola, in Inghilterra, un’insegnante mi aveva detto che non avevo il cervello per studiare ma solo per fare il salto in lungo. Mi aveva demoralizzata, ma i miei genitori mi dissero di ascoltare solo quello che sentivo dentro. È questo che insegno alle mie figlie: a non rinunciare mai ai propri sogni. Ho continuato a studiare e mi sono laureata in Economia e commercio, per avere un piano B nel caso la mia carriera sportiva fosse stata interrotta da un infortunio»

L’orgoglio nazionale

Il primo successo assoluto con la bandiera tricolore al collo, è l’oro ai Mondiali di Goteborg, in Svezia, nel 1995, Fiona salta 6 metri e 98 centimetri, vola nel cielo come un jet e l’anno seguente, alle Olimpiadi di Atlanta, soltanto la nigeriana Chioma Ajunwa riesce a far meglio di lei, ma i 7 metri e 2centimetri saltati dalla May, corrispondono al nuovo record italiano. 1997, Parigi, Mondiali indoor, è di nuovo record nazionale, i successi proseguono, i trionfi si susseguono: Mondiali di Atene, Europei di Valencia, Coppa Europa a San Pietroburgo. Fiona gira il mondo e conquista tutti con la sua potenza e il suo sorriso. Dopo l’argento a Sydney, durante le Olimpiadi del 2000, viene nominata Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, dal presidente Carlo Azeglio Ciampi. Una donna di colore ottiene un’onorificenza massimo, segno dell’amore, del rispetto e dell’orgoglio, di una Nazione Intera.

La lezione di una combattente

Fino a qui abbiamo raccontato una storia di sacrificio e successo, di riconoscimenti e medaglie, di sudore e gioie, ma cosa significa essere una donna nello sport? Sgomitare, lottare, farsi spazio in un mondo spesso conservatore, maschile, pieno di pregiudizi. Abbiamo ripreso un passo molto indicativo, da un’intervista dell’agosto del 2001, che Fiona ha rilasciato a Claudio Sabelli Fioretti, giornalista del Corriere della Sera:

“Il mondo è sempre per l’uomo, gli allenatori sono uomini, gli spettatori anche, e noi atlete non dobbiamo solo fare le gare e vincere, dobbiamo anche essere belle. Nessuno guarda se un campione è bello o brutto. Noi invece dobbiamo essere donne nella vita normale e uomini negli allenamenti e nelle gare. Dobbiamo essere cattive, e dure in pista. Noi lavoriamo come uomini.”

Come possiamo contraddirla? Combattere ed insegnare a combattere, questo fa Fiona da una vita. Da un’intervista per Vanity Fair:

“Spero di riuscire ad aiutare le ragazze italiane con la pelle scura a sentirsi più forti”,

Una frase molto potente, che si sprigiona nell’aria come Fiona durante un salto, maestosa. Seppellire il razzismo con la qualità, con l’intelligenza, con il sorriso di chi è più forte, per superare una barriera che ci impedisce, ancora oggi, di essere fieri, di essere umani.

Illustrazioni di Augusto Titoni, vv Kidz, atelier that I am, @vv_kidz