Quella sera a Firenze con Mark Lanegan

mark lanegan

Tra i padri della scena grunge di Seattle e una delle voci più affascinanti del rock americano, si è spento ieri a soli 57 anni. Numerosi i suoi concerti a Firenze e in Toscana.

Quella sera del 30 novembre 2012 al Viper di via Pistoiese per il concerto di Mark Lanegan eravamo in tanti. C’erano amici vecchi e nuovi, la mia ragazza Elena (tutti lettori di FUL…) e i fantasmi degli ultimi 10 anni della mia vita. Cioè da quando sui banchi dell’Università in via Laura un compagno di studi mi passò un album da ascoltare: Whiskey for the Holy Ghost. La musica di Lanegan da quel momento mi avrebbe accompagnato ovunque e io lo avrei seguito in tutti i suoi capitoli discografici. Non ero molto interessato alla sua produzione come frontman degli Screaming Trees, tra la fine degli anni ’80 e gli inizi dei ’90, quando il grunge “puro” spopolava – cioè Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden e Alice in chains – quanto piuttosto alla produzione da solista.

Ovvero dall’esordio The Winding sheet, addirittura risalente al 1991 e che vide la partecipazione di Kurt Cobain, a Bubblegum nel 2004. Album della rinascita del “cavaliere nero”, lo regalai a Meri, la ragazza che frequentavo all’epoca. Le canzoni di Bubblegum furono portate da Lanegan in tour in Europa dopo il successo di Songs for the Deaf dei Queens of the Stone Age, 2002, dove era voce ospite. Io e Valerio Grana – altro autore di FUL magazine – andammo fino al mitico Velvet di Rimini per sentirlo in concerto! Con Valerio ero pure alla FLOG nel dicembre 2006, quando tornò accompagnando i Twilight Singers di Greg Dulli. E ancora di nuovo a gennaio 2009 sulla collina del Poggetto, stavolta tutti seduti per un intimo live acustico.

Il cantante di Seattle tornò pure l’anno dopo a Firenze, al Viper, con Isobel Campell dei Belle & Sebastian in una delle sue numerose collaborazioni. Ne ho già citate qualcuna sopra, a cui bisogna aggiungere Soulsavers, Moby, UNKLE, Duke Garwood, PJ Harvey e i nostri Afterhours. Per i 20 anni di Hai paura del buio? si era addirittura cimentato nella cover di Pelle, cantando in italiano! In Italia, proprio grazie a Manuel Agnelli, aveva scoperto la discografia di Fabrizio De André.

Tra l’altro, in una intervista a The Quietus aveva inserito Canzoni (il disco che contiene La canzone dell’amore perduto, NdR) nella top 10 dei suoi dischi preferiti. Ma ovviamente la collaborazione madre è stata nel progetto Mad Season, con Layne Staley degli Alice in chains e Mike McCready dei Pearl Jam. Era il 1995, fu pubblicato Above, un disco capolavoro che fu anche il requiem sul grunge e sulla scena di Seattle. 

Da Bubblegum del 2004 a Blues Funeral del 2012, Mark Lanegan non aveva più scritto canzoni. Si era limitato a fare da guest star nei dischi degli amici musicisti. Poi si era ripreso la scena con tutti i suoi fantasmi di una vita segnata da eroina, alcolismo e la perdita degli amici più cari: Kurt Cobain e Layne Staley, appunto. Kurt e Layne, quanto ci mancano, da lui definiti come “fratelli” nella sua autobiografia Sing Backwards and Weep, uscita lo scorso anno anche in italiano per Officina di Hank edizioni. 

Blues Funeral è probabilmente il punto più alto della carriera di un artista sensibile e originale, degno erede di due mostri sacri quali Tom Waits e Leonard Cohen. <<Il blues non è un genere musicale, ma un’emozione>> aveva rivelato in un’intervista a Repubblica prima del concerto al Pistoia Blues del 2014. Eppure in quegli anni la sua musica si era evoluta, sempre romantica ma contaminata dall’elettronica e dai sintetizzatori, da apparire ancora più originale all’ascolto.

In Toscana lo abbiamo rivisto in un gremitissimo Teatro Metastasio di Prato nel 2016. Poi, l’ultima volta, di nuovo ospite al Pistoia Blues del 2018. Chiudendo metaforicamente un cerchio con la nostra regione, dato che in zona si era esibito nel primo tour europeo agli inizi degli anni ’90, in un contesto ben più intimo: il Backdoors di Poggio a Caiano!

Mark Lanegan, figura di culto del rock americano, ci lascia un’eredità importante: una discografia sterminata tra album con gli Screaming Trees, carriera solista e collaborazioni varie. La critica ha sempre accolto con entusiasmo quelle canzoni segnate dall’inconfondibile voce baritonale e cupa. E poi ci sono due libri. Oltre alla già citata autobiografia del 2020, lo scorso dicembre aveva dato alle stampe il suo secondo racconto di memorie, Devil in a coma. Qui metteva in fila tutti i suoi pensieri scaturiti durante il ricovero in rianimazione per aver contratto il Covid. Il libro seguiva i temi oscuri dell’ultimo suo album in studio, Straight Songs of Sorrow, concepito durante il periodo del lockdown.

Dai tempi dell’università ne sono successe di cose nella mia vita, ma per certi versi il mio animo è sempre quello della sera al Viper con Mark Lanegan. A fine concerto si mise in un angolo per firmare autografi e parlare con i fan. Gli diedi la mano e gli chiesi come stava.

<<Bene, e tu?>> rispose. Già, io non lo so come sto… Buon viaggio Mark. 

cover: @Dani Cantò via Flickr