Perché si dice uscio e bottega?

uscio e bottega firenze

“Uscio e bottega” è una di quelle combinazioni di parole in cui la somma dei significati, supera il significato dei singoli termini. Come il pane e l’olio che si sublimano in bruschetta, per dire.
Uscio” indica letteralmente la soglia della porta e deriva dal latino antico ostium (porta) e in Toscana si usa frequentemente come sinonimo della stessa. Siamo abbastanza sicuri di citare gli avi di parecchi di noi nel riportare fedelmente l’esclamazione “Chiudi l’uscio che c’è riscontro!”, giusto?

“Bottega” invece è un termine di origine greca ἀποϑήκη (apotheca, in latino) che indicava il ripostiglio, il magazzino degli attrezzi. Nella splendida Firenze del Rinascimento però questa parola assunse un significato diverso: la bottega era il luogo dove si imparava l’arte e l’artigianato, il laboratorio di artisti più o meno famosi che si dedicavano alla realizzazione di opere pubbliche e private, tanto è vero che, in seguito, il termine “bottega” acquisì anche il significato di “scuola artistica” (es: la Bottega del Verrocchio).

Ma perché questi due termini si associarono impunemente per formare un popolarissimo modo di dire? La risposta è nascosta nell’architettura della città. Le botteghe fiorentine ricordano la struttura di quelle antico-romane: il bancone del commercio si trovava infatti affacciato sotto un grande arco nella parete ed era qui che la merce veniva acquistata. Raramente i clienti entravano dentro la bottega perché spesso l’ingresso al negozio corrispondeva anche all’entrata della casa privata del negoziante –generalmente posta nel retrobottega.

Da qui il termine “uscio e bottega” venne prima usato per indicare che il luogo di lavoro e l’abitazione erano di fatto lo stesso posto, poi che erano molto vicini tra loro: “Lavoro a due passi da casa, sono proprio uscio e bottega!”
Una testimonianza di questo è rimasta in Borgo San Jacopo, dietro Ponte Vecchio, dove esiste ancora la facciata di una vecchia bottega fiorentina risalente al Rinascimento: una prova attendibile che attesta l’origine del detto popolare.

Articolo a cura di Rita Barbieri