Questione di (f) forme, una mostra collettiva sulla rappresentazione del corpo femminile

TATIANA MINELLI

A Libri Liberi il progetto dell’Associazione Culturale La Mosca
in collaborazione con L’Eredità delle Donne

Come si vede il corpo femminile?
Che immagine proietta all’esterno e, viceversa, come percepisce se stesso?

Questo il tema di Questione di (f) forme, la mostra in programma dal 22 al 27 ottobre presso Libri Liberi (via San Gallo 25r) organizzata dall’Associazione Culturale La Mosca. Le promotrici dell’iniziativa hanno ideato un percorso immersivo tra opere d’arte, riflessioni e atmosfere per riflettere sul modo in cui guardiamo al corpo femminile.

Uno sguardo spesso pornografico, che ha conseguenze enormi – e a tratti drammatiche – sull’autorappresentazione che una donna può avere: il modo in cui guardiamo al corpo cambia il modo in cui il corpo si percepisce e si mostra. Una sorta di paradosso per cui l’osservazione può modificare la stessa essenza del corpo e lo riduce alla stregua di un oggetto, come nella mente dell’osservatore meno sensibile.

SONJA DE GRAAF

Per discutere di questo fenomeno, forse il tema più suggestivo della mostra, abbiamo incontrato le socie de La Mosca: Martina, storica dell’arte specializzata in management e neuroestetica; Roberta, traduttrice e copywriter; Giulia, educatrice professionista laureata in filosofia.

  • Come nasce La Mosca? E qual è l’obiettivo della vostra mostra?

Giulia: Il festival L’Eredità delle Donne ci ha dato l’input per dare uno sfogo concreto a riflessioni, domande, spunti su cui discutevamo da tempo. Come una mosca, vogliamo avere una visione a 360 gradi sui temi, volare intorno agli argomenti e alle persone e magari dare pure fastidio: un fastidio che per noi significa affrontare temi culturali e sociali da punti di vista che possono risultare anche scomodi, o quantomeno inusuali. Le tematiche di genere, per quanto al centro del dibattito, spesso sono trascurate per quanto riguarda argomenti come l’oggettivazione del corpo e le sue potenzialità espressive. Da questo spunto nasce Questione Di(f)forme.

  • Quando descrivete l’oggettivazione dei corpi femminili, parlate di come spesso  soffrano di una rappresentazione iperbolica che accentua i tratti femminili. Allo stesso tempo però si fa fatica a uscire da un canone stereotipato, creando così una figura inesistente, che diventa quindi un modello irraggiungibile per chiunque voglia raggiungerlo. Come uscire da questa narrazione tossica?

Roberta: Sicuramente non è semplice uscire da questa narrazione.  Un modo per farlo potrebbe essere quello di riappropriarsi del proprio corpo, di quella che è la PROPRIA narrazione. Se la narrazione mainstream deriva da una rappresentazione esterna, acquisita indirettamente e presa a modello di riferimento, il suggerimento potrebbe essere quello di riappropriarsi di una narrazione interna, di una storia personale che si scrive su ed iscrive i nostri corpi.

Riappropriarsi del proprio corpo rappresenta un percorso personale, qualcosa di molto complesso e non riducibile a modelli predefiniti. Osservarsi dentro e imparare a conoscersi è sempre più difficile, in un contesto narrativo in cui anche le differenze, quando accentuate, vengono presentate in una forma stereotipata. Anche l’esaltazione delle differenze rischia di diventare una diversa forma di stereotipizzazione: serve prima di tutto una ricerca di una narrazione personale e interna.

Le opere d’arte che abbiamo deciso di esporre servono proprio a narrare corpi personali. Qui la storia personale del corpo emerge in modo anche violento e sofferente a volte, con imperfezioni, trucco colante, tagli, frecce che trafiggono nel caso di James.

JAMES VEGA
  • Che funzione può avere l’arte per affrontare questo tema?

Martina: Il corpo vivo, il corpo individuale sfugge a qualsiasi tentativo di riduzione e si presenta come eccedenza, come una realtà non oggettivabile che si sottrae a qualsiasi tentativo di controllo. In questa prospettiva, l’arte ha una funzione centrale: essa può ribaltare con il suo sguardo il paradigma dell’oggettivazione. Può scorgere, raccogliere e dare visibilità a quel corpo dimenticato e scartato dallo sguardo normante. Si assiste perciò ad un processo iperbolico al contrario attraverso il quale gli elementi negati e rimossi dal corpo oggettivato riemergono con forza, esaltati e celebrati dallo sguardo dell’artista.

  • Voyeurismo, oggettivazione e piacere estetico: i temi che affrontate sono sicuramente (e fortunatamente!) di grande attualità. Ma presentarli in maniera originale, senza rischiare banalizzazioni né letture “mainstream” richiede grande fatica. Come avete risolto questo problema?

Giulia: In una società dove tutto sembra avere un prezzo, l’oggettivazione è anche mercificazione. Lo stesso piacere diventa qualcosa di stereotipato e si allontana sempre di più dal desiderio, che invece è qualcosa di personale, di individuale. Il suggerimento è questo: tornare al proprio corpo, al proprio desiderio.

Roberta: La relazione tra corpo oggettivato e processi cognitivi è forse il tema più interessante e delicato. Abbiamo pensato a un percorso di spunti di riflessione, un sentiero in cui potevamo creare delle domande nella testa delle persone: chi esce dalla mostra non avrà la risposta ma le domande. Il nostro obiettivo per ora è quello di creare curiosità per fare in modo che le persone approfondiscano il tema o inizino ad interessarsene. Tra le righe lo sfondo sociologico e politico si fa chiaramente sentire, non potendo esulare dal contesto in cui viviamo e agiamo.

TATIANA MINELLI
  • Questione di (f) forme presenta le opere di tre artisti molto diversi tra loro, ognuno dei quali rappresenta il corpo femminile in maniera unica ed estremamente personale: lo street artist James Vega, la fotografa Tatiana Minelli e la pittrice Sonja De Graaf. Come li avete selezionati e qual è il fil rouge che collega i loro lavori?

Martina: Abbiamo scelto questi artisti perché il loro lavoro interessa molto le dinamiche che riguardano il corpo nelle sue forme più svariate. Non hanno un modello, ma dipingono seguendo l’empatia e il sentimento, evidenziando quello che il corpo dice di altro.

James Vega, che nasce come street artist, rende questi corpi quasi caricaturali, totalmente scostati dalla rappresentazione canonica di un corpo, dà loro una dignità puramente umana. Sono soggetti vivi, guardandoli quasi si sente la loro sofferenza o la loro gioia, e il tema della relazione e del legame è una costante del suo lavoro: che sia con la persona amata, con un figlio, in un’amicizia, con la natura, o con se stesse. Tatiana Minelli invece pone il suo occhio dietro la rappresentazione fotografica, dando un’immagine reale del corpo. Lo evidenzia in pose tipiche delle pubblicità, da cui prende molto essendo il suo campo lavorativo, ma togliendo tutta la parte di postproduzione (in cui normalmente si eliminano a tocchi di Photoshop le forme reali dei corpi rendendoli privi di vita, quasi plastificati). Tatiana fa esattamente l’opposto: restituisce alla vita quei corpi, nelle loro imperfezioni e nei loro turbamenti emotivi. Sonja De Graaf crea invece dei corpi sfumati, erotici, non pornografici, dove ritroviamo tutta l’esuberanza dell’eros e la sua non perimetrazione entro confini definiti.

SONJA DE GRAAF

Questione di(f)forme” è un’iniziativa del calendario OFF de L’Eredità delle Donne, ideato da Associazione La Mosca e realizzato in collaborazione con Time Out Vibes e LibriLiberi.
Dal 22 al 27 ottobre 2021
Opening venerdì 22 ottobre ore 17.00
Venerdì 22 ottobre: ore 17-20                                                       
Da Sabato 21  a mercoledì  27: ore 10-20
Ingresso a offerta libera

Per maggiori informazioni:
email associazionelamosca@gmail.com                     
tel +39 338 5699786
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Alessandro Bezzi