Il nome di Firenze è indissolubilmente legato al Rinascimento, a quella cultura umanista che superò il Medioevo e aprì le porte dell’era Moderna. Quattro generazioni di pensatori, filosofi, politici, artisti, un’esigua minoranza nell’Europa ancora quieta sotto le ceneri delle rovine trecentesche, che viaggiò, scoprì ed elaborò le fondamenta del nostro mondo.
All’epoca la Cristianità era divisa tra occidente e oriente, tra Cattolici Romani, sudditi del Papa, e Ortodossi, sudditi dell’Imperatore Romano d’Oriente. Dopo due secoli di Crociate, l’Europa aveva distrutto non tanto il mondo mussulmano, oramai risollevatosi dalle difficoltà sotto l’egida dei trionfanti Turchi, bensì quello Cristiano Orientale, ferito mortalmente dai Crociati latini.
Per salvarsi dal crollo, l’Impero Romano d’Oriente, da sempre orgoglioso custode di quella tradizione classica e cristiana ricevuta dal proprio fondatore Costantino il Grande, decise di scendere a patti con l’Occidente “eretico”. Il Papa convocò, in accordo con il Patriarca di Costantinopoli Giuseppe e le autorità ecclesiastiche, un Concilio Ecumenico per riunire le due parti del mondo cristiano.
Dopo una prima sessione a Ferrara, il Papa trasferì il Concilio a Firenze, il 27 Gennaio del 1439. Quel giorno venne dichiarato festivo e vi fu un’entrata trionfale di Papa Eugenio in città. Qualche giorno dopo arrivarono l’Imperatore Romano d’Oriente Giovanni VIII Paleologo, il cui ritratto, realizzato da Benozzo Gozzoli, è ancora oggi visibile nella Cappella dei Magi a Firenze, e il Patriarca Giuseppe. All’epoca la città era già un focolaio di cultura umanista, tanto che il cancelliere della Repubblica, Leonardo Bruni, potè accogliere l’Imperatore e il Patriarca d’Oriente con solenni discorsi in greco classico.
Il compito di riunire le due chiese però era arduo. Non erano sopiti i vecchi rancori tra occidentali e greci, ma l’urgenza del pericolo Turco (che in cento anni avrebbe conquistato la cristianità orientale e in duecento la quasi totalità del mondo mussulmano) spinsero verso una riconciliazione di facciata in cambio di aiuti militari. I lavori iniziarono a febbraio, nel Palazzo Apostolico di Santa Maria Novella, e si chiusero il 6 Luglio, con la messa celebrata dai cardinali Cesarini e Bessarione.
Intanto, nelle case e nei giardini della Firenze Medicea, avvennero altri incontri, più informali ma le cui conseguenze avrebbero avuto effetto sin da subito e per un lunghissimo periodo. Infatti, assieme ai sacerdoti e all’Imperatore d’Oriente, erano giunti in città quei dotti greci che per mille anni avevano conservato e rielaborato il sapere classico, greco e romano,
Personaggi come Emanuele Crisolora, Giorgio di Trebisonda, Teodoro di Gaza e “l’Ultimo dei Greci” Gemisto Pletone a noi oggi non dicono nulla, ma coloro con cui parlarono al contrario sì: artisti e architetti come Brunelleschi, Donatello, Ghiberti, Leon Battista Alberti, musicisti come Squarcialupi, matematici come Toscanelli, umanisti come Poggio Bracciolini, Leonardo Bruni, Niccolò Albergati. I codici greci scambiati in questi incontri divennero la base della riscoperta dei classici in Occidente, con essi anche il neoplatonismo che formò la generazione successiva di umanisti: Lorenzo il Magnifico, Marsilio Ficino, Angelo Poliziano, Pico della Mirandola e molti altri. E, piccola curiosità, dall’apprezzamento che i greci espressero per la cucina e la carne fiorentine nacque il nome del piatto Arista (buonissimo in greco).
L’unione delle Chiese non riuscì ad attecchire, né salvò Costantinopoli dal potere dei turchi (“meglio il turbante che la tiara” era il detto dei greci all’epoca), ma l’incontro dei liberi pensatori d’Oriente e d’Occidente portò a un passaggio di testimone tra quella civiltà greca orientale, custode della memoria classica durante il millennio medievale, e la civiltà occidentale, che con quelle nuove conoscenze avrebbe costruito l’Europa moderna.
NICCOLÒ BRIGHELLA