Tampon Tax: Firenze dice "No" alla tassa sugli assorbenti

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In Italia circa un milione di donne usano dei “beni di lusso” quattro giorni su trenta. Sono assorbenti, coppette mestruali e tamponi che secondo lo stato italiano rientrano nei cosiddetti beni di lusso, con l’IVA al 22%, uguale a quella dei diamanti. Ed ecco, si parla della Tampon Tax: la tassa sui prodotti mestruali per cui Firenze dice “No”.

Tampon Tax: perché Firenze dice “No”

Da anni in Parlamento si discute su questa famigerata Tampon Tax per la richiesta della riduzione o dell’esenzione. In questi giorni a Firenze il Consiglio Comunale ha richiesto di ritrattare l’argomento ponendosi a favore del “No alla Tampon Tax” e che per alcuni si tratta di una vera e propria “battaglia di civiltà”.

“Si stima che ogni mese 21 milioni di donne acquistino prodotti sanitari, per un totale di circa 2,6 miliardi. Il prezzo medio di una confezione di assorbenti è di 4 euro. Un prezzo folle, considerando che è indispensabile! Ancora più folle data l’Iva al 22% che è l’aliquota massima contemplata dal nostro sistema fiscale. Questa tassa, non solo è inaccettabile sul piano sociale e culturale, ma è anche causa del fenomeno chiamato ‘povertà mestruale’, ovvero del disagio, anche per ragioni economiche, nel non potersi garantire un’igiene adeguata durante tutto il periodo mestruale attraverso appositi dispositivi sanitari e in luoghi idonei”, spiega in un articolo su Repubblica la consigliera comunale Laura Sparavigna.

Tampon Tax: perché in Italia si paga la tassa sugli assorbenti

C’è da chiedersi infatti perché un prodotto di assoluta necessità per le donne deve essere considerato un bene di lusso? Donne come la deputata del PD Laura Boldrini, ma anche uomini come Giuseppe Civati del movimento Possibile, hanno cercato di invertire la tendenza italiana che fa sborsare una media di 8 euro al mese per comprare qualcosa di assoluta necessità. Le loro proposte sull’abbassamento dell’Iva sono però state finora bocciate e bloccate dal M5S e dalla Lega. Il perché sta in un problema riguardante il costo che sarebbe di 212 milioni per portare l’Iva dal 22% al 10%, di oltre 300 milioni per portarla al 5% e di evitare scontri con Bruxelles e a possibili procedure d’infrazione.

Quest’ultima motivazione è però discutibile per due punti: il primo è che una normativa del Consiglio Europeo, diffusa il 28 novembre 2006, ha aperto i tagli di imposta ai “prodotti di protezione per l’igiene femminile”. Il secondo punto vede infatti che nella maggior parte dei Paesi europei la tassa è stata abbassata. Paesi come la Francia la Tampon Tax è stata ridotta dal 20 al 5,5 per cento. In Belgio è passata dal 21 al 6 percento, mentre nei Paesi Bassi era già al 6 per cento, in fine, l’Irlanda ne ha stabilito l’esenzione.

Cosa ha fatto il governo riguardo la Tampon Tax

Un piccolo riscontro positivo è avvenuto solo lo scorso novembre con l’abbassamento dell’IVA al 5% degli assorbenti compostibili e biodegradabili. Ma questa risposta ritenuta come “un gran passo avanti”, diventa invece un passo indietro. Gli assorbenti compostibili e biodegradabili sono un prodotto di nicchia e sono molto costosi rispetto a quelli più commerciali. Questo significa che l’abbassamento dell’Iva al 5% equivale nettamente all’Iva del 22% su un prodotto con costi meno eccessivi. Inoltre, al momento non risultano assorbenti in commercio con certificazioni che ne permettano il compostaggio negli impianti.

Dunque, c’è ancora molto da fare. E se questa è una “battaglia di civiltà” bisogna chiedersi come mai l’esenzione della Tampon Tax sia arrivata in stati come il Kenya, India, India, Libano, Nicaragua, Nigeria e Tanzania, dove i diritti delle donne sono minori e quasi inesistenti rispetto ai paesi occidentali, e perché in Italia l’emancipazione femminile e uguaglianza di genere sembrano a volte parole sterili e vuote? Perché è un lusso essere donna?

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