Sperimentazione di tecniche e materiali uniti a una riflessione contemporanea: Andrea de Ranieri, pisano classe 1975, frequenta la facoltà di architettura e si dedica al design ma è la ricerca artistica ciò che più intimamente lo interessa tanto da decidere di abbandonare tutto per dedicarsi alla pittura e alla scultura e farne, dal 2013, una professione.
Ricerca e originalità sono gli elementi che hanno da sempre mosso il suo lavoro artistico, così da poter dare sempre nuovo volto alle sue opere. Il coraggio della sperimentazione è alla base della sua ricerca poetica: nuove tecniche e materiali vengono sfruttati in tutte le loro caratteristiche peculiari per ottenere risultati che siano in grado di sorprendere. Le sue sono opere in cui, dal cemento liquido e pastoso, emergono le campiture di colore piatto di cere e di oli, con le applicazioni di metallo a racchiuderle e esaltarle, creando un alfabeto artistico intimo e personale.
Artista eclettico, ama sperimentare e indagare. Così negli ultimi anni la sua poetica ha virato a favore di una figurazione pop, capace di guardare al mondo contemporaneo con coscienza critica. I suoi ultimi lavori sono luoghi abitati, strutture sociali che convivono, storiche architetture e simboli sradicati dai loro luoghi topici e isolati. Le nature morte si popolano di armi, diventando rappresentazioni anticlassiche che mettono in discussione il comune senso di quadro decorativo; uomini senza volto trovano un’esaltazione del loro corpo della loro personalità. Come solo i bravi artisti sono in grado di fare, nei suoi lavori la complessità delle tecniche artistiche utilizzate scompare nella pulizia e nella semplicità delle figurazioni e diventa l’elemento chiave della sua poetica artistica.
L’abbiamo intervistato per sapere di più delle sue tecniche e dei suoi lavori.
All’inizio l’arte era una forte passione ma non era ancora una professione. Come hai iniziato quindi a fare arte?
Ho iniziato dalla falegnameria; realizzavo opere tridimensionali e inserivo degli innesti, già quella era una prima sperimentazione in effetti. Il passo successivo è stato quello di creare delle sculture da cui sono passato poi a realizzare quadri astratti, sempre all’insegna della sperimentazione. Solo in un’ultima battuta sono giunto a creare opere figurative.
Come ha influito la tua formazione accademica nel campo dell’architettura all’interno della tua sperimentazione artistica?
La conoscenza dell’architettura e dei materiali da costruzione mi ha sicuramente permesso di sfruttare le peculiarità di materiali come il metallo, il cemento, il legno, la pece e la cera, composti che non si deteriorano e che durano nel tempo.
In che modo sperimenti i materiali nella creazione delle tue opere d’arte?
Ho notato che la materia decontestualizzata e usata per la resa pittorica può avere un impatto visivo dirompente. Ad esempio l’impiego del cemento, della cera e della pece, lavorati in modi diversi, producono un duplice effetto: innanzitutto creano una densità e una profondità alle opere e poi riescono ad esaltarne i colori, donandogli effetti dinamici altrimenti irraggiungibili. Inoltre ho notato che l’inserimento ad esempio di elementi in metallo crea un effetto che, paradossalmente, riesce ad alleggerire l’insieme pittorico.
Prima accennavi al fatto che le tue prime opere sono state opere scultoree…
Sì, in effetti tutto è iniziato dalle sculture realizzate in metallo e smalto: ne ho realizzate alcune geometriche e lineari fatte di cubi e parallelepipedi vuoti sembravano sfidare la legge di gravità, come se fossero stati colti in un equilibrio precario. Altre hanno invece forme rotonde e più articolate, sono figure dinamiche che ricordano grossi bruchi o giochi di bambini; mi piaceva che avessero una dimensione più divertente e onirica. Da qui poi è venuto il desiderio di provare a dipingere.
Quindi la creazione di opere astratte nasce dalla voglia di sperimentare i materiali?
Ero incuriosito dall’idea di applicare questi materiali su tavola. Ho deciso quindi di provare a distendere il supporto orizzontalmente e adottare una sorta di processo preparatorio che però non fosse semplicemente qualcosa che una volta dipinto il quadro sarebbe scomparso. Questo lavoro diventa una parte integrante e fondamentale dell’opera: per prima cosa fondo la cera e la stendo con una serie di precisi movimenti che vadano a creare delle pennellate incrociate e intrecciate, come se fossero la trama di un tessuto. Questa fase è molto importante perché queste pennellate apparentemente trasparenti in realtà si integrano con il colore e ne esaltano la materia. Successivamente applico degli smalti diluiti che entrano nella profondità della cera intasandone i pori; quando la parte acquosa evapora, ciò che resta sono dei doppi colori, colori diversi da quelli che avevo applicato perché in questo procedimento hanno una sorta di metamorfosi che ne cambia anche la percezione all’occhio.
La sperimentazione di una grande varietà di materiali è quindi il fil rouge che unisce tutta la tua produzione. Ma come si inserisce nelle opere figurative?
Un paio di anni fa circa l’astratto ha iniziato a non bastarmi più, sentivo come il bisogno e la voglia di raccontare qualcosa in più; allo stesso tempo non volevo abbandonare la mia ricerca sulle tecniche e i materiali. Ho iniziato quindi a seguire un procedimento in tre fasi: in prima battuta faccio un disegno a matita colorato e uso le mani per scaldare le tinte e dare uniformità al colore sulla tavola di legno. A quel punto stendo la cera con una trama a intreccio e applico anche degli inserti, dei cordini di cotone che contribuiscono a creare un effetto tridimensionale che accentua i contorni e forza le prospettive. Poi lascio asciugare e dopo un giorno circa passo alla stesura del colore con pastelli a olio; solo alla fine, dopo aver aspettato ulteriormente che i colori perdano un po’ della loro oleosità, procedo a tracciare le linee nere di marcatura che accentuano ulteriormente i contorni.
Nelle opere figurative esprimi un punto di vista personale sulla società contemporanea e su alcuni accadimenti dei giorni nostri. È il caso ad esempio del progetto Sacred, che vuole ridare importanza al pensiero critico, sacralizzando concetti e figurazioni nel tempo dimenticati. Puoi parlarcene?
Sacred è un progetto nato nel 2018 in cui i protagonisti sono le persone, gli animali, la natura, ai quali do questo attributo di corone simili ad un’aureola, che non vuole richiamare necessariamente il cristianesimo perché è in realtà un elemento comune a tantissime religioni, ma vuole essere una traccia mistica che sacralizzi il soggetto. L’ispirazione per i soggetti viene sul momento, si basa spesso su cose che mi colpiscono intimamente, ma punta sempre a ridare importanza a concetti e valori che oggi ignoriamo, banalizziamo o non consideriamo affatto. Per questo ho usato l’aureola soprattutto sui bambini: per dare un senso di speranza, per questo esiste una serie intitolata “I HAVE A DREAM”. L’antica iconografia si scorpora così dalla tradizione e viene riportata ai tempi nostri. Da questo progetto nel 2019 è nato poi il progetto Sacred- ripensare l’arte antica, in collaborazione con l’università di Pisa, con lo scopo di rivisitare l’arte antica, in particolare le statue greco-romane, in chiave contemporanea, da cui è nato anche un libro- catalogo della mostra “Sacred. Ripensare l’arte antica”, scritto da Chiara Tarantino.
Anche il lockdown è stato per te un momento di riflessione artistica?
Durante il lockdown mi sono trovato nell’impossibilità di dipingere con modelli dal vivo; questo limite mi ha dato l’idea per un nuovo progetto: “Maschere”. Ho creato una serie di maschere con delle buste di carta per uso alimentare e le spedite per posta ad alcune persone che hanno deciso di prendere parte al progetto; loro poi procedevano a scattarsi delle foto e ad inviarmele. In quelle fotografie ho trovato i miei modelli a cui ho cambiato solo lo fondo, quasi sempre un motivo grafico che contribuisce a far risaltare i soggetti e dargli tridimensionalità. Anche in questa serie ho applicato lo stesso trattamento a cera, ovunque tranne che sulla parte degli occhi. In questo modo le pupille risaltano particolarmente e l’attenzione ricade proprio su quell’elemento che è comunemente definito filtro dell’anima. Ho notato infatti come le persone, coperte dal filtro di quella maschera riescano a liberarsi e a tirare fuori lati nascosti del proprio essere. A volte una maschera ci costringe a fingere di essere qualcosa che non siamo e altre volte ci rende incredibilmente liberi e autentici.
Puoi dirci a cosa stai lavorando adesso?
Questa riflessione sulle maschere mi ha interessato molto e ho deciso di svilupparla ulteriormente in scultura. Sto lavorando ad una serie di icone di donne e uomini mascherati realizzate in cemento tramite degli stampi che poi vengono decorati e trattati con la resina che gli conferisce grande luminosità. Il lavoro è ancora in via di sviluppo ma vorrei continuare questa sperimentazione su statue a dimensione naturale.
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