Gli Stati membri della Commissione sugli stupefacenti cancellano la pianta dalla lista delle sostanze dannose
Per tutti i sostenitori delle proprietà benefiche di questa pianta, il 2 dicembre 2020 è una data destinata a entrare nella storia. La notizia giunta da Vienna, infatti, ha scatenato l’esultanza dei numerosi fan della canapa in Italia e nel mondo intero.
Nel nostro paese, a dire il vero, gli ultimi quindici anni hanno fatto registrare dei cambiamenti significativi su questo tema. La canapa terapeutica, ad esempio, è legale dal 2007 e la vendita di cannabis light è consentita dal 2016 grazie alla legge 242, che ha scatenato un vero e proprio boom degli shop di CBD come Justbob.
Tuttavia, la decisione presa dalla maggioranza dei rappresentanti di questo organismo internazionale ha creato un precedente che potrebbe spianare ulteriormente la strada a una maggiore apertura nei confronti di questa pianta, demonizzata per decenni.
Ma cosa è successo esattamente, in quel di Vienna?
La decisione dell’ONU sulla cannabis
La capitale austriaca ha ospitato la riunione della Commissione sugli stupefacenti delle Nazioni Unite, chiamata a esprimersi su una serie di tematiche. Tra i punti all’ordine del giorno, quello più atteso era quello relativo alla rimozione della cannabis dalla Tabella IV della Convenzione unica sugli stupefacenti, un trattato internazionale del 1961 includente le sostanze stupefacenti dannose e, quindi, proibite.
La decisione in merito alla modifica di tale documento ha catturato l’attenzione dell’opinione pubblica principalmente per due motivi: il primo è che l’Organizzazione Mondiale della Sanità chiedeva da ben due anni agli stati membri di esprimersi in maniera chiara a riguardo; il secondo è che, a causa di visioni distanti tra i paesi aperturisti e quelli tendenti al proibizionismo, questa votazione è stata più volte rinviata.
Stavolta, i 53 stati membri si sono pronunciati e, con 27 voti favorevoli (incluso quello dell’Italia), 25 contrari e un’astensione (quella dell’Ucraina), sono giunti alla conclusione che la canapa e i suoi derivati debbano essere rimossi dalla tabella delle sostanze psicotrope pericolose, tra le quali figurano droghe come la cocaina e l’eroina. Tra i voti contrari, spiccano quelli della Russia e dell’Ungheria. Ma, soprattutto, incuriosisce il fatto che la maggior parte dei membri africani e asiatici, rappresentanti di due continenti in cui storicamente si è sempre fatto ricorso a questa pianta per vari scopi, incluso quello medicale, abbiano votato contro.
La spinta dell’OMS è stata indubbiamente un fattore importante per il raggiungimento di questo risultato, ma ancora di più lo sono stati i numerosi studi scientifici sul CBD (cannabidiolo), principio attivo non psicotropo presente nella cannabis in percentuali maggiori rispetto a tutte le altre sostanze. Il CBD, stando a quanto dicono molti scienziati e studiosi, non solo non ha alcun effetto stupefacente ma avrebbe diversi effetti terapeutici.
A scanso di equivoci, però, è opportuno precisare che la cannabis include anche un principio attivo psicotropo, il THC. Di conseguenza, la pianta rimane nella Tabella I delle sostanze vietate dalla Convenzione unica sugli stupefacenti e il suo utilizzo non è assolutamente consentito per scopi ricreativi. Il discorso cambia per quanto riguarda il cannabidiolo che, in virtù dei suoi effetti non alteranti, non è soggetto a vincoli.
Ma, dal momento che la decisione di rimuovere dopo 59 anni la canapa dalla Tabella IV è strettamente legata alla volontà di intensificare la ricerca scientifica e snellirla dal punto di vista burocratico, vediamo in quali casi il suo utilizzo può essere benefico per il trattamento terapeutico di alcune condizioni e patologie.
Quando la canapa può essere terapeutica…
Se il maggiore organismo internazionale per la sanità ha esortato l’ONU a prendere una decisione in merito alla canapa è anche perché la ricerca scientifica ha mostrato risultati incoraggianti circa la sua potenziale utilità terapeutica. In tempi antichi, l’uomo ha fatto uso di questa pianta per diversi scopi, incluso quello curativo, ma senza avere alcuna evidenza scientifica dei suoi effetti positivi.
Oggi, grazie all’impegno di numerosi scienziati, ci sono svariati studi che dimostrano come la cannabis possa aiutare nel trattamento di stati debilitanti e patologie. Ecco alcuni esempi.
Lo stress e l’ansia sono due stati psicofisici molto diffusi nella società moderna e, in molti casi, possono degenerare in condizioni gravi come la depressione. La ricerca scientifica ha dimostrato che il CBD interagisce con i recettori del sistema endocannabinoide, attivo sia a livello cerebrale sia periferico. L’assunzione del cannabidiolo, dunque, contribuisce alla distensione muscolare e a un generale senso di rilassamento, fornendo un valido aiuto ai soggetti affetti da stati ansiosi e stress.
Il cannabidiolo ha anche proprietà antinfiammatorie e antidolorifiche: stando a vari esperimenti, esso costituisce un alleato nel trattamento di stati infiammatori e del dolore, anche perché i suoi effetti collaterali sono decisamente minori rispetto a quelli dei farmaci chimici.
Dalla scoperta di queste proprietà è nata la volontà – da parte di alcuni scienziati – di studiare gli effetti della cannabis sui pazienti colpiti da patologie come sclerosi, morbo di Parkinson ed epilessia. Le ricerche sono in corso, ma le evidenze scientifiche sugli effetti positivi della canapa su questi soggetti sono incoraggianti. Il CBD, infatti, aiuta ad attenuare gli spasmi muscolari e ha effetti sedativi importanti.
La ricerca si sta concentrando anche sull’utilizzo della cannabis nei pazienti malati di cancro, sia per il trattamento del dolore sia per comprendere se la sua assunzione possa contribuire a rallentare o, addirittura, fermare lo sviluppo delle cellule tumorali.
Si spera che il riconoscimento delle proprietà terapeutiche di questa pianta da parte dell’ONU possa fungere da volano a un incremento degli investimenti nella ricerca, con l’auspicio che emergano risultati sempre più positivi.