Incontro con Riccardo Nunziati, il disegnatore fiorentino di Diabolik che, oltre al fumetto, sta ottenendo un riconoscimento internazionale come artista.
Riccardo Nunziati, fiorentino doc, già da studente di Ragioneria aveva capito che la vita da impiegato non era fatta per lui, data l’attrazione per l’arte e il disegno. Ottenuto il diploma, ha colto l’opportunità della Scuola Internazionale di Comics, che dopo Roma e Milano aveva aperto una sede a Firenze, frequentata mentre lavorava in una fabbrica. Nonostante il posto fisso, l’occasione nel campo del fumetto si è presentata nel 2009 grazie a Dylan Dog e a una fanzine dedicata al mitico personaggio della Bonelli Editore.
Dopo alcune realizzazioni con le quali si era messo in luce, ha poi avuto modo di lavorare a una pubblicazione sotto la supervisione della Astorina Editore: quella è stata la situazione giusta per sottoporre loro il proprio portfolio. Così, nel 2015, quando alla storica casa milanese che pubblica le storie di Diabolik – fondata da Angela Giussani nel 1962 – hanno avuto bisogno di un nuovo disegnatore, il primo nome che gli è venuto in mente è stato quello di Riccardo. È stato un altro noto disegnatore fiorentino, Giuseppe Di Bernardo, a spronarlo ad accettare l’offerta, che significava dedicarsi a quest’avventura a tempo pieno.
Un anno dopo ha ricevuto il premio Albertarelli come miglior disegnatore esordiente: la conferma che si trattava della scelta giusta è avvenuta subito! Oggi quella di Nunziati è una matita affermata, non solo per i frequentatori del Lucca Comics, ma anche per ambienti più istituzionali, tanto che possiamo considerarlo un artista di livello internazionale. FUL l’ha intervistato per scoprire come lavora.
Diabolik è un simbolo del fumetto Made in Italy, qual è stato il tuo approccio al personaggio?
Diabolik, come Tex e Dylan Dog, è uno dei fumetti più importanti d’Italia. La cosa bella di Diabolik – che paradossalmente quando ho iniziato a disegnare non conoscevo benissimo – è che mi ha costretto a studiare molto, dato che per formazione avevo un approccio alle vignette diverso. È un fumetto classico, che però non si è cristallizzato negli anni Sessanta quando è stato ideato. Vive ancora nell’immaginaria città di Clerville, si veste con abiti di quell’epoca, guida una Jaguar e-type del 1961, ma usa elementi tecnologici moderni – come i droni o i laptop – per lasciare il personaggio in un tempo sospeso.
La difficoltà di disegnarlo era legata al suo storytelling. Le vignette hanno un taglio diverso dalle classiche bonelliane, hanno tempi diversi, perché la pagina è sempre composta da due sole strisce, anziché le tre strisce da sei vignette e il formato è molto più piccolo, ragion per cui si deve pensare molto a come e cosa disegnare al fine del racconto diaboliko.
Quindi quello che sembra più semplice è in realtà più difficile perché occorre condensare tutte le azioni in un solo frame e renderlo scorrevole e immediatamente comprensibile. La forza di Diabolik è quella di essere classico ma attuale, mai banale, ed è l’unico fumetto in Italia che si rivolge indistintamente a tutti, dal ragazzino che si accosta al personaggio e deve trovarlo al passo con i tempi e di suo gusto, all’anziano che deve riconoscere nei miei disegni il Diabolik di sempre, quello che da oltre sessant’anni gli fa vibrare il cuore a ogni swiiiss della lama del suo pugnale. Non è semplice continuare a proporre il solito personaggio con “trucchi” sempre nuovi e mai scontati.
Ma ormai Diabolik è molto di più di un semplice fumetto, è diventato un simbolo, un’icona italiana di stile e cultura, è “pop” e ha contribuito a sdoganare il fumetto nell’arte. I miei giganteschi occhi di Diabolik proiettati sulla cupola della Mole Antonelliana a Torino, in occasione dei sessant’anni del personaggio, erano glaciali, affascinanti, pop. Diabolik è oggi un’icona come Charlie Brown, Mafalda, Corto Maltese o Superman.
A inizio anno è uscito un libro che fa un excursus artistico su Diabolik, passando per i vari autori, da quelli storici fino ad arrivare a te. Cosa è cambiato dal 1962?
Il volume – del quale ho curato la copertina, con un’illustrazione che era stata già usata da Poste Italiane e dall’Istituto Italiano di Cultura di Malta – è dedicato alla tradizione ma anche all’innovazione del personaggio. Dal 1962 quello che è rimasto indelebile è l’approccio dell’editore. Astorina è ancora come “una famiglia”, una piccola grande casa editrice che porta avanti un solo personaggio con grande amore. Mario Gomboli lavora in redazione ai soggetti dal 1967 e tuttora si occupa delle sceneggiature.
Ovviamente, per me è un grande onore far parte di questo gruppo, di questa bella storia italiana; significa rispettare il lavoro dei grandi autori del passato, come Enzo Facciolo, Sergio Zaniboni, o anche i primissimi Marchesi e Fiumali che hanno creato lo sguardo terrorizzante di Diabolik. Lo sguardo di ghiaccio del personaggio appare nel primo numero di Zarcone e in copertina, ed è qualcosa che non si deve dimenticare.
Il nostro eroe ovviamente può cambiare leggermente in base al disegnatore che lo realizza, ma tutto deve essere immediatamente riconoscibile, il suo sguardo, il suo carattere, il suo universo narrativo: non si tratta di un fumetto autoriale. Io non disegno il “mio” Diabolik, bensì Diabolik, l’unico e solo Re del terrore, riconoscibile a tutti, e questa è una grande forza.
Qual è il personaggio della serie che ami di più disegnare e quello da cui ne trai qualcosa anche a livello personale?
Il mio preferito è l’ispettore Ginko! Lo adoro perché è il personaggio più umano della serie, con i suoi difetti e le sue debolezze, caparbio e combattivo; è l’unico che posso disegnare anche un po’ “sbracato”: può mettersi le mani in tasca, ingobbirsi, slacciarsi la cravatta. Sono gesti che adoro fargli fare. Diabolik invece non ha mai sbavature, è essere sempre impeccabile, dritto, così come Eva Kant, una lady che si presenta sempre perfetta e eterea anche nelle situazioni più scomode.
Ginko, peraltro, nonostante sia per definizione delle sue creatrici “il perdente”, ha una grande integrità morale che rende anch’egli vincente. Purtroppo, ultimamente, mi trovo a disegnare poco l’ispettore perché ho lavorato a storie dove porto Diabolik in giro per il mondo, dall’Arabia all’Asia e a confrontarsi con nemici diversi, ma non meno agguerriti.
Negli anni Diabolik non si è occupato solo di furti di gioielli ma ha parlato al pubblico di attualità, come la mafia, la droga, i rapimenti, la guerra e si è prestato a campagne di sensibilizzazione su temi sociali, per esempio quella sul maltrattamento degli animali.
L’impiego degli “eroi di carta” per campagne sociali ha raggiunto forse il culmine negli anni Novanta e questo ha avvicinato molti giovani al fumetto, compreso me. Diabolik è stato però in assoluto il primo a essere “arruolato” e continua a farlo con eleganza. Questo perché nei nostri albi non si parla mai di politica o religione, non ci sono discriminazioni, si rispettano i credo di chiunque. Diabolik può farsi fautore di una campagna sociale perché è credibile, nonostante sia un anti-eroe.
È un criminale ma ha una “pulizia interiore” tale che lo rende sopra la morale. Lui ti può parlare con il cuore in mano, se Diabolik ha un cuore – ma il cuore ce l’ha e pulsa tutto per Eva – e crede nell’uso del fumetto per uno scopo sociale. In passato ho lavorato con l’immagine di Diabolik per l’AVIS ma, se avessi ancora un’occasione simile, vorrei cimentarmi con Eva Kant, un personaggio a cui tengo molto per il suo stile.
Hai avuto l’onore di disegnare la prima storia di Diabolik che si dipana in tre albi. Com’è stata questa l’esperienza?
Ho avuto l’onore e anche l’onere! Erano già state realizzate storie che si svolgono in due albi per narrazioni che necessitavano di più respiro. La storia su tre albi è stata però il primo tentativo, ed è stata un successo, realizzata in occasione dei sessant’anni di Diabolik. I primi due numeri di questa trilogia celebrativa avevano il finale con un colpo di scena esagerato che creava l’hype per la storia successiva. All’inizio credevo fosse più semplice: l’aspetto più difficile per me è iniziare una nuova storia e dover creare ambientazioni nuove, nuovi personaggi, ragion per cui pensavo che con una storia lunga sarei stato maggiormente avvantaggiato nel mio modo di lavorare, ma poi, quando ci si avvicinava all’anniversario – tra eventi e albi fuori serie, la metropolitana di Milano rivestita con le mie illustrazioni – è emerso un bel po’ di timore.
A metà del secondo albo della trilogia è venuta fuori la tensione e ho chiesto alla redazione di farmi ricontrollare tutte le tavole a matita e inchiostro: insomma mi hanno dovuto sopportare! Ho avuto modo di lavorarci durante la pandemia e data la lunga gestazione, riguardando oggi il lavoro, ho notato che i personaggi erano cambiati mentre li disegnavo, forse perché nel frattempo ero cambiato io. Ma è stata un’esperienza bellissima e spero di ripeterla per i 70, 80, 90 e 100 anni di Diabolik!
Non ti occupi solo di disegnare fumetti ma sei un artista contemporaneo. Parlaci della tua arte fuori da Diabolik, è solamente una “maschera” o sta nascendo qualcosa d’importante? Per esempio ad Addis Abeba hanno appena realizzato un murale sulla base di un tuo disegno.
Per il murale in Etiopia, eseguito in loco da artisti locali, ho realizzato un’illustrazione di Diabolik commissionata dall’Istituto Italiano di Cultura di Addis Abeba e a febbraio sono stato ospite per l’inaugurazione e la firma dello stesso.
Dato che amo molto l’arte, il mio sogno è quello di un percorso artistico parallelo a quello del fumettista. Il fumetto è un linguaggio che adoro, così come il design e l’arte moderna in genere. Tra l’altro, pure per i padri della Pop Art Andy Warhol e Roy Lichtenstein il fumetto è stato fonte d’ispirazione. Credo che senza il fumetto non ci sarebbe l’arte contemporanea come la conosciamo noi. Ora Diabolik è stato svelato all’arte: è stata universalmente compresa la potenza di questo personaggio e mi piacerebbe lavorarci in prima linea. Fondamentalmente ogni disegnatore ha delle propensioni artistiche che vanno oltre il fumetto e io non sono differente.
Amo l’arte, amo il fumetto, amo Diabolik.
Testo di Samuele Spini; Illustrazioni di Riccardo Nunziati