Guida breve al linguaggio dei meme e al suo approdo in città, tra satira, comicità e politica.
C’era un’epoca – ma parliamo di pochissimi anni fa – in cui il discorso sui meme era ancora esclusiva di un ristretto gruppo di nerd: alcuni di loro li creavano e diffondevano, altri si affannavano a stabilire teorie e a etichettarli tramite complessi schemi piramidali riguardanti i diversi layers di ironia. Forse la foga con cui avveniva questa classificazione era dovuta alla sensazione che uno strumento tanto prezioso quanto libero non avesse regole precise e stesse rifuggendo limitazioni convenzionali, un po’ come fa l’Académie Française quando cerca di legiferare su una cosa fluida come la lingua. In effetti quest’altro linguaggio, quello dei meme, negli anni, ha continuato a prendere nuove strade incontrollabili, dimostrandosi perfettamente malleabile e fruibile a diversi scopi.
A quell’epoca, i “nemici” principali di quel gruppo di nerd erano i “normie”, quelli per i quali i meme erano poco più di un nuovo tipo di immagini buffe da diffondere senza prudenza per far ridere i loro amici, attori incoscienti di una democratizzazione dei meme che ai nerd pareva piuttosto una banalizzazione. Nell’oscurità tramava però un nemico molto più potente: gli strateghi del marketing infatti avevano capito l’importanza di quel linguaggio e già iniziavano a integrarlo nei loro progetti. Usare i meme nelle campagne pubblicitarie avrebbe avvicinato i più giovani e creato un senso di confidenza tra i brand e i consumatori.
Nel 2016, si iniziò a parlare di meme sulla stampa “di massa”, perché si ipotizzò che avessero contribuito alla riuscita di un altro tipo campagna, ovvero quella del neo-eletto Donald Trump (vi ricordate di Pepe The Frog?). Da quel momento si parla di meme e di “shitposting”, che è un tipo di “postaggio” disinvolto e non-sense, un po’ ovunque. Il metadiscorso su ciò che si è stabilito essere, per l’appunto, “il linguaggio dei meme” si è esteso dalla stampa internazionale a quella locale, dai baretti alle università.
Ci siamo chiesti se fossero un’arte (e in un certo senso lo sono), qualcuno ha espresso preoccupazione per il loro peso politico (spesso con esagerato allarmismo) e forse ci siamo concentrati troppo poco sugli aspetti più innovativi e positivi, sul fatto che i meme siano soprattutto un grande gioco creativo, uno di quelli molto potenti e utili a rafforzare il senso di comunità laddove le città spesso hanno fallito. I meme sono frammenti di cultura (video, immagini, frasi) che vengono scelti o creati e poi reinventati da sconosciuti, dando vita a una catena di produzione collettiva dalle infinite combinazioni umoristiche.
Il sito Know Your Meme, creato nel 2007 dai nerd di cui parlavamo prima, cerca di catalogare la prima apparizione di ogni meme, mutato poi in una pletora di variazioni. Creati originariamente sul forum “4Chan”, si diffondono poi su Tumblr, Youtube, Twitter, ma soprattutto su Facebook, uno degli spazi privilegiati per la loro condivisione, su pagine da nomi strani e gruppi improbabili. Prestandosi i meme alla riflessione ironica su qualsiasi argomento, nasce presto un filone a tema locale, che trattano di città, regioni e Paesi. In Italia questa scena risulta particolarmente fertile e si evolve in una rete di pagine esilaranti. Il 2016 e 2017 portano “l’età d’oro dello shitposting di provincia” (cito il titolo di un articolo della rivista The Submarine, che nel 2018 analizzava il fenomeno): nascono pagine che esaltano la potenza di Roma come se l’impero fosse ancora in piedi (come “Relatable Roman Memes”), e pagine esoteriche su frazioni di province i cui meme presentano riferimenti iper specifici (“Living in Lecco Ironically”, o “Pioltello Shitposting” ).
Il risultato è di una strana riproduzione di un’Italia pre-unità, divisa da dialetti, competizioni, usanze e mitologie. È un fenomeno culturale che dimostra il bisogno di riaffermare l’identità locale e la ricerca di radici nel mondo globalizzato, che risulta ancora più interessante se si pensa che è portato avanti dai giovanissimi. È un nuovo modo di raccontare le città, una lettura ironica, spesso non-sense, ma anche lirica, romantica, nostalgica, e politica. Ma questo, ovviamente, non è un fenomeno che si limita all’Italia; per fare un esempio, il gruppo Facebook francese di meme parigini “Memes intra-muros pour jeunes Franciliens” si scontra con il gruppo di meme nella provincia francese “Memes décentralisés pour provinciaux et francophones oubliés”, dando vita a una competizione che realmente esiste tra la capitale e tutto quello che la circonda, ma che riesce a far ridere tutti.
Negli ultimi anni c’è stato un calo sostanziale nell’uso di Facebook da parte delle ultime generazioni, e lo shitposting di provincia si è spostato – come in generale il “ping pong” dei meme – soprattutto su Instagram. È qui che sono nate le prime pagine di meme fiorentine. La memetica riguardante Firenze fino a poco tempo fa era un’esclusiva del colosso “Tuscanian Memes”, nato nel 2017, che conta oltre 83mila followers su Facebook e 30mila su Instagram e che scherza “sull’essenza stessa della toscanità”; mentre altre città della regione avevano già creato le loro fortezze – come “Livornogramm”, “LuccaWave” – per Firenze infatti c’è voluto un po’ più di tempo, chissà se per la tipica snobberia che ci viene spesso affibbiata o per semplice indolenza. Nel 2020 però, complici la pandemia e la quarantena sono emerse una serie di pagine sull’Instagram fiorentino. “Florencemagicmements” si è presentata fin dalla nascita come “il salottino della città”, ovvero uno spazio virtuale in cui “cianare”, ridere e confrontarsi sugli aspetti più tragicomici e tipici della vita fiorentina.
È una pagina di meme ma anche una vera e propria comunità, in cui si condividono eventi e ci si danno consigli su quali siano, per esempio, i luoghi migliori a Firenze per un primo appuntamento (stranamente le pescaie vanno per la maggiore) e si condividono aneddoti (come le peggiori esperienze avute nelle università fiorentine). La pagina offre uno spaccato di quello che è oggi la nostra città, al di là dell’immagine stereotipata che ne ha il mondo. È così che emergono miti sui fine serata al bar Blob, una generale antipatia poco velata per turisti e studenti americani che si lamentano della città, un consenso generale sul fatto che i nobili fiorentini si riconoscono dal Barbour o sul fatto che: “Se riesci a trombare a Firenze, riesci a trombare ovunque”, e un’infinità di battute su chi ha fatto il liceo Michelangiolo.
C’è poi la pagina “Suffering Fiorentina”, anch’essa nata nel 2020, dove con humor raffinato si rielaborano gioie e dolori della Viola. La pagina è attivissima, aggiornatissima e supportata dalla società gigliata stessa, che ha regalato loro una torta con scritto “Auguri da ACF” per il loro anniversario. È uno spazio di tifoseria intelligente e consapevole, che sembra abbia messo tutti d’accordo, visti i 30mila followers.
Un’altra pagina nata a Firenze, “Madonnafreeeda”, è forse una delle pagine di meme militanti e critica sociale più seguite in Italia (conta quasi 80mila followers). Con spiccata sagacia riflette sul problema della turistificazione a Firenze e sull’impossibilità di affittare appartamenti in città per gli studenti; se si chiede alla admin di dirci qualcosa su di lei risponde che: “In realtà affitto appartamenti ai turisti in centro”.
A queste tre pagine si aggiunge poi una costellazione di pagine meno seguite che fanno meme o altro, come “Carrelli Firenze Sud”, che raccoglie foto di carrelli abbandonati a Firenze Sud, “Lebanon Hangover”, “Empoli on Album Covers”, “Florence Lettering”, “RibaltaoRibaltao” e tante altre. Queste pagine sono nate in un momento in cui la socialità era limitata e mostrano tutte la volontà di creare degli spazi in cui riflettere e ridere sulla nostra identità, che forse, tra turismo sfrenato e studentati di lusso, si è un po’ nascosta.