Habitus. Una performance artistica nella Firenze della pandemia

Habitus

Habitus, una video-performance nel centro deserto della Firenze ai tempi del Covid 19 per riflettere sulla riappropriazione degli spazi comuni.

Il centro della nostra città, abitualmente invaso da turisti, in pochi giorni si ritrova desolato a causa della minaccia del Covid 19. In questa Firenze irriconoscibile nasce “Habitus”. Un gruppo multidisciplinare composto da quattro ragazze e un ragazzo decide  di sfruttare questo momento surreale per realizzare una video-performance artistica per farci riflettere sulla riappropriazione degli spazi che normalmente sono consumati dal turismo mordi e fuggi.

Ci teniamo a sottolineare che le riprese sono state effettuare prima che il decreto  vietasse l’uscita dalle abitazioni per motivi non strettamente necessari. Il gruppo era intenzionato a girare altre scene per ampliare ancora il progetto, ma non è stato chiaramente più possibile. Il progetto quindi si è adattato al materiale a disposizione – di fatto solo un giorno di girato – e ha acquisito anche un significato differente in relazione alla nuova situazione di relegazione domestica nella quale siamo stati catapultati quasi tutti.

Habitus

A causa dell’aggravarsi dell’emergenza Coronavirus, il gruppo è stato impossibilitato a riprendersi la città quanto voleva, ma ha dimostrato come si possa portare a termine un bel progetto artistico anche in questo difficile periodo. Vi lasciamo quindi al testo di presentazione della video-performance, per poi gustarci il video e concludere con qualche domanda.

Firenze 2019. Il turismo plasma ormai la quotidianità dei cittadini trasformando luoghi ed abitudini. La vita si ristruttura sulle esigenze di questi passaggi frettolosi: le botteghe diventano pizzerie anonime e le piccole attività commerciali si eclissano dietro l’ombra di grosse catene multinazionali.

I principali simboli rinascimentali della città si ergono maestosi di fronte a folle di curiosi che si accalcano precipitosamente per poter scattare una foto. La tradizione di questi spazi si mescola con nuove culture, il ricordo di ciò che è stato affianca nuove realtà e costumi.

Marzo 2020: La paura comincia a diramarsi capillare in quei vicoli fino a ieri troppo affollati per poter passeggiare. Tutto è immobile e l’ “altro” diventa fonte di timore per il contagio. È la discesa del Coronavirus, che riconfigura in pochissimo tempo abitudini, luoghi e prospettive.

Prima ancora di comprendere, ciascun individuo si ritrova recluso nella propria casa e Firenze si blocca in una quarantena surreale dove tutto cambia. Le strade si svuotano e le piazze fino ad un momento prima rumorose e vitali si trasformano in luoghi silenziosi e statici. In un clima di falsa quiete l’emozione precede la razionalità: non si riflette ma ci si agita in una corsa contro il tempo per correre ai ripari.

Le strutture sociali vengono meno, tutto si blocca e la popolazione, la società nel suo insieme, diviene un corpo esposto e vulnerabile.

Nonostante questa incertezza e paura, in una Firenze ormai deserta, è possibile scorgere un nuovo scenario e ritroviamo nella città la pienezza dei suoi simboli. Ricordiamo i suoi significati originari.

La quarantena trasforma le abitazioni nei nuovi centri di aggregazione mentre all’esterno tutto si è fermato: le case non sono mai state così piene e le piazze così vuote. La quotidianità è stravolta, l’Habitus perde il suo valore originario e la noia pervade le vite di ciascuno di noi. Una noia assopita ma tipica di un secolo troppo pieno di stimoli sovrapposti che però restano futili se non riescono a radicarsi in una tradizione. E in un momento come questo, le differenze sociali si annullano, nessuno è immune. Si ristrutturano i processi di socialità sotto la comune sensazione di paura ed incertezza e l’immobilità della società ci costringe a riflettere a livello comunitario.

Ma anche nell’isolamento e nella paura troviamo la possibilità di riappropriarci di qualcosa. E così Firenze si rianima di vita propria, le statue rinascimentali diventano i guardiani della nostra città. Con un atto performativo nei luoghi del quotidiano spogliati da tutti gli accessori, rafforziamo la nostra appartenenza e il nostro dialogo con essi.

Firenze è una città normalmente invasa dal turismo. In che modo secondo voi questo influenza la vita dei cittadini e che mancanze genera per loro?
Il turismo è sicuramente una parte integrante del tessuto della città. Senza considerare l’impatto economico che questo settore comporta per Firenze, una delle critiche che possiamo muovere a questa ‘invasione’ è che non esiste più un equilibrio tra le necessità di chi la abita e quelle di chi semplicemente la fruisce. L’identità del luogo e dei suoi cittadini collide con la destinazione dei suoi spazi che troppo spesso si rivolgono ad altri.

Il decreto ha inevitabilmente influenzato il vostro processo creativo, potreste raccontarci in che modo?
Habitus è nato da un’idea che voleva essere sviluppata con più calma ma che si è dovuta fermare improvvisamente. Questa urgenza ci ha inizialmente destabilizzato, non soltanto in prospettiva del progetto, ma anche a livello individuale. Ritrovarsi isolati in casa da un momento all’altro ci ha costretti a riconfigurare rapidamente il nostro quotidiano. Poi abbiamo riflettuto su quello che stava accadendo e abbiamo deciso di sfruttare il poco materiale che avevamo per concentrarci su qualcosa di più essenziale, ma che potesse comunque avere un forte impatto. Un’altra difficoltà iniziale è stato lo sviluppo di un progetto a distanza che si è però trasformata in coesione e produttività.

Anche il messaggio della performance è stato influenzato dall’avvento del decreto? E le sue possibili interpretazioni?
Inizialmente la performance voleva esprimere la riappropriazione di uno spazio e l’interazione con esso attraverso il corpo, ma anche il dialogo tra passato e presente, tra arte rinascimentale e contemporanea attraverso uno schermo. Uno schermo rappresentato da un telo simbolico che in luoghi ricchi di storia come Firenze tende a offuscare il nuovo e a sovrastarlo. L’atto performativo ha proprio la funzione di raccontare le nuove forme d’arte e dimostrare che l’arte vive anche nel presente e non soltanto attraverso il passato. Successivamente, gli eventi ci hanno portato a identificare in quel telo la rappresentazione dell’isolamento che stiamo vivendo.

Habitus

Ci potreste spiegare meglio il senso del titolo? E che interpretazioni date al concetto di habitus?
L’Habitus cui ci riferiamo è la parte inconscia del nostro essere individui di una società, è l’abito che inconsapevolmente tutti noi vestiamo attraverso le nostre azioni e le nostre forme di appartenenza.L’Habitus è fattore unificante ed è il meccanismo di percezione e valutazione della realtà che ci circonda. Ma rappresenta anche le abitudini individuali, il nostro modo di essere nel mondo e quindi di abitarlo.
In questo progetto l’Habitus diventa il simbolo di ciò che stiamo perdendo adesso, raffigura la rottura della nostra quotidianità e di quello che percepiamo come normale. La nostra condizione di isolamento ci rende tutti più vulnerabili, ci spoglia dagli accessori e dai consumi superflui e rimette in discussione i valori e le pratiche interiorizzate facendoci riflettere su cosa sia necessario e su che cosa significhi normalità.

In questi giorni ci troviamo tutti nella propria bolla domestica, ma al contempo siamo sempre connessi e in comunicazione. Come cambiano le nostre abitudini e la “socialità”?
La situazione attuale ha una particolarità: accomuna tutti quanti, senza distinzioni. Questo è sicuramente un punto interessante su cui riflettere perché quasi mai nella vita siamo stati tutti connessi da qualcosa che condiziona e stravolge a tal punto le nostre vite. Lo spostamento verso l’interno della casa di tutto quello che prima accadeva fuori è accompagnato dalla vicinanza emotiva tra noi e la nostra comunità.
In condizioni di normalità l’isolamento è sottile perché si mescola nella folla, è un isolamento fatto di apparenze e relazioni futili. Adesso l’isolamento è reale, è fisico, ma la distanza tra le persone ha fatto uscire fuori lo spirito di collettività e forse ci fa sentire meno soli di quanto non saremmo in altri momenti della vita.

Che sensazioni avete avuto nel girare queste scene in una Firenze così deserta?
Viversi Firenze nella desolazione del mattino e nell’attesa della quarantena è surreale e magico. I luoghi simbolo della città spogliati dalle folle di passanti hanno assunto una prospettiva diversa, quasi nuova. Spesso il limite alla nostra appartenenza sono le modalità di partecipazione a questi spazi: un limite che li rende quasi più accessibili al ‘passante frettoloso’, un passante che diventa barriera e fa perdere la magia di quei luoghi. E così siamo noi i primi a discostarcene e a evitarli per non essere sovrastati. Girare un video in una Firenze vuota ci ha fatto sentire accolti e partecipi di una bellezza confinata nell’arte del passato ma abitata dalle forme d’arte del presente.

Habitus

Nonostante i guardiani rinascimentali facciano parte del corredo che attira grandi quantità di turisti a Firenze, avete pensato a loro come sentinelle in questo periodo di transizione. Perché?
Assolutamente sì, rappresentano le sentinelle delle nostre piazze e delle nostre strade. Ma più che sentinelle li vediamo come gli unici testimoni di quello che accade ‘fuori’ in questo momento. Perché la nostra riappropriazione degli spazi si concentra in pochi momenti che hanno preceduto la quarantena, poi il nostro vedere la città si è trasformato in un atto di immaginazione a distanza, un atto creativo che parte dalle nostre camere. I guardiani rinascimentali sono i nostri occhi in un momento in cui non possiamo vedere, non ci possiamo essere anche se siamo qui.

Che Firenze vorreste trovare al termine di questa tempesta silenziosa?
Il nostro cervello ha dei meccanismi di difesa che ci permettono di rimuovere velocemente i traumi. Ma il trauma che stiamo vivendo ci sta anche dando la possibilità di fermarci un attimo, di uscire dal flusso frenetico delle vite moderne e di riflettere su ciò che è davvero importante. La noia tanto temuta è qualcosa a cui adesso non possiamo sfuggire, la stiamo sperimentando e ci stiamo abituando. Perché è importante saper trovare la serenità anche nei momenti di stallo e di immobilità senza esserne sopraffatti. Questo passo indietro è qualcosa che il nostro cervello non deve dimenticare una volta finita questa tempesta. È così che ci piacerebbe trovare Firenze, un po’ annoiata ma più tranquilla.

Un’ultima cosa, da chi è composto il team che ha seguito questo progetto?
Siamo innanzitutto amici, con passioni e interessi diversi, che si sono integrati in maniera armoniosa nello sviluppo di questa idea. Gaia Altucci è un’attrice, performer e designer che si propone di unificare tutte queste passioni in un progetto unitario. Claudia Sicuranza è una fotografa e attualmente studia direzione della fotografia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Marta Irene Giotti, da sempre appassionata di cinema, è laureata al Dams e studia regia alla Korea National University of Arts. Caterina Milli, laureata in Antropologia e laureanda in Comunicazione e Ricerca Sociale, è appassionata di tematiche che riguardano l’interazione tra uomo e spazio e allo studio delle emozioni collettive. Niccolò Vannucchi è laureato all’Accademia delle Belle Arti in scultura e da sempre ha coltivato parallelamente la passione per la musica elettronica.