La stella Michelin torna a Prato e premia la squadra capitanata dallo chef Niccolò Palumbo e dal maître Lorenzo Catucci, con una brigata interamente under 35. Un riconoscimento più che meritato, come abbiamo appurato noi stessi qualche giorno prima della tanto ambita proclamazione.
La stella Michelin torna a Prato. Fra le più belle sorprese che ci ha regalato l’evento gastronomico dell’anno, almeno in Toscana c’è sicuramente la stella di Paca. Un’oasi felice e genuina a 10 minuti a piedi dalla stazione di Prato Centrale, che – le coincidenze della vita – abbiamo avuto il piacere di provare proprio la settimana prima della stella. “Anche se dovessimo prenderla, non snatureremo mai la nostra identità”, ci avevano assicurato i due giovani soci nella classica chiacchierata di fine pranzo.
Identità. È questa, d’altronde, la parola chiave per descrivere Paca, la sua proposta e la sua filosofia. Aperto nel 2019 da Niccolò Palumbo e Lorenzo Catucci, poco più che trentenni, questo ristorante ha unito l’energia innovatrice, la visione contemporanea e la forza creativa di entrambi per prendere una direzione che rifugge dai trend del momento. Intorno a questi concetti hanno restaurato il locale, pur senza stravolgerne la struttura originaria: i nuovi arredi si rifanno a uno stile classico, di una eleganza essenziale, senza orpelli. Resta vivo anche il legame intrinseco con l’arte del precedente proprietario, visto che è stata ripresa l’usanza di Baroncelli di esporre, nelle tre sale del ristorante, quadri e opere provenienti da gallerie d’arte cittadine.
Su Paca Niccolò e Lorenzo hanno messo letteralmente la faccia. E il nome. Il ristorante si chiama infatti così per la crasi delle prime due lettere dei rispettivi cognomi, anche a suggello della costituzione della loro società. Pratese, classe ‘88, Niccolò Palumbo ha preso le redini della cucina dopo quasi due anni a Villa Crespi, a fianco di Antonino Cannavacciuolo, e dopo essere transitato dal tristellato Lasarte di Martin Berasategui ed essere stato in servizio al Bracali di Massa Marittima, nei due anni in cui il ristorante è passato da una a due stelle Michelin. Il trentaduenne Lorenzo Catucci si occupa invece dell’accoglienza e della conduzione della sala. Il suo curriculum parte dall’istituto alberghiero di Castellaneta (TA) e, dopo aver frequentato la facoltà di “Scienze e tecnologie alimentari” di Bari, l’ha visto iniziare a lavorare presso alcuni hotel del capoluogo pugliese per poi trasferirsi in Toscana. A ricoprire il ruolo di pastry chef c’è infine il fratello venticinquenne di Niccolò, Gabriele Palumbo, un profilo giovanissimo, ma già con due esperienze importanti alle spalle come Villa Crespi e il Caino di Valeria Piccini a Montemerano (GR).
“Siamo doppiamente felici e orgogliosi – ha dichiarato Niccolò Palumbo subito dopo aver ricevuto la stella – ovviamente per il ristorante ma anche per la città di Prato. Siamo consapevoli che questo è il frutto del grande impegno di tutto il team, ma soprattutto che si tratta di un punto di partenza. Siamo carichi e pronti ad andare avanti con grandissimo entusiasmo”. Una dedizione al lavoro che è stata colta dalla stessa Guida Michelin, che ha espresso così la motivazione del riconoscimento: “Tre giovani, dinamici e intraprendenti, che hanno dato vita a questa bella realtà gastronomica a pochi passi dal centro storico. Una cucina italiana moderna che riserva grande attenzione alle materie prime, selezionando piccoli produttori locali e – dove possibile – Km 0. Il servizio eccellente completa questa piacevole esperienza gourmet nella città di Prato. Da prenotare! Subito”.
Beh. Ve lo confermiamo anche noi, dopo una degustazione da otto portate in grado di esaltare quelli che sono i principi del ristorante pratese: cucina di ricerca e sostanza, servita con eleganza e contemplazione. La dicono lunga gli Umarell disposti su ogni tavola: molto più che delle simpatiche figure colorate, piuttosto un invito a focalizzare la nostra attenzione su ciò che stiamo mangiando, su ciò che stiamo bevendo, su ciò che stiamo facendo. Qualcosa di sempre più raro oggigiorno.
La proposta gastronomica di Paca offre una cucina appagante, dall’estetica contemporanea e raffinata, innestata su solide competenze tecniche e fatta di materie prime ricercate con massima accuratezza. Elevata è anche l’attenzione alla sostenibilità, sia nella limitazione degli sprechi in cucina, sia nella scelta degli ingredienti. Come per i micro-vegetali in acquaponica di “The Circle” prodotti in tandem con l’allevamento di pesci, quindi senza generare scarti, o per i legumi e i cereali de “I Seminanti”, azienda a filiera biologica. La stessa carta dei vini si evolve attraverso un accurato e minuzioso lavoro di ricerca di produttori e aziende, portato avanti con competenza e attitudine alla scoperta per snodarsi fra etichette di grande prestigio e proposte di nicchia biologiche e biodinamiche (in primis, l’inedito vitigno autoctono di Montepulciano Pulcinculo).
Chiudiamo coi singoli piatti. Il menu degustazione di Paca è un vero e proprio viaggio fra i sapori nostrani, più o meno vicini alla nostra cucina del ricordo, ma tutti – e dico tutti – in grado di scatenarti dentro un’emozione. Il manifesto sta nei Passatelli di capasanta, cozze, zafferano e scamorza affumicata e nella Battuta di pecora, pioppini, sarde e origano, insieme ai Plin di rapa rossa, rafano e anguilla o al Risotto al cocco, sgombro, aneto e cavolo romano, fino alla Lingua di vitello, bietolina e colatura di alici.
Piatti concreti, schietti e diretti, con un mix di ingredienti sulla carta anche lontani e un’importante complessità tecnica, come la scelta di usare spesso il “mare” e i suoi pesci al posto del sale, che Niccolò riesce però a plasmare con armonia e che Gabriele riesce invece a presentarti con preparazione e gentilezza. Insomma, a Paca si sta bene davvero da tutti i punti di vista.
Per saperne di più: www.pacaristorante.it