L’arte in Villa d’Arte: aperitivo e spettacolo teatrale in uno spazio innovativo. La scorsa settimana abbiamo assistito a Dorian, mirror of soul.
In una splendida cornice come la Villa d’Arte Agriresort, sabato 16 gennaio si è tenuto un evento assolutamente entusiasmante. Nell’antica sala da ballo, modernamente riallestita con fari a led e dotata di un’acustica eccezionale, i proprietari hanno ospitato una rappresentazione in chiave contemporanea e sperimentale tratta da Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, adattato e diretto dalla regista Silvia Rabiti: Dorian, Mirror of a soul.
Solo quattro attori su un palco che in realtà non esiste, perché si trovano a stretto contatto con il pubblico presente in sala, annullando le distanze. Una recitazione schietta, quasi cinematografica, basata sul dialogo e sulla mimica. Una scenografia essenziale, dove addirittura non c’è nemmeno il ritratto a fare da protagonista, ma solo una tela bianca dietro la quale si alternano le performance degli attori. «L’intero spettacolo è una danza allucinante fra Dorian e il suo Demone, Lord Henry. Nel luogo dove tutto è reale e niente lo è, personaggi immaginari e reali smuovono le paure, le voglie più istintive di un uomo, generando rimorsi per le azioni fatte. Si sceglie sempre, e nella scelta una strada viene presa e un’altra lasciata. Il perché della scelta non ha senso sia compreso. Gli effetti della scelta si rivelano al termine della via, quando è necessario compiere una nuova scelta…» riassume Silvia.
Venti scene, così come sono venti i capitoli dell’opera originale, per un adattamento che gioca molto sull’inversione: tra prologo ed epilogo, tra Lord Henry e Dorian Gray, tra verità e sottile menzogna in un susseguirsi dinamico e mai banale.
Dietro la regia si vede una scelta precisa: quella di mettere l’accento sull’esperienza percettiva, irrazionale e sensoriale della ricezione dell’opera da parte degli spettatori. Attraverso la musica, il gioco di luci colorate, le coreografie semispontanee, il pubblico è totalmente dentro la rappresentazione, rapito dai dialoghi e dalle azioni sceniche.
Questo tipo di performance particolarmente innovativa, si colloca perfettamente in linea con quella che è la filosofia del Down Theatre (‘teatro giù dal palco’), in cui il teatro si vive realmente «in mezzo» al pubblico, pur nel completo rispetto del testo originale. L’importanza delle parole non è infatti mai sminuita, anzi è enfatizzata e comunicata in maniera sensibile e sensoriale, grazie anche alla bravura degli attori: nello specifico Fedora Ginanni, Anastasia Ciullini, Diego Marchi e Giulio Meoni.
Ciò che lo spettacolo trasmette maggiormente a livello empatico è però la passione: la passione artistica ed estetica che anima non solo, palesemente, Dorian e il suo doppio Lord Henry, ma anche coloro che lo interpretano/dirigono. La passione per un arte che è soprattutto stile di vita, sensibilità , percezione. Scelta.
Scelta condivisa anche da Filippo, il titolare della villa che, stanco di un impoverimento culturale sempre più diffuso, ha deciso di dare un segnale chiaro: puntare sull’arte, sull’interazione tra ricerca enogastronomica ed eventi culturali di vario tipo. Infatti, nei soli tre mesi di apertura, la struttura ha ospitato una serie variegata di proposte: dagli aperitivi a tema, alle cene sensoriali, alle rappresentazioni teatrali, tutte di grande successo. In un periodo in cui promuovere e dare spazio alle forme artistiche sembra quasi un’utopia, Villa d’arte vuole essere un luogo che genera esperienze a tutto tondo.
Esperienze che sono anche, ovviamente, gustative. Infatti, anche da questo punto di vista, c’è una ricercatezza nella scelta dei prodotti (biologici e a Km zero) e delle ricette, tutte rigorosamente appartenenti alla tradizione fiorentina. Presso il ristorante si possono gustare piatti veramente tipici: non solo la ribollita in versione originale, ma anche sapori ormai ‘dimenticati’ come la ginestrata, la carabaccia, il Dolce Firenze o il cervello fritto. Il tutto accompagnato da vini autoctoni, tendenzialmente biodinamici, per capire che anche la cucina è una forma di arte: sublimazione creativa di ingredienti semplici e genuini, nel rispetto della tradizione.
Questo intento era chiaro e perfettamente riuscito anche nel menù dell’aperitivo offerto prima dello spettacolo: un buffet caldo di antipasti, primi e secondi a cui seguiva, al termine della rappresentazione, un’ulteriore selezione di dolci della casa, da gustare in compagnia degli attori e della regista – a completa disposizione degli spettatori per rispondere a tutte le domande e le curiosità .
Perché fare arte è soprattutto suscitare passione, curiosità , stimolare una sensibilità , una percezione che si sublima e si riversa in campi apparentemente diversi ma sostanzialmente affini. «Nulla guarisce l’anima salvo i sensi, nulla guarisce i sensi salvo l’anima» ci ricorda Lord Henry.
Seguire e promuovere l’arte è una scelta: coraggiosa, utopica, ottimistica, idealista forse. Ma, nondimeno, qualche volta necessaria. Dal manifesto spirituale del Down Theatre, leggiamo:
«(…) Ti sveglia ancora una volta lo scroscio affettuoso di applausi
che tutte le volte sorprendono e inebriano.
Avranno capito? avranno sentito? chissà .»
Secondo me, sì.
Testo: Rita Barbieri
Foto: Villa d’arte