Meglio la Divina Commedia della Bibbia e il fiorentino al posto del latino

Libro aperto con un verso della Divina Commedia.

Tra le tante idee che il ministro Giuseppe Valditara ha lanciato come coriandoli durante un evento pubblico a Roma, ce n’è una che ha fatto sobbalzare non solo i banchi scolastici, ma anche i tavolini dei caffè fiorentini. Riportare la Bibbia nelle scuole e insegnare il latino per “rigenerare” il sistema educativo. Un po’ come dire che per migliorare la Formula 1 dobbiamo tornare a usare cavalli e carrozze.

Cosa c’è di nuovo?

Secondo Valditara, lo studio della Bibbia rappresenterebbe un faro morale e il latino un ponte verso la classicità. A Firenze, però, qualcuno ha storto il naso: “Ma perché proprio la Bibbia? La Divina Commedia non basta a illuminare le menti? E perché il latino, quando abbiamo già il fiorentino, che è una lingua classica e moderna insieme?” si chiedono i nostalgici di Dante.

Il primato del fiorentino

A Firenze, patria del sommo poeta e della lingua italiana, queste proposte sono state accolte con un misto di incredulità e ironia. “Prima ci tolgono i cantucci dal vino, ora ci vogliono imporre la Bibbia al posto della Commedia. Così non va”, scherza un professore del liceo classico. E forse non ha tutti i torti: il fiorentino, reso immortale dalla penna di Dante, ha unito l’Italia ben prima che Garibaldi ci provasse con la spada.

Un dibattito tra serietà e sarcasmo

Più che un dibattito, sembra un revival dei vecchi incontri di piazza, con i cittadini che si chiedono se la vera radice culturale non sia già scritta nelle terzine dantesche. “E poi diciamolo, la Bibbia avrà anche i suoi meriti, ma Dante ci ha dato i gironi infernali, mica roba da poco! Provate a spiegare la condanna divina senza le malebolge”, commenta un giovane studente, tra il serio e il faceto.

Meglio un verso in fiorentino che una declinazione latina

E il latino? Certo, è stato utile ai nostri antenati per parlare con i romani e scrivere epigrafi, ma siamo sicuri che oggi serva più del fiorentino? “Se vogliamo riscoprire le radici, facciamolo con il volgare: è più vicino al cuore e alla mente dei ragazzi,” sostengono molti insegnanti.

Un ritorno al passato o un tuffo nell’assurdo?

Mentre le scuole affrontano problemi concreti come la mancanza di aule moderne, la dispersione scolastica e la digitalizzazione, le proposte di Valditara sembrano provenire direttamente da un’aula scolastica del Medioevo. Forse il ministro dovrebbe considerare un giro per le strade di Firenze, magari con una copia della Divina Commedia sotto il braccio, per capire che il futuro dell’istruzione italiana non si costruisce guardando solo ai secoli passati.

Insomma, caro Valditara, a Firenze la pensano così: meglio imparare la lingua che ha dato i natali a Dante e alle più belle poesie italiane, piuttosto che declinare “rosa, rosae” per tutta la vita. E se proprio vuole citare la Bibbia, almeno lo faccia in rima.