ADRIAN PACI: “Di queste luci si servirà la notte”.

In conclusione del F-light festival 2018, abbiamo visto la personale di Adrian Paci “Di queste luci si servirà la notte”, visitabile fino all’11 febbraio 2018 nelle sedi fiorentine del Museo Novecento e de Le Murate, Progetti Arte Contemporanea e nei comuni di Pelago e Montelupo Fiorentino, co-produttori dell’evento.

 
Al centro della rappresentazione ci sono i temi della migrazione, dell’identità e del flusso, usando l’acqua come metafora di movimento e della possibilità di azione/reazione: rintracciando storie personali e fatti della storia recente, l’artista albanese interpreta la migrazione e la mobilità come una condizione esistenziale dell’uomo.

“Il progetto di Adrian Paci parte da lontano – spiega Valentina Gensini, curatrice della mostra – sono due anni che lavoriamo insieme, instaurando un rapporto privilegiato con la città e con il fiume. Quest’anno Paci è tornato per produrre una performance ed un video inediti: il poetico passaggio notturno di una barca sul fiume, sinuosa come una medusa con dieci tentacoli luminescenti (particolari fibre ottiche), ha indagato l’archeologia del fiume, con il flusso che nasconde e rivela, tradisce e risignifica.”

La vita umana è vista come una ricerca continua, un movimento perenne e la scelta dell’acqua, metafora per eccellenza dell’idea di scorrimento e di flusso, vorrebbe comunicare un messaggio quanto mai attuale, dove i concetti stessi di ‘casa’ e di ‘identità’ sono continuamente ridiscussi.
Al Museo Novecento ci sono tre opere inedite, due delle quali – esposte nella Sala Grande – rappresentano lo scheletro di un’imbarcazione, corredato dalla rielaborazione video dell’azione da cui prende il nome la mostra: una performance con una piccola barca provvista di tentacoli luminosi calati nell’acqua, immersa nel solcare il fiume Arno rivelando la profondità del fiume attraverso un’azione ispirata alla pratica archeologica.
Si tratta di tematiche rilevanti, sicuramente care all’artista che ha lasciato l’Albania per trasferirsi stabilmente a Milano, dove attualmente vive e lavora ma, nonostante gli inediti siano spettacolari e sorprendenti, il resto della mostra non si rivela all’altezza delle aspettative.

Le altre opere (poche) si trovano sparse in modo apparentemente poco organico nei corridoi del museo, insieme alla collezione permanente, senza un legame artistico o semantico chiaramente riconoscibile. Mancano didascalie e spiegazioni e la mostra sembra un po’ avulsa dal contesto, mentre i richiami agli aspetti umani e umanitari avrebbero potuto essere più presenti o diversamente sottolineati… Così , al termine della visita, si ha un po’ la sensazione di sconclusionatezza e di delusione date le premesse, senza dubbio migliori.
Le aspettative restano quindi ampiamente disattese, proprio perchè manca un intervento di significazione che possa aiutare a comprendere meglio la portata e l’importanza di ciò che si vede. Senza tale passaggio, diventa difficile cogliere il pregio artistico e il valore effettivo dell’esperienza e di qualsiasi opera d’arte, soprattutto per un pubblico non specialistico.
Un vero peccato perchè Il Museo del Novecento è sicuramente un contesto meritevole e unico, che però non acquisice e non aggiunge valore in sè all’esibizione di Paci.
D’altro lato, come per ogni approccio al mondo dell’arte e ai suoi innumerevoli e misteriosi linguaggi, merita comunque un tentativo: per semplice arricchimento personale e per sviluppare un’opionione propria, anche se critica.
Rita Barbieri