Gender Fluid, che c’è di male se a mio figlio piace il rosa?

Né maschio, né femmina, ma tutti e due insieme: a Firenze una mamma ha aperto un blog per raccontare la storia della “crescita anticonvenzionale” di suo figlio. Presto nascerà un’associazione e uscirà un libro.

 
Ama il rosa e gli abiti femminili. Da grande vuole fare il botanico, “perché se si riconoscono i fiori si fanno tanti soldi”, spiega con l’ingenuità disarmante tipica dei bambini. Ogni tanto chiede di comprargli lo smalto. L. ha 9 anni, lunghi capelli biondi e non ha voglia di indossare un’etichetta. Maschio, femmina, gender fluid, transgender: nessuna definizione calza a pennello. “Io sono io”, risponde, anche arrabbiandosi un poco, quando qualcuno prova ad assegnargli a forza una categoria. “Sa di essere un maschio e non lo nega, ma mio figlio preferisce i vestiti e i giochi da bambina. È sempre stato così e per me non ci sono stati mai problemi”, chiarisce mamma Camilla. Da quando il suo secondogenito aveva un anno, lei ha iniziato a capire quanto fosse speciale: L. non si riconosce (solo) in un genere, maschio o femmina, è tutti e due messi insieme.

“Ho trovato un’espressione interessante in un libro americano: ‘gender smoothie’, come dire un frullato di identità di genere”: Camilla ha letto pubblicazioni specialistiche, soprattutto in inglese perché qui da noi il tema è spesso ignorato dagli esperti. Vive a Firenze e da 11 mesi ha aperto il blog “Mio figlio in Rosa” (visita il blog) per raccontare la sua storia, per far parlare dell’argomento e abbattere il muro della solitudine. “Rispetto all’anno scorso non siamo più soli, abbiamo incontrato altre famiglie come la nostra – racconta – ho avuto una risposta migliore di quanto mi aspettassi. Paradossalmente sono state le persone lontane quelle più vicine: ho trovato un grande affetto da parte di chi è entrato in contatto con il blog”.
Camilla è una mamma grintosa, ma confessa di essere stanca tra le mille cose da affrontare: la gestione dei tre figli, le mail dei giornalisti e quelle di decine di persone che chiedono consigli e sostegno. Insieme a sette famiglie come la sua e grazie al crowdfunding (questo l’indirizzo per contribuire qui) sta fondando l’associazione “Mio figlio in rosa” per occuparsi degli sviluppi atipici dell’identità di genere, fare informazione e dare una mano ai genitori che si trovano in situazioni simili. “Finché questo tema rimarrà un tabù, non andremo avanti”, osserva. In autunno uscirà il libro che porta lo stesso nome del blog, mentre una regista venezuelana sta realizzando un documentario. Di recente, mamma Camilla, figli e telecamera sono arrivati fino in Spagna per conoscere Chrysallis, associazione che si occupa di infanzia e transessualità: nel 2013 raggruppava 4 nuclei familiari tra Madrid e Barcellona, oggi oltre 600.


“Rispetto a loro in Italia viviamo nella preistoria”, nota Camilla, che non nasconde la difficoltà del cammino di suo figlio. “All’inizio mi dicevo: ‘è una fase, passerà’. Ora che di tempo ne è passato, ho un po’ d’ansia – confessa – mi spaventa il futuro di mio figlio, per esempio l’eventuale percorso medico di cambio di sesso, se sarà necessario farlo: non è una passeggiata”. Ai genitori di bambini “divisi” tra diversi generi suggerisce di non scoraggiarsi: “Lasciamo essere i nostri figli quello che sono. A non farlo, si provoca loro solo del male. Tra maschio e femmina esistono infinite possibilità: chi ha detto che i figli devono nascere già con il pallone attaccato al piede e le figlie con il tutù indosso?”
Gianni Carpini