Firenze, Piazza dei Ciompi: a che gioco stiamo giocando?

La nostra nuova rubrica, “Cronache del tempo Medio”, di Cesare Torricelli nasce da un sentimento di tristezza e nostalgia misto ad una difficile volontà di rassegnazione verso quella che, palesemente, è la politica della città negli ultimi dieci, quindici anni.

Mercificazione, mercificazione e mercificazione, ma intanto alcuni luoghi simbolo di Firenze perdono la loro identità e forse anche la loro memoria. Per davvero si pensa che questa sia la strada da seguire? Nel primo appuntamento con la nostra nuova rubrica l’attenzione va verso il degrado costante di una delle piazze più caratteristiche di Firenze, Piazza dei Ciompi, e quello che ne era il suo mercato.

Il Mercato delle Pulci era un luogo carico di contraddizioni e di storia. I baracchini verdi pieni di cianfrusaglie e di pezzi unici sono stati, per anni e per migliaia di persone, un’occasione unica, non solo per fare qualche buon affare e recuperare dalla catasta qualche gioiello ma per tuffarsi nel proprio passato. Un’occasione unica per fare acquisti in una Firenze merceologicamente non conforme, senza patinatura e senza clamori. Unica, vitale e popolare. Capisco bene il problema dell’amianto, la crescente attenzione al decoro e alla salute pubblica, i nuovi standard e le richieste della ASL. Quello che mi chiedo da cittadino però è questo:
resterà qualcosa in questa città che non sia sottoposto ad opera di normalizzazione e che non venga conformato ai nuovi standard con il rischio di renderlo anonimo e pettinato ?
Siamo in grado di convivere con la nostra storia recente senza per forza doverla straziare con interventi pubblici considerevoli e senza procedere a ristrutturazioni violente ed invasive? Ci rendiamo conto del rischio che corriamo nel radere al suolo luoghi carichi di memoria e cancellare stratificazioni significative per lasciare spazio ad una città sempre uguale? Possiamo lasciare la progettazione del nostro futuro in mano a geometri comunali ed urbanisti senza reale rapporto col territorio e magari senza talento, oppure è possibile sviluppare un processo un po’ più accurato e complesso?
Riusciremo a coniugare la salubrità e la decenza alla storia e al fascino di luoghi, come era questo fino all’altro ieri? Luoghi che tengono viva la bellezza di una città non con lo scintillio delle vetrine e con le pose di cosmopoliti commessi, ma con un sottobosco estetico un po’ polveroso e odoroso di cantina fatto di penombre e di difformità, di vecchi commercianti e di botteghe che sembrano essere state lì da sempre.
Siamo sicuri che i turisti, ai quali abbiamo deciso di vendere a saldo la nostra anima, cerchino dei giardinetti rileccati e anonimi e non angoli cittadini carichi di vita e di identità?
A che gioco stiamo giocando?

Cesare Torricelli