Un viaggio nella storia dei Macchiaioli e della loro teoria e pratica pittorica, pioniere della pittura moderna italiana.
Quando ci troviamo di fronte al dipinto “La Libecciata” (1880-1885) di Giovanni Fattori, custodito nell’affascinante Galleria d’arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze, la prima cosa che ci colpisce è la forza prorompente, destabilizzante e quasi sovversiva del vento che impetuoso agita il mare livornese, l’albero e i cespugli che sembrano volare via spazzati da esso. Ed è esattamente questo che hanno fatto i Macchiaioli (1855-1867): in linea con le tendenze risorgimentali nazionali del periodo storico, hanno soffiato via le vecchie teorie e pratiche pittoriche con una ventata di novità , facendosi pionieri della pittura moderna italiana e preannunciando l’Impressionismo francese.
Così, riunendosi al Caffè Michelangiolo (una volta sito in Via Cavour, 21), rompevano con i vecchi schemi imposti dal classicismo accademico, abbandonando completamente le sue convenzioni, per dar vita a un nuovo modo di fare pittura che si concretizzava in due elementi principali: la teoria della macchia e il “ton gris”.
I Macchiaioli e la “teoria della macchia”
La “teoria della macchia” consisteva nel distribuire macchie di colore direttamente sul supporto (tela o tavola) per dar così una visione d’insieme, priva di contorni che delineassero le figure rappresentate, espediente usato per avvicinare la scena rappresentata nel quadro a quello che i nostri occhi vedono, o meglio, alle impressioni visive suscitate dalla realtà che ci circonda. Per questo motivo si servivano anche di un altro escamotage appreso dalla pittura francese, ovvero quello del “Ton Gris” (il tono grigio), che consisteva nel dipingere la scena osservandone il riflesso attraverso uno specchio nero, il quale metteva meglio in risalto i contrasti chiaroscurali che venivano, infatti, direttamente riprodotti nel dipinto conferendogli un enorme espressività .
Facendo ciò, i Macchiaioli si svincolavano completamente dai dettami delle accademie che, al contrario, imponevano colori non troppo accesi e toni uniformi e, allo stesso tempo, si differenziavano però anche dagli impressionisti che si concentravano maggiormente sulla fuggevolezza della luce e sulla rappresentazioni dei soggetti e delle scene per mezzo di piccole pennellate o trattini.
La pittura en plein air dei Macchiaioli
E poi c’è da dire che i Macchiaioli amavano dipingere all’aria aperta e che furono i primi a farlo in quanto precedentemente si dipingeva all’interno di edifici e quindi al chiuso. Una pratica sicuramente più incantevole e piacevole anche per il pittore stesso poter dipingere “sotto al sole”, in mezzo alla natura, circondati dalla realtà vera, quella della quotidianità di tutti i giorni. Per questo motivo, non è assolutamente un caso che trovandoci al cospetto dei quadri macchiaioli la maggior parte delle scene rappresentate siano i paesaggi bucolici e i loro protagonisti, quindi la campagna toscana e i suoi umili abitanti intenti nelle loro faccende quotidiane come, ad esempio, vediamo nel dipinto “L’Alzaia” (1864) di Telemaco Signorini, nel quale sono rappresentati dei braccianti che lungo l’argine del fiume Arno nei pressi delle Cascine, sono intenti a praticare l’alaggio, ovvero il traino di una chiatta.
Ma anche i paesaggi marini, in particolar modo quelli frequentati dai villeggianti nella bella stagione, furono protagonisti indiscussi dei quadri macchiaioli, i quali ne ritraevano in particolar modo le scene più esemplificative della vita vacanziera come, ad esempio, ne “La rotonda dei bagni Palmieri” (1866) di Fattori. E’ importante sottolineare che per i macchiaioli non aveva alcuna importanza, nella realizzazione della pittura di paesaggio, ritrarre la grandiosità della natura in senso neoclassico, ma piuttosto lo erano gli scorci e i momenti più anonimi e meno interessanti che però di meraviglioso avevano la potenza di suscitare delle sensazioni.
I Macchiaioli e le rappresentazioni di guerra
Questo non ci deve far pensare che solo i bei paesaggi fossero d’interesse per i macchiaioli perché lo erano anche altri aspetti della realtà , quelli più infelici e cupi, come ad esempio la guerra. Fattori fu colui che sicuramente rappresentò maggiormente scene legate agli episodi militari del Risorgimento che il pittore andava ad osservare direttamente sui campi di battaglia come fece per la realizzazione de “Il campo italiano alla Battaglia di Magenta” (1862) che ritrae un frammento della seconda guerra d’indipendenza fra austriaci e franco-piemontesi. L’aspetto più interessante e sicuramente originale era quello che nei quadri macchiaioli che rappresentavano scene belliche non c’era niente di eroico o di glorioso, ma piuttosto di veridico e di autenticamente fedele alla realtà triste e dolorosa della guerra, quasi come se i pittori volessero cogliere gli stati d’animo di coloro che combattevano sicuramente con coraggio, ma anche con enorme fatica e pena. A proposito di ciò, è sicuramente esemplare il dipinto di Silvestro Lega “Un’imboscata di bersaglieri italiani in Lombardia” (1861), conservato sempre a Palazzo Pitti, in cui sono estremamente visibili l’angoscia e l’amarezza della guerra. Ad ispirare i macchiaioli, da questo punto di vista, fu il pittore francese Paul Delaroche, il quale non celebrava i soggetti storici in maniera retorica e convenzionale, ma ne rappresentava con sentimento i dettagli apparentemente insignificanti. E così, quella che era la scarsa attenzione ai particolari puramente pittorici e ai contorni delle figure diventava meticolosa attenzione alle piccolezze che nessuno coglieva piuttosto che alla scena d’insieme, sfuggendo così a una rappresentazione superficiale della realtà in favore delle emozioni.
I Macchiaioli e le loro scuole
E a pensare che inizialmente i Macchiaioli furono denigrati e criticati, soprattutto nei primi tempi della loro attività quando, esponendo alcune delle loro opere in occasione della mostra d’arte “Promotrice Fiorentina” del 1862, attirarono l’attenzione di un recensore del quotidiano “la Gazzetta del Popolo”, il quale nel suo articolo si chiedeva: “ma cosa sono questi macchiaioli che nelle vene e nelle macchie svariate del legno pretendono di riconoscervi una testina, un ominino, un cavallino?”. Ebbene, i diretti interessati della critica e in particolare il pittore Telemaco Signorini, con arguzia, tralasciò il senso dispregiativo del termine “macchiaioli” e ne colse invece il valore aggiunto che esso esprimeva, usando l’espressione come nomignolo per rappresentare e, soprattutto, differenziare il gruppo. All’opposto del critico della Gazzetta, un altro critico e mecenate d’arte fiorentino che si chiamava Diego Martelli si fece avanti nell’esporre la propria opinione sul gruppo di pittori nascente, apprezzandone la novità proposta e diventando il riferimento principale del movimento, fondando persino una scuola nel piccolo borgo marino di Castiglioncello, nei pressi di Livorno, con la finalità di dare un impianto teorico, ancora assente, ai macchiaioli.
La “Scuola di Castiglioncello” divenne così il luogo d’incontro del movimento, luogo che coincideva con la casa di villeggiatura dello stesso Martelli, nella quale ospitava gli artisti per discutere di concetti e idee innovative. Inoltre Martelli, fondò anche il “Gazzettino delle arti e del disegno” (1867) e “Il giornale artistico” (1873) per meglio diffondere le posizioni macchiaiole. Fortunatamente il volto di Diego Martelli, supporto fondamentale per il movimento macchiaiolo, non ci è sconosciuto grazie a un ritratto (“Ritratto di Diego Martelli” del 1879) eseguito dal pittore Federico Zandomeneghi , custodito a Palazzo Pitti, il quale ritrae il mecenate durante uno dei suoi frequenti soggiorni a Parigi, nell’occasione dei quali, metteva in contatto l’arte impressionista francese con quella macchiaiola.
Anche la “Scuola Piagentina” a Firenze, come quella di Castiglioncello, ebbe un enorme importanza per questi artisti; essa nacque intorno al 1861 quando il celebre pittore Silvestro Lega si trasferì presso la residenza di campagna della famiglia Batelli, nel quartiere dopo Porta la Croce, oggi zona trafficata ma un tempo meta di villeggiatura grazie alla bellezza della sua campagna appena fuori le mura della città . Qui, grazie alla natura circostante, Lega ottenne l’ispirazione giusta per le sue ricerche artistiche e non fu l’unico, visto che a lui si unirono anche Odoardo Borrani, Signorini e il napoletano Giuseppe Abbati, artisti tra i maggiori esponenti del movimento macchiaiolo.
Dove vedere le opere dei Macchiaioli
Se si vogliono ammirare i capolavori macchiaioli, la Galleria d’arte Moderna di Palazzo Pitti è sicuramente il museo principale in cui si trovano diverse e numerose raccolte di dipinti nonché un cospicuo lascito di Diego Martelli. Ma di fondamentale importanza lo sono anche il Museo Fattori a Livorno, i musei civici di Udine, la Pinacoteca di Brera di Milano dove tra gli altri troviamo i dipinto” Il pergolato” di Lega, la fondazione CR a Firenze e l’ Istituto Mattucci di Viareggio; proprio in quest’ultimo è conservato il meraviglioso dipinto di Borrani “Il 26 Aprile 1859 in Firenze” (1861) nel quale, in un gioco di chiaroscuri, emerge straordinaria e evocativa la figura di una donna che, seduta accanto a una finestra aperta, è intenta a cucire.
Di recente, tra l’altro, i dipinti macchiaioli, al contrario di ciò che accadeva fino ai primi anni Duemila, hanno suscitato un grande interesse presso il pubblico ed infatti, un grande successo è stato ottenuto dalle due mostre tenutesi nel 2022 presso Palazzo Blu a Pisa e al museo civico Revoltella di Trieste.
E’ ineludibile che questo successo, anche se giunto un po’ in ritardo, sia più che meritato, in quanto i macchiaioli hanno rappresentato una vera e propria rivoluzione nell’ambito della pittura italiana e mondiale, portando innovazione, ma soprattutto sentimento, lontano da schemi predefiniti e da rappresentazioni pittoriche aride e impassibili. Ma non ci sono parole migliori per esprimere ciò che i Macchiaioli sono stati per la pittura di quelle incise sulla lapide apposta lì dove aveva sede il Caffè Michelangiolo, le quali recitano così:
“In questo stabile ebbe sede il caffè Michelangiolo, geniale ritrovo d’ un gruppo di liberi artisti che l’arguzia fiorentina soprannominò macchiaioli e le cui opere nate tra le lotte politiche e gli eroismi guerrieri del Risorgimento nazionale perpetuarono il lume della tradizione pittorica italiana rinnovandone gli spiriti”.
E’ incredibile, dunque, come la forza riformatrice della pittura macchiaiola sia un qualcosa di grande che però risiede nelle piccole cose: la luce sulle onde del mare, le ombre sui muri, un albero agitato dal vento o una donna che raccoglie dei fiori in un prato, ovvero tutti quei piccoli aspetti che costituiscono la veridicità della vita, senza fronzoli e, soprattutto, senza illusione.
Articolo a cura di Valentina Vetrano