Michela Murgia a Firenze presenta “God Save the Queer. Catechismo femminista” per La città dei lettori: un pamphlet audace, popolare e coltissimo che con lucida ironia spiega come sia possibile essere femministe e cattoliche al tempo stesso.
Si può essere persone femministe e cattoliche al tempo stesso? Michela Murgia, cattolica, pensa di sì. Da questa riflessione nasce “God Save the Queer. Catechismo femminista” (Einaudi), pamphlet audace, popolare e coltissimo che la scrittrice, blogger, drammaturga, critica letteraria e opinionista presenterà a Firenze lunedì 21 novembre alle 18.30 presso il Saloncino del Teatro della Pergola (via della Pergola 30).
L’iniziativa, nell’ambito degli incontri de La città dei lettori, il progetto a cura di Fondazione CR Firenze e Associazione Wimbledon APS, è in collaborazione con Teatro della Pergola. “Vorrei capire, da femminista – scrive la Murgia – se la fede cristiana sia davvero in contraddizione con il nostro desiderio di un mondo inclusivo e non patriarcale, o se invece non si possa mostrare addirittura un’alleata. Da cristiana confido nel fatto che anche la fede abbia bisogno della prospettiva femminista e queer, perché la rivelazione non sarà compiuta fino a quando a ogni singola persona non sarà offerta la possibilità di sentirsi addosso lo sguardo generativo di Dio mentre dichiara che quello che vede ‘è cosa buona’”.
La questione di conciliare fede e queerness è quella che si pongono le persone credenti LGBTIAQ+ e chiunque debba fare compromessi tra la propria coscienza e i precetti dottrinari, per esempio in merito ad aborto, eutanasia, fecondazione assistita. Per rispondere è necessario capire quali aspetti della vita e della fede siano davvero in contraddizione, e soprattutto se certi insegnamenti non siano semplicemente un’eredità storica da ridiscutere ogni giorno alla luce del Vangelo e della propria intelligenza. D’altronde lo stesso Dio dei cristiani è contraddittorio: è divino ma anche umano, è uno ma anche trino, è onnipotente ma è morto in croce.
Partendo dalla rilettura del Credo e attingendo alla propria esperienza personale – la sé bambina piena di dubbi, ma anche la nonna, la madre, la zia, le donne con le quali ha incontrato la fede – Michela Murgia fornisce gli strumenti per affrontare alcune di queste antinomie, e mostra come la pratica della soglia, che rigetta l’appartenenza a un unico recinto, sia una pratica cristologica. Accettarla come tale significa riconoscere che “il confine non ci circonda, ma ci attraversa, e che quel che avvertiamo come contraddizione è in realtà uno spazio fecondo di cui non abbiamo ancora compreso il potenziale vitale”.