L’Isolotto non è semplicemente un quartiere popolare di Firenze, ma rappresenta da decenni una comunità attiva che ha dato vita a un’esperienza di riscatto popolare tra le più importanti della città.
«La gente dell’Isolotto aveva molti problemi. Tra i quali, ad esempio, l’emergenza abitativa. Molti residenti erano disoccupati o vivevano in condizioni difficili. Le numerose difficoltà quotidiane costituirono il collante in termini di aggregazione. Qui nessuno aveva nulla da difendere. Potremmo dire che c’erano le condizioni ideali per dar vita a qualcosa di rivoluzionario.» Con queste parole Carlo Consigli, storico membro della comunità dell’Isolotto, descrive il contesto sociale nel quale prese vita una delle esperienze di riscatto popolare più importanti della città di Firenze.
Tutto ha inizio il 6 novembre 1954, quando il sindaco La Pira e il cardinale Elia Dalla Costa consegnarono le prime chiavi di oltre 500 appartamenti ai nuovi residenti. Pierluigi Caramelli, anche lui attivo nella comunità, racconta che a quei tempi il quartiere «non era altro che un insieme di case posizionate una accanto all’altra, infilate nella terra senza un filo d’erba in una zona emarginata dal resto della città». E aggiunge: «Per andare in centro c’era solo un vecchio autobus, il numero 9, le cui condizioni erano così precarie che talvolta era necessario scendere e spingerlo».
Per comprendere i principali sviluppi di questa storia, tuttavia, è necessario rivolgersi a chi l’ha vissuta. Ascoltare le testimonianze dei membri della comunità dell’Isolotto restituisce l’essenza stessa di quell’esperienza. Fattore, quest’ultimo, che resiste nonostante il passare degli anni.
Trattasi di una storia al cui interno si intrecciano momenti di rinascita, sconfitte e vittorie. Alla base di ogni racconto permane una convinzione: la capacità di unirsi in nome della comunità e del benessere collettivo è più forte di qualsiasi ostacolo. Carlo racconta che: «Nel 1954, dopo 10 anni dalla fine della guerra, lo Stato aveva creato la Gescal (Gestione Casa Lavoratori). Il sindaco Mario Fabiani (PCI) destinò questa zona periferica all’edilizia popolare, in seguito La Pira prese il testimone. I lavori vennero affidati a dei giovani architetti: basta osservare le abitazioni del quartiere per notare che sono tutte diverse. All’Isolotto in quegli anni arrivarono molte famiglie provenienti dal Sud, dal contado, da Firenze e profughi dall’Istria e Dalmazia. Tutti accomunati da una caratteristica: non avevano casa».
Trattasi dunque di una composizione sociale caratterizzata da una profonda eterogeneità. L’unione di queste diversità fu possibile grazie a una persona: Enzo Mazzi, il primo parroco del quartiere. Il grande merito della comunità e di don Mazzi fu quello di trasformare tali differenze in virtù: vivendo insieme in una dimensione comunitaria la popolazione riuscì gradualmente a trovare un dialogo. L’obiettivo comune di affrontare i problemi quotidiani superò quindi le differenze politiche e sociali.
Le parole di Carlo ci aiutano a comprendere la figura di don Mazzi e il grande contributo da lui svolto a vantaggio della popolazione: «Enzo Mazzi era un uomo che vedeva lontano. Lui diede vita a un gruppo di giovani impegnato in varie attività, di cui io per fortuna feci parte. Solitamente si pensa che il sacerdote debba rivestire un ruolo più elevato rispetto ai fedeli in quanto intermediario con Dio. Da noi questa analisi non aveva senso di esistere: lui era come noi».
Anche Valentino Bailo ha vissuto questa storia sulla propria pelle e, con la sua esperienza, ci aiuta a ripercorrere l’evoluzione del quartiere e a mettere in luce il ruolo cruciale della parrocchia.
«La prima comunità parrocchiale del quartiere nasce nel dicembre del 1954, quando Enzo Mazzi viene nominato parroco dell’Isolotto» racconta Valentino «La chiesa non era stata ancora costruita e la messa veniva celebrata presso l’oratorio in via Palazzo dei Diavoli. In quegli anni accanto alla cappella vi era anche una sede del PCI: qui nascerà un rapporto di reciproca frequentazione tra il parroco e i residenti».
Valentino, quali sono le principali tappe che hanno scandito la storia del quartiere?
Nel 1957 viene ultimata la costruzione della chiesa con annessa canonica e le abitazioni riservate al parroco e al vice-parroco. Intanto la comunità cresceva e proprio in quell’anno vennero edificate nuove abitazioni. Il 4 novembre 1966 l’alluvione rappresenta uno degli eventi che maggiormente hanno segnato la storia del quartiere. L’Isolotto non subì gravi danni e divenne uno dei punti di raccolta a beneficio della città. Il problema principale tuttavia fu l’isolamento: il quartiere in origine venne concepito come un territorio satellite, isolato dal resto della città. Tuttavia la mobilitazione degli abitanti per aiutare i propri concittadini in difficoltà venne poi riconosciuta come uno dei primi stimoli per la nascita dei Consigli di Quartiere (che verranno istituiti nel 1976).
L’alluvione ha quindi costituito la base per l’attivazione del quartiere?
Certo. La comunità, nonostante esistesse già da un decennio, da quell’esperienza acquisì una notevole coscienza. Negli anni Sessanta, dopo il Concilio Vaticano II (1964), si diffusero poi delle idee relative a delle concezioni politiche e religiose inedite, specie per quanto concerne il rapporto con le istituzioni e con le autorità. Di conseguenza, vi furono varie iniziative intraprese dalla comunità parrocchiale che andarono in controtendenza rispetto alla linea del nuovo Arcivescovo. Va infatti aggiunto che Dalla Costa morì nel 1963 e al suo posto arrivò da Roma Ermenegildo Florit come Vescovo coadiutore con diritto di successione. Quest’ultimo prese possesso della diocesi e diede un’impronta conservatrice al suo orientamento. Il parroco dell’Isolotto e i suoi vice-parroci avevano interpretato le encicliche del Consiglio in maniera progressista e rivoluzionaria. Questo portò a numerosi dissidi dal punto di vista religioso e politico, dando vita a una netta polarizzazione. Il ’68, infatti, fu un forte momento di protesta che invase anche la nostra periferia. I molteplici momenti di tensione culminarono in un evento particolare nel settembre di quell’anno. A Parma alcuni parrocchiani occuparono il duomo cittadino per protestare contro i finanziamenti delle banche per la ristrutturazione. I parrocchiani dell’isolotto scrissero una lettera di solidarietà contro l’intervento della polizia ai danni dei fedeli. Dinanzi a tale presa di posizione, il vescovo Florit chiese a don Mazzi di ritirare la propria solidarietà. Quest’ultimo rifiutò e i rapporti si incrinarono.
Quali erano i principi del Concilio Vaticano II?
Dal 1964 vi erano molteplici idee e valori che intendevano portare la Chiesa alle origini. Implicando, dunque, un Recupero del messaggio evangelico. Ciò significava immaginare una Chiesa al servizio degli ultimi per recuperare il senso della sua missione sulla Terra. All’Isolotto tale messaggio venne accolto dai parrocchiani in maniera radicale e si sposò bene con le istanze operaie di quegli anni. I principi del Concilio miravano a rimpossessarsi del capitale, del lavoro e della terra da parte delle classi sociali meno abbienti, con il sostegno della Chiesa come istituzione. Al contrario, altre tendenze non vedevano la chiesa schierarsi con gli ultimi ma, anzi, con i più forti che intendevano conservare il proprio potere in funzione antirivoluzionaria.
È possibile individuare un momento specifico che ha comportato un indebolimento della comunità?
Ciò che probabilmente ha determinato un indebolimento è stata senza dubbio la divisione del 1969. Tuttavia va considerato anche l’arrivo di una nuova componente della popolazione. Non più operai, disoccupati e nullatenenti: negli anni Settanta e Ottanta il quartiere iniziava a cambiare volto. In parallelo la città si ampliava, saldandosi con la periferia che cessava di essere un’area satellite e che venne inglobata nell’area urbana. Non vi era più discontinuità e l’Isolotto diveniva anch’esso parte integrante di Firenze. Il quartiere così perse la sua autonomia e identità originaria e si trovò a essere popolato da “nuovi arrivi”: una inedita componente impiegatizia o commerciale e non più proletaria. Stava prendendo forma un Isolotto nuovo, diverso da quello del 1954. Il 1969 ha senza dubbio rappresentato uno spartiacque nella storia del quartiere. In quell’anno, infatti, avviene una frattura che condizionerà inesorabilmente il corso degli eventi.
Pierluigi, come avvenne la scissione tra la parrocchia e la Comunità nel 1969?
Florit si fece consegnare le chiavi della chiesa per prenderne possesso. In quel momento fu chiamata a raccolta tutta la comunità. La chiesa era strapiena. Ricordo che ognuno alzò la chiave della propria casa ed esclamò “Prendete anche la mia!”. Fu un momento molto toccante e dimostrò che stava nascendo una nuova fase. La chiesa venne chiusa per nove mesi e da quel momento le assemblee eucaristiche della domenica iniziarono ad essere svolte in piazza. A seguito di quell’esperienza ricevemmo molta solidarietà in quanto le nostre azioni erano in linea con le esigenze dei poveri dell’epoca. La nostra era una scelta evangelica: rappresentare la cacciata dal Tempio con la nostra stessa esistenza. Noi abbiamo fatto la scelta degli ultimi per gli ultimi.
La scelta della comunità fu dunque quella di dare voce a tutte quelle fasce della popolazione che versavano in condizioni di povertà e marginalità sociale?
Esatto. Questo non era un quartiere bene di Firenze, non vi erano bei panorami o iniziative mondane. Era un quartiere di emarginati: coloro che vi abitavano avevano delle esperienze alle spalle di solitudine e sofferenza. Oggi il quartiere è cambiato molto ma la nostra esperienza è rimasta come fondamento di una scelta di vita.
Cosa intende per “scelta di vita”?
Scegliere da che parte stare. Ognuno deve improntare le proprie azioni in base alla propria scelta di vita: o ti schieri con l’oppresso o con l’oppressore, come diceva don Milani. Gli stranieri sono coloro che soffrono, verso i quali si orienta il nostro impegno quotidiano. A quell’epoca il clero fiorentino era diviso: alcuni invitavano a ripensare la propria collocazione nella società, altri intendevano conservare il proprio potere. Don Mazzi, ad esempio, intendeva avvicinare la Chiesa al popolo e a chi soffriva: questa è stata la nostra scelta di vita.
Foto dell’Archivio Storico della Comunità dell’Isolotto