Alla “maniera” del Pontormo

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Il racconto della vita di Jacopo Carrucci detto il Pontormo, tra tormenti e passione

Dal diario di Jacopo Carrucci detto il Pontormo:
“Adì 7 in domenica sera di gennaio 1554 caddi e percossi la spalla e ‘l braccio e stetti male e stetti in casa Bronzino sei dì; poi me ne tornai a casa e stetti male insino a carnovale che fu adì 6 di febraio 1554. Adì 11 marzo 1554 in domenica mattina desinai con Bronzino pollo e vitella e sentiimi bene.”

Rivoluzionario, inquieto, tormentato, ispirato, triste, ipocondriaco, geniale, manierista: ecco la storia di uno degli artisti più illustri del Rinascimento fiorentino.

Maggio 1494, Firenze è in pieno fermento artistico e culturale, il mondo cambia per sempre: la scoperta dell’America spalanca nuovi orizzonti ed ampia le prospettive dell’intero genere umano. Il clima che si respira in città è assolutamente surreale, ogni madre che sta per partorire potrebbe dare alla luce un altro genio, pronto a stupire, ad innovare.

E così succede sulle rive del torrente Orme, a Empoli, precisamente in un quartiere a pochi chilometri dal centro, oggi denominato Pontorme. Questo luogo non troppo distante da Firenze sarà ricordato nel tempo grazie al personaggio più illustre a cui ha dato i natali: Jacopo Carrucci.

Figlio di un artista di cui abbiamo poche tracce e di una donna proveniente da una famiglia di calzolai, il Pontormo resta orfano ad appena 10 anni. Con la morte del padre e, immediatamente dopo, della madre, inizia un calvario emozionale dal cui vortice, il pittore, non uscirà mai.

Il piccolo di 10 anni viene affidato alla nonna e successivamente ad altri parenti lontani, ma il suo talento non resta inosservato, sarà il suo tesoro personale, per sempre.

L’unica notizia che abbiamo del padre è che avrebbe fatto parte dell’illustre bottega del Ghirlandaio, fucina di rinnovamento e rinascita nella Firenze del ‘400: l’abitudine di lavorare in atelier di prestigio sarà ripresa dal Pontormo, che fu allievo di Andrea Del Sarto, ma anche frequentatore dello studio di Leonardo Da Vinci.

Jacopo Carrucci ebbe pochi amici, visse spesso in solitudine, tormentato da una mente contorta e geniale, la sua ossessione fu la voglia di stupire, di cambiare, di riformare.

Fu così che per il Pontormo si delinea un percorso tortuoso, fatto di insuccessi e delusioni. Sebbene godesse della protezione e della considerazione della famiglia Medici, non ebbe mai grandi fortune in vita, probabilmente per il suo carattere crudo e solitario, la critica non lo esaltava ma i colleghi ne riconoscevano la maestria.

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Uno di questi fu particolarmente illustre ed ispirato: Giorgio Vasari ci racconta, nei suoi scritti, che nel 1510 Pontormo stava dipingendo una piccola “Annunciazione” per un amico in visita a Firenze. Questo pittore vedendo l’opera la lodò in grande misura ed il Vasari narra che il Pontormo “ne menò gran vanto”.

Il nome di questo ammiratore speciale era Raffaello Sanzio, questo testimonia come per l’artista di Pontorme, allora appena sedicenne, si prospettasse un futuro di gloria e fama.

Invece fu lo stesso Giorgio Vasari a stroncare il ricordo di Jacopo Carrucci, lo storico fiorentino scrisse di lui:

“Si travagliava il cervello che era una compassione, guastando e rifacendo oggi quello che aveva fatto ieri.”

Il Pontormo aveva esagerato, la ricerca costante della perfezione, l’ossessione di superare i maestri, la mania di seppellire i detriti del classicismo, oltre ad averlo portato ad una depressione cronica, isolandosi nelle stanze buie dei sobborghi di Firenze, l’aveva reso poco appetibile alla critica.

L’assillo di creare un suo stile personale, lo portò a trascurare se stesso, cosicché fu letteralmente dimenticato nei secoli a venire, in cui le citazioni di Pontormo furono rare e distratte, fino a che un nuovo vento di cambiamento sconvolse l’arte mondiale e qualcuno si ricordò di lui.

New York, prima metà del ‘900, un saggio di uno storico dell’arte statunitense sta per portare alla ribalta il genio rivoluzionario e manierista di Pontormo, si chiama Frederik Mortimer Clapp, la sua penna darà nuova vita alle opere del pittore fiorentino.

La maturazione di un linguaggio pittorico moderno conduce ad una completa rivalutazione delle avanguardie, ad una riscoperta delle anticipazioni di cambiamento: impressionismo, espressionismo e cubismo avevano sconvolto completamente i canoni dell’arte.

Fu così che la bramosia del Pontormo di spezzare le catene della tradizione rinascimentale, abbandonando l’obbligo di riprodurre fedelmente la realtà tramite l’ideale dell’armonia della natura, fu celebrata ed elevata.

“L’artista della crisi” usciva da quell’oscurità in cui era stato relegato dal Vasari proprio per via delle sue tecniche pittoriche. Le prospettive audaci e bizzarre, i gesti stilizzati e innaturali, le vesti drappeggiate in modo artificioso, i volti solcati di espressioni angosciate e tormentate: agli occhi dei critici del ‘900 tutto ciò era estremamente innovativo ed anticipava le tendenze del futuro.

Per “maniera” già nella letteratura artistica del ‘400 s’intende lo stile di un artista, caratterizzante un periodo, un’epoca. Nella sua solenne opera “Vite”, Giorgio Vasari parla di “maniera moderna” o “grande maniera” descrivendo lo stile dei grandi maestri come Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti, Raffaello Sanzio: i mostri sacri della storia della pittura, inimitabili ed irraggiungibili.

Inimitabili, appunto.

Questi erano i profeti dell’arte, coloro che avevano raggiunto la perfezione superando gli “antichi”, ridefinendo l’ideale di bellezza classico ed apparentemente inavvicinabile.

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Il Vasari consigliava di ispirarsi ai capolavori dei tre geni, ma questa accezione del termine “maniera” non durò per molto, nei secoli a venire i “manieristi” furono coloro che cessarono di trarre ispirazione dall’ideale di armonia della natura tipicamente rinascimentale, per riprodurre imitazioni dello stile dei maestri.

Il manierismo assunse connotazioni negative, indicando il lavoro di artisti che riproducevano sterilmente e banalmente forme altrui, trascurando emozione e sentimento, passione ed originalità.

Ma ecco che con l’avvento del XX secolo il concetto di “manierismo” muta sensibilmente, illuminato da una nuova luce che ne esalta le componenti anticlassiche, sottolinea l’importanza della rottura con i canoni della tradizione: una modernità straordinaria intesa come emancipazione dalle convenzioni coercitive classiche.

Tutto ciò è fenomenale perché non è altro che la vera anticipazione delle avanguardie del XX secolo.

Fu così che Pontormo, uno dei “manieristi” più illustri venne riconosciuto come l’artista tormentato e suburbano, il genio folle ed incompreso, un personaggio fuori dal tempo che ebbe la colpa di vivere in un’epoca non sua.

Negli ultimi due anni di vita tra il 1554 ed il 1556, il Pontormo tenne anche un diario, “Il libro mio”, un quaderno scarno e pieno di appunti di vita quotidiana, da cui emerge la sua personalità bizzarra, ma molto consapevole, il suo io rivoluzionario ma estremamente dotto. Venne sepolto il 2 gennaio 1557 nella cappella di San Luca della basilica della Santissima Annunziata, era vecchio, stanco e deluso: aveva combattuto una guerra che avrebbe vinto soltanto molti anni dopo.