Ci è stato detto che con questa pandemia saremmo diventate persone migliori. Che l’isolamento e l’allontanamento dai nostri cari ci avrebbe portato alla riconsiderazione di questi come fulcro della nostra esistenza. Perché la pandemia ci ha ricordato che siamo esseri gregari, e anche se separati nelle nostre case, abbiamo bisogno dell’altro, degli altri. La pandemia ci ha insegnato che siamo tutti collegati; che non siamo uomini soli ma facciamo parte di una comunità, che il nostro agire condiziona gli altri, a cui dobbiamo dare spazio, cedere, farci da parte, per il bene comune, affinché tutti si salvino.
Ci hanno detto che questo senso di responsabilità connessa all’isolamento e alla riconsiderazione del nostro essere, ci avrebbe maturato, ci avrebbe fatto crescere, diventando quasi come farfalle uscendo una volta dal nostro bozzo. Ma sarà davvero così? Siamo davvero oggi persone, uomini migliori di ieri? Migliori di quel fatidico 13 marzo?
Perché guardando su scala globale, non è del tutto così. E’ stato bello vedere in molti casi come le relazioni non fossero tanto cambiate e come i rapporti si fossero mantenuti nonostante la distanza sociale. Abbiamo escogitato aperitivi via zoom e whatsapp, cene da un balcone all’altro e anche il sesso non c’è mancato attraverso il sexting. Abbiamo instaurato nuovi rapporti via Tinder, ci siamo visti per foto, abbiamo sentito le nostre voci per la prima volta per audio, poi per video, dicendoci che un giorno ci saremmo visti da vicino, speriamo presto.
Siamo stati bravi ad adattarci, ma in realtà tutto questo non ci rende persone migliori. Non saremo migliori usciti dai nostri gusci né tanto meno le relazioni possiamo dire che saranno migliori. La distanza che c’è stata imposta se da un lato c’ha responsabilizzato, dall’altro c’ha immobilizzato. Un immobilismo che parte da dentro, dalla paura di un contagio per cui probabilmente l’amore non ci salverà. La separazione dall’altro è diventata protezione, un atto d’amore verso l’altro ma soprattutto per noi stessi.
L’amore non basta, le carezze possiamo evitarle e sfuggire dai baci. Perché credete che forse potremmo baciarci senza le mascherine? Stringerci per mano senza i guanti? Abbracciarci non pensando di essere contagiati? Perché la pandemia non ha portato alla luce un nuovo tipo di relazione virtuale, ma un vecchio tipo di relazione: una relazione non basata sul corpo, sul contatto e sulla carnalità, ma su un’inclinazione mentale, ideale, riflessiva che ci insegna che non abbiamo bisogno de l contatto, ma che possiamo farne a meno. E per certi versi del contatto bisogna avere paura.
E questo sono i dati a dirlo. Nel nostro paese le violenze domestiche durante il lockdown sono diminuite, ma paradossalmente sono aumentati i femminicidi: il più delle volte un uomo non ha molestato una donna per la paura del contagio, e il più delle volte l’ ha uccisa per la stessa paura. Come il caso di Messina, per cui il marito uccide sua moglie perché lei lavorava in ospedale.
In Cina dopo il lockdown la gente continua a vivere isolata e soprattutto i casi di divorzi sono aumentati per lo stesso problema: l’isolamento non ha prodotto l’idea di non poter vivere senza l’altro, il contrario, che possiamo vivere senza. E soprattutto l’isolamento ha portato ad una crescita accelerata di malattie mentali: 8 persone su 10 vivono con attacchi di panico, ansia, depressione. Questi portano progressivamente ad un allentamento del proprio partner. Anche in Italia le statistiche confermano questi dati per cui circa il 50% della popolazione sarà potenzialmente depressa.
La depressione, l’ansia di per sé non facilitano i rapporti: il depresso vive di per sé in profondo isolamento con una grande paura delle relazioni. Una paura che diventa terrore quando avviene un tentativo di approccio, che sia virtuale o carnale, in qualsiasi sua specie. E così la scienza ci spiega che anche se siamo uomini gregari, la necessità di dover vivere con gli altri coinvolge le nostre emozioni con una sorta di effetto “sublime”: più sappiamo che ne abbiamo bisogno, più ce ne allontaniamo, sapendo che l’amore non basta e che l’amore non ci salverà.