Dal pranzo al bistrot, passando per gli aperitivi, fino alle cene fine dining di Osteria Ancestrali: quello di Fabrizio Bartoli e Martina Morelli è uno dei ristoranti più F.U.C.K. della Toscana.
Everything in Its Right Place. Non riesco a smettere di canticchiare questa canzone dei Radiohead (peraltro una delle mie preferite) mentre ripenso al mio soggiorno di qualche settimana fa da Podere Arduino, un locus amoenus dove tutto sta letteralmente “nel posto giusto”. Ma per comprendere e raccontare il presente di Fabrizio Bartoli e Martina Morelli bisogna prima fare un passo indietro, ricostruendo il loro passato.
Podere Arduino, ancora oggi, si trova dov’è sempre stato. Nato sulla Via Bolgherese sotto l’influenza del mar Tirreno e delle colline Toscane, è una distesa verde che per conformazione e filosofia è sinonimo di naturalità selvaggia. I suoi quasi 10 ettari di terreno sono sempre stati coltivati a ortaggi e alberi da frutto, inframmezzati da olivi che campeggiano come colonne a testimoniare una Bolgheri pre-bolgherese, ovvero prima che si scoprisse la possibilità di farvi uno dei vini più importanti del mondo. Il risultato? Un ecosistema equilibrato dove la natura nasce, cresce e si rigenera, e ogni specie, varietà e animale contribuisce al benessere del podere. Dalla terra alla cucina, tutte le materie prime sono interamente coltivate e prodotte nel Podere, per poi essere trasformate nei piatti dell’Osteria Ancestrale grazie al fuoco.
A domare le fiamme ci pensa Fabrizio Bartoli, chef e fattore, ma anche ex-triatleta professionista, geologo e amante della natura in tutte le sue forme. Dopo la sua carriera sportiva – che lo ha portato a guadagnarsi un posto come primo italiano sul podio di una gara della X-Terra World Tour Triathlon – e dopo una serie di spedizioni geologiche e alpinistiche in Himalaya, Fabrizio è tornato nella terra di nonno Arduino per inseguire il suo grande sogno: unire la tradizione agricola toscana a una cucina di alto livello. Ad affiancarlo c’è la General Manager Martina, compagna di vita e di viaggi, nonché primo “imprinting” genuino per tutti gli ospiti di Podere Arduino.
La loro proposta gastronomica – interamente vegetariana e vegana – si articola in colazioni, bistrot, aperitivi e cene fine dining, ma è soprattutto su quest’ultimo aspetto che voglio concentrare questo articolo. Perché – vuoi per l’assenza di gas (una necessità fatta virtù), vuoi per il nuovo progetto di formaggi autoprodotti, vuoi per l’ingresso nel team del valido sommelier Kevin Alberto Galioto, vuoi per tante altre novità – Osteria Ancestrale è stato uno dei migliori ristoranti che ho provato negli ultimi mesi. Ed è anche uno dei ristoranti più F.U.C.K. che abbiamo in Toscana!
Fin dal progetto architettonico dello Studio Q-bic di Firenze, gli spazi recentemente rinnovati del ristorante puntano a creare armonia con la filosofia di Podere Arduino e il territorio circostante attraverso una struttura completamente immersa nel verde. Questo aiuta Osteria Ancestrale a rappresentare la massima espressione dell’unione tra terra e cucina, quella che si definisce una farm to table experience. «Il territorio è la mia fonte primaria d’ispirazione: le colline toscane che vedo ogni giorno dalla nostra azienda agricola, i vigneti che ci circondano, il mare dall’altra parte, la macchia della Maremma, il nostro bosco, dove vado a correre tutti i giorni. Ogni elemento della mia terra è nei piatti che creo», mi ha spiegato con orgoglio Fabrizio quando gli ho chiesto quale fosse l’anima della sua cucina.
Ben presentata e abbinata a una carta vini altrettanto F.U.C.K., tra Toscana, Italia e resto del mondo, l’idea culinaria di Fabrizio Bartoli va oltre lo storytelling delle fiamme, scoppiettando come un fuoco ardente all’interno di due menu degustazione: Archè, “L’essenza della natura”, a evocare la forza primigenia che domina il mondo formulata dai filosofi della scuola di Mileto, e che si traduce in un menu di 4 portate; Physis, “La manifestazione della natura”, il menu da 8 portate in cui si traduce in gusto il concetto filosofico presocratico di Natura. Entrambi i percorsi iniziano con la degustazione di micrortaggi raccolti pochi momenti prima del servizio, da gustare crudi o in pinzimonio con l’olio EVO monovarietale moraiolo del Podere, presentandosi in diverse preparazioni, texture, temperature, tonalità di colore…
Tre, su tutti, i miei piatti preferiti: “Scarpetta”, un ricordo della nonna di Fabrizio a base di salsa di pomodoro, realizzata con la classica base di sedano carota e cipolla, puntinata di olive fresche amarissime, in cui si affonda il pane spezzato con le mani che viene posto al centro del tavolo, ma anche “Finocchio”, un primo piatto che declina tutte le possibilità del finocchio a base di spaghetti Senatore Cappelli integrali, finiti di cuocere su brace, mantecati in crema di cipolle cotte sotto cenere, rifiniti con finocchio di mare marinato, finocchietto selvatico e semi di finocchio, e qualche goccia di susina fermentata a dare freschezza, e ancora “Aglio nero e miele”, un risotto cotto con acqua, mantecato in burro, formaggio misto pecora e capra stagionato un anno e mezzo, quindi gocce di miele e aglio nero.
Un piccolo assaggio di questa cucina circolare, autarchica e ancestrale, che non contempla l’uso di carni e pesci (le uniche proteine animali utilizzate sono quelle delle uova e del latte vaccino, ovino e caprino), e che non li rimpiange in nessuna portata. Né dal punto di vista tecnico né da quello del gusto, come suggeriscono le declinazioni di patata, carota e lattuga servite come secondi, una volta che il fuoco ha sprigionato tutta la loro potenza.
Foto di Lido Vannucchi