La Riapertura dello storico teatro di Firenze con “Promenade de santé”: quando l’amore è una passeggiata.
Tornano gli spettacoli al Teatro Niccolini, il più antico di Firenze e uno dei più antichi d’Europa. Pino Strabioli, Gennaro Cannavacciuolo, Paolo Graziosi, Filippo Timi, Scimone e Sframeli, Ettore Bassi, Paolo Nanni, Carlo Cecchi, Giancarlo Cauteruccio sono solo alcuni protagonisti della stagione in programma da ottobre a dicembre 2021.
La stagione segna il ritorno di Roberto Toni, direttore artistico che ha accolto l’invito del gruppo Polistampa di Mauro Pagliai, attuale proprietario dell’edificio. Il teatro Niccolini, già Teatro del Cocomero nasce nel 1650, quando un gruppo di nobili prese in affitto alcune stanze di palazzo Ughi in via del Cocomero costruendovi il teatro.
Tra i primi spettacoli in programma al Teatro Niccolini abbiamo avuto modo di apprezzare il debutto teatrale del regista cinematografico Giuseppe Piccioni che si è cimentato in una mise en place di “Promenade de santé” – “Passeggiata di salute” – di Nicolas Bedos: “Ho scelto Promenade de santé – Passeggiata di salute di Nicolas Bedos perché è un testo complesso, pieno di insidie e di possibili chiavi di lettura, spiega il regista. Abbastanza aperto per poterne proporre una rappresentazione personale e l’ideale per un regista come me che ama lavorare con gli attori, che vede nel lavoro degli attori e con gli attori il cuore della propria ricerca, così come ho cercato di evidenziare nella mia esperienza cinematografica.”
Gli attori scelti sono Filippo Timi e Lucia Cascino – già protagonisti della fiction “I delitti del Barlume” – che da soli danno vita a uno spettacolo toccante, audace, coraggioso. Una storia d’amore, sull’amore inteso come malattia, contagio, ossessione. Tengono su di sé lo sguardo fisso dello spettatore per circa un’ora, tra una dichiarazione d’amore piena di ironia e di quello che via via diventa uno spogliarello di fragilità e inadeguatezze.
Una patologia da cui nessuno è immune e da cui non esiste vaccino o antidoto. I due protagonisti entrano e escono ciclicamente da una rehab nella quale finiscono per condividere manie, ossessioni e idiosincrasie, in cui mostrano il peggio di sé, ma paradossalmente anche i propri lati migliori, come la spinta verso la risalita e la paura, umanissima paura, di essere inadatti al mondo e agli altri.
Quanto peso dare ai sentimenti? Quanto peso alle paure e alle incertezze? Quanto conta il caos interiore in rapporto a un’altra persona? Sarà l’altro o l’altra capace di capirci, accettarci, amarci, accoglierci e assecondarci nonostante e a dispetto di tutto, compreso noi stessi?
Saremo, alla fine, degni di questo amore che capita inatteso e insperato, indesiderato come una caduta accidentale che ci fa perdere l’equilibrio oltre che il senno? Che ci rende più pazzi di ciò che siamo, ma di una pazzia vera, autentica e socialmente accettabile?
Tutti siamo pazzi, ognuno a proprio modo, tutti siamo ‘malati’, spezzati e rattoppati in più punti. Come diceva Hemingway: “il mondo spezza tutti quanti e poi molti sono forti nei punti spezzati” e, in fondo, è proprio in quelle stesse fratture che si annida la luce. Tra ‘malati’ ci si riconosce, ci si identifica in un transfert continuo e reciproco: si ritrova sé stessi negli occhi dell’altro che diventano uno specchio tale che, deformandoci, ci rende più attraenti e accettabili ai nostri stessi occhi.
Trovare qualcuno che ci ama, che ci comprende nel profondo, che non si spaventa nello scoprire quelle manie, quelle ossessioni che tanto ci fanno sentire ‘diversi’ o ‘sbagliati’ agli occhi dei più, ci fa innamorare un po’ anche di noi stessi. Di ciò che siamo: esseri imperfetti, turbati, pazzi, instabili, malati eppure perfettamente sani. L’amore, quando è comprensione così vera, profonda e spontanea, può essere davvero una passeggiata di salute. Una boccata d’ossigeno in mezzo a tanto smog, un luogo in cui sentirsi al riparo, un contesto dal quale non si è mai fuori posto.
Perché, come recita lo spettacolo, non si guarisce mai da sé stessi. Per fortuna.