Riccardo Sinigaglia, quando l’etnica incontra la musica sperimentale

Riccardo Sinigaglia

“Un’azione sperimentale è quella il cui risultato non è prevedibile” diceva John Cage. Riccardo Sinigaglia, in concerto a Pontassieve venerdì 4 febbraio alle 21, è pronto ad offrire uno spettacolo in cui la sperimentazione incontra la musica etnica.

Intervista a Riccardo Sinigaglia, a FUL ha raccontato il suo percorso – cominciato con la musica classica – e ha svelato qualche anticipazione sulla performance di venerdì.

Da cosa nasce la tua passione per la musica sperimentale?
“Da ragazzino ero un appassionato, un maniaco di musica classica. Essendo molto curioso sono arrivato ad ascoltare autori come Stockhausen, restandone tanto affascinato. Ero iscritto alla gioventù musicale e non perdevo un concerto al Conservatorio: per me era come un rito religioso andare il sabato pomeriggio in sala Verdi. Poi mi sono iscritto al corso di musica elettronica dove ho trovato un grande maestro come Angelo Paccagnini, che ha contribuito a farmi innamorare ancora di più di questo mondo.”

Qual è il punto d’incontro ideale fra elettronica e musica etnica?
“La curiosità mi ha spinto anche a scoprire il mondo delle altre culture; è stato molto importante per la mia evoluzione artistica.
La libertà di usare scale non temperate è un primo punto di contatto tra elettronica e etnica. Poi, è anche interessante capire che la musica non è detto che debba avere solo una valenza estetica: io ho sempre sentito un profondo effetto psicofisico, sia nell’ascolto che nella performance.
Con i sintetizzatori posso giocare con filtri e resonance per ottenere gli armonici puri, che sono rapporti matematici perfetti e sono gli stessi armonici che si ottengono con gli strumenti acustici. La scala temperata da luogo a tutti rapporti con numeri caratterizzati dalla virgola seguita da numerosi decimali. Solo il rapporto di ottava è perfetto, ½.”

Venerdì 4 febbraio, a Pontassieve, presenterai la performance “Dall’elettronica all’acustica”. Come si uniscono due mondi così apparentemente distanti?
Ho iniziato suonando il pianoforte. Pur essendo uno strumento acustico, non ha un diretto rapporto con la produzione del suono: si preme un tasto che aziona un meccanismo, e questo lo avvicina molto al concetto degli strumenti elettronici.
Ho sempre sentito l’esigenza di un rapporto più fisico col suono e, oltre a suonare il piano con le mani direttamente sulle corde, ho sempre suonato i flauti a becco e le percussioni dove il suono lo fai con la bocca e le mani.
Il flauto poi è un semplice tubo cavo di legno con dei buchi, eppure dà una grande varietà di possibilità espressive.
Inoltre questi strumenti dimostrano che si può fare musica anche con mezzi economicissimi. Ho un flauto soprano di plastica che costa 7€ e che suona benissimo.
Un tamburo sciamanico si può accarezzare, battere, tamburellare e nella sua semplicità può fare mille suoni”

Riccardo Sinigaglia
Riccardo Sinigaglia. Foto di Valentina Pascarella.

Ad accompagnarti ci sarà Gabin Dabiré, già a tuo fianco nel progetto “Futuro Antico” assieme a Walter Maioli. Che effetto ti ha fatto tornare a suonare insieme?
“Con Gabin e Walter abbiamo sempre mantenuto i contatti e sono sempre felice quando possiamo fare qualcosa insieme, anche perché ci capiamo al volo.
Gabin ha partecipato anche a Correnti Magnetiche e Doubling Rider, altri gruppi successivi al progetto “Futuro Antico”.
È inoltre uscito da poco l’LP “Il suono delle api” di Walter Maioli, a cui partecipiamo entrambi.”

Quanto influisce la pandemia nella preparazione del vostro spettacolo?
“Nel 2020 sono andato in pensione dal Conservatorio e avevo progettato di dedicarmi agli spettacoli live. Avevo già in programma numerose esibizioni in tutta Europa e mi avevano invitato pure in Cina.
Ovviamente è saltato tutto e a questo punto non sono nemmeno sicuro che si tornerà alla precedente normalità, dato che dopo la pandemia si sentono già venti di guerra e se anche questa pericolosa crisi si dovesse risolvere è pronta l’emergenza climatica.”

Che cosa dobbiamo aspettarci?
“Anche se siamo in un momento in cui l’ottimismo scarseggia, la musica ha un grande valore. Per me è molto vicina alla meditazione, è un modo per sentire le energie ed indirizzarle in modo positivo.
In questo anche la musica elettronica ha una grande parentela con quella etnica: serve anche a ripulire la mente e il corpo tramite l’induzione di uno stato di trance in cui arrestare il turbinio di pensieri che contraddistingue la nostra mente.
Un concerto per me è come un viaggio dove si attraversano regioni calme e gradevoli, ma anche posti minacciosi. Con la musica ci abbandoniamo a un flusso di onde energetiche, che si spera lascino anche gli ascoltatori in uno stato psicofisico migliore.”