Il percorso artistico di un artigiano, esplorando mondi, solchi e sottoculture.
“Do it yourself”
DIY. diː aɪ waɪ. Do it yourself. Letteralmente il fai da te. Più prosaicamente: «Se non lo fa nessuno per te stesso, allora rimboccati le maniche e pensaci tu». Classe 1968, Rino Valente trascorre la sua adolescenza e post-adolescenza in una umida Firenze anni ’80 ascoltando trasversalmente ogni genere musicale anglofono possibile: dal primo RAP americano importato e le crew di breaker sotto i portici in Repubblica, passando per la Dark-Wave del Tenax e dei chiodi comprati all’Ultra di Via Nazionale, il trash metal newyorkese e californiano incrociato alla NAIA, fino al suo più grande amore: l’hardcore straight edge americano pesante delle velocità folli e le metriche punk prima, l’ondata emo DIY (ecco che ritorna) e politicamente impegnata successivamente.
Il tatuaggio va di pari passo perché con le sottoculture, e quindi con la musica, si lega da decenni. È un insieme nel macro-insieme. E lui il tatuaggio lo coltiva e ne segue il mutarsi. Trasforma in mestiere la dedizione a un tabù riservato solo ai borderline della società, ai ribelli e ai galeotti e ne cavalca l’onda ritrovandosi in prima linea proprio quando esplode la moda delle riviste patinate e dei VIP, ormai quasi quindici anni fa. Rino nel frattempo lavora nel campo già da quasi dieci con esperienze anche oltreoceano, a San Francisco e Sidney; è di base in uno studio sulla costa toscana, prima di aprire a Pistoia il suo ‘Peek-a-boo’, che è stato per quasi un decennio un punto di riferimento per gli appassionati di mezza Italia.
Il maestro del “Leather Tooling“
Ma ha anche un passato proletario tra Capalle e Campi Bisenzio. Perché i Valente sono una famiglia lavoratrice. Venuti da San Severo di Foggia su una FIAT Seicento bianca in una brutta giornata di Settembre negli anni del boom economico, ritornano al paese solo cinquanta anni di sacrifici dopo. I figli però nascono e crescono qua, nell’hinterland fiorentino – adesso città metropolitana. E per quanto si crogiolerebbe in un finto disprezzo se sentisse parlare di sé in questi termini, la verità è che «Ok, boomer», appartieni comunque a un’altra generazione. Quella generazione nella quale dopo la terza media se non volevi continuare gli studi andavi in fabbrica e il mestiere in qualche maniera doveva entrarti nelle mani e nella testa. Molto spesso il modo era immediato, letterale: chiedete ai trincetti e ai polpastrelli dei modellisti di pelletteria.
Prima che il tatuaggio porti la minestra sul tavolo, per nove anni lavora nove ore al giorno in un laboratorio a Poggio a Caiano dove fa fibbie e accessori per cinture e borselli per Jean Paul Gaultier, tra gli altri. La tecnica tornerà utile più avanti. Si passa al 2010. Adesso nello studio casalingo, tra le librerie traboccanti di centinaia di libri sul tatuaggio e le vetrinette con la collezione di macchinette per tattoo sottochiave, c’è una nuova e ampia scrivania con un piano di marmo che comincia a riempirsi di buffi mazzoli, punte e punteruoli vari. I primi lavori già denotano uno stile e una maestria unica, ed è difficile contemplandoli attribuirli a un neofita nell’arte millenaria dell’incisione su cuoio. Il “Leather Tooling”, appunto, che è stato reso famoso dagli arabeschi degli artigiani di Colorado e Arizona sulle selle del cinema western hollywoodiano già dagli anni ’50 del secolo scorso, ma che è in realtà un’arte antica che risale a quasi ottomila anni fa. Rino Valente comincia inizialmente ad applicare questa tecnica su selle di motociclette custom e bici a scatto-fisso, ma la vera svolta la trova, guarda caso, proprio quando unisce la bravura artigianale direttamente con le icone più classiche e suggestive della sfera del tatuaggio, investendo su quei design che da 30 anni decorano le carni dei suoi clienti. Sempre di pelle si tratta, in fondo.
Un artista artigiano
Portfolio e poggia-braccio personalizzati vengono commissionati incessantemente dai migliori tatuatori mondiali per abbellire i loro studi e le loro postazioni di lavoro. Pezzi unici e irripetibili, realizzati interamente dalla bozza del disegno su carta, alla scelta della migliore pelle italiana e tutti i trattamenti fino al montaggio. La cura nei particolari estetici e nella selezione dei prodotti diventa sempre più attenta, ai limiti del maniacale. Pezzo dopo pezzo i disegni e l’esecuzione migliorano, come se ce ne fosse bisogno, portando i lavori a essere spesso considerati vere e proprie opere di ingegno, maestria e tecnica non solo dal settore che fa riferimento al tatuaggio. Lo step successivo, il lampo di genio, lo si ha quando Valente decide di certificare quel suo lavoro, incorniciando nel legno i pezzi di pelle incisi e lavorati anziché montarli su supporti. Mai nessuno prima di lui aveva deliberatamente trasformato questi prodotti d’artigianato in arte da poter appendere a un muro.
Dal 2017 a oggi mostre a Roma, Firenze, Cantù, La Valletta, Dusseldorf e Valencia. Partendo dal mondo del design del tatuaggio tradizionale americano passando per lo stile giapponese, le sue elaborazioni personali, come sempre è successo nella sua vita, si arricchiscono l’un l’altra e fanno tesoro della commistione. Dai disegni tribali delle tribù del Borneo e della Polinesia francese, fino alla ricerca nei dettagli dei tatuaggi crudi dei carcerati italiani nelle prigioni dell’ottocento, un unicum stilistico trasversale che copre quattro continenti su cinque per riportarlo alla fine ancora alle sue radici, nella sua base operativa di Firenze.
IG: rinovalente_handcraft
Articolo a cura di Pietro Tatini / Foto di Francesco Giancaterino