Nascita, sviluppo, declino e risorgimento di Roscigno Vecchia, il borgo fantasma del Cilento con un solo abitante che oggi richiama turisti da tutto il mondo.
Non è la strada più comoda, ma sicuramente la più rustica e affascinante. Di dislivello in dislivello, fra una buca e un’altra, il manto stradale di Via della Fiera si distende in salita circondato da un’esplosione di tonalità di verde, fra lunghe distese di campi coltivati che si alternano a una vegetazione che cresce rigogliosa anche lontano dalle piantagioni.
Al termine della salita, la conformazione del terreno cambia e si fa pianeggiante. L’erba è tagliata fine, attraversata da sentieri che indicano chiaramente le strade percorribili, ora in macchina ora a piedi. Nonostante gli edifici diroccati, un senso di minuziosa cura e profondo rispetto sembra pervadere questo villaggio (quasi) disabitato, situato nei pressi delle pendici del Monte Pruno, nel Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano: Roscigno Vecchia.
Il piccolo borgo sembra un quadro dipinto prevalentemente con tre colori, il verde, il bianco e l’azzurro. Ha alle spalle una storia tutta contadina, che pare non voler arrendersi allo scorrere del tempo. Figlia di un mondo che non c’è più, Roscigno Vecchia ha trovato un modo alternativo per non cadere nell’oblio, sopravvivere alla contemporaneità ed esercitare un forte richiamo sui turisti che, di anno in anno sempre più numerosi, hanno cominciato a viaggiare verso il borgo di conclamata bellezza anche da oltreoceano.
La brillante idea che ha permesso a Roscigno Vecchia di farsi conoscere anche oltre i confini nazionali affonda le radici nell’autenticità della sua storia. Grazie al minuzioso lavoro della Pro Loco (che si batte per la causa fin dalla sua fondazione, nel 1983) e alla determinazione del suo presidente nonché fondatore Franco Palmieri, è nato infatti, nel 1987, un museo diffuso a cielo aperto che celebra, esibisce e onora il suo grande tesoro, cioè niente di più e niente di meno di ciò che ha caratterizzato per secoli –fino al recente passato- la storia del posto: la civiltà contadina.
La storia di Roscigno, il “paese che cammina”
Chi visita il piccolo borgo scoprirà che Roscigno Vecchia è in realtà il centro della Roscigno di un tempo, la cui estensione complessiva andava ben oltre questa piccola porzione di terreno.
La storia del territorio è longeva, ricca di spunti e curiosità. I primi insediamenti del paese si trovavano più a sud di Roscigno Vecchia e risalgono alla fine dell’anno mille. Le frane, che interessano la zona da oltre 400 anni a causa del territorio carsico, hanno innescato un lento e progressivo spostamento della popolazione verso nord. Infatti, quando per tre volte (prima nel 1600 circa, poi nel 1700 circa e infine all’inizio del 1900) una frana ha distrutto le abitazioni dei contadini, quest’ultimi hanno abbandonato gli insediamenti diroccati e, dopo essersi spostati più a settentrione, hanno ricostruito le nuove case partendo dalle stesse macerie prodotte dalle frane. Proprio per questo motivo gli abitanti dei dintorni hanno cominciato a rivolgersi a Roscigno come al “paese che cammina”.
Il lento peregrinare delle generazioni verso nord è durato moltissimi anni fino a quando, a inizio Novecento, l’intervento delle istituzioni ha cambiato definitivamente le regole del gioco, fissando l’agglomerato in un posto ritenuto sicuro e non più soggetto agli smottamenti del terreno. Così, prima nel 1902 e poi nel 1908, due ordinanze del genio civile obbligarono la popolazione a trasferirsi nell’attuale Roscigno Nuova, alle pendici del Monte Pruno, costringendo la parte antica del paese alla desolazione.
Anche se non tutti gli abitanti hanno seguito quanto disposto dai provvedimenti. Fino all’inizio del nuovo millennio infatti, tre persone hanno continuato ad abitare abusivamente a Roscigno Vecchia, nonostante il divieto di restare. L’ultima residente, l’ex suora Teodora Lorenzo detta Dorina, se n’è andata nel 2000 all’età di 85 anni, rimanendo fino all’ultimo giorno fedele all’umiltà di tutta una vita: in casa illuminava le stanze con una candela, si dissetava alla fontana pubblica in piazza e lavava i panni nei vecchi lavatoi a cielo aperto, nei quali un tempo si serviva tutta la comunità contadina.
Per molti anni ancora dopo il trasloco forzato, nel borgo di Roscigno Vecchia i contadini hanno continuato a coltivare i terreni, grazie all’abbondanza di pozzi che garantivano l’acqua per 365 giorni all’anno; il piccolo borgo ha anche continuato a ospitare gli incontri di agricoltori e allevatori, che portavano qui il loro raccolto e i loro animali per venderli agli acquirenti.
Appassionato fin da bambino di fotografia e incantato da quel fare che oggi definiamo senza esitazione d’altri tempi, Franco Palmieri ha immortalato in preziose diapositive alcuni degli attimi più caratteristici della vita di allora nel centro di Roscigno Vecchia: le compravendite di beni alimentari fra contadini e residenti della zona, la raccolta delle olive fatta a mano, i campi aratri dai buoi e i pranzi della domenica che scivolavano via fra tavolate piene più di persone che di mangiare.
Qualche anno dopo, a inizio anni ‘80, proprio rispolverando queste fotografie Franco ha deciso di rimboccarsi le maniche per valorizzare la storia contadina che indissolubilmente si lega al piccolo borgo del Cilento, fondando la Pro Loco. Mai avrebbe pensato che il Museo della Civiltà Contadina che stava per nascere di lì a poco avrebbe portato Roscigno Vecchia, nel 1998, direttamente fra i patrimoni mondiali dell’Unesco.
La rinascita di Roscigno
Grazie alla meticolosa opera di valorizzazione della propria storia, oggi Roscigno Vecchia è riconosciuta interamente come paese-museo. Se il contributo della Pro Loco resta determinante, la prima persona ad accendere la luce dei riflettori su questo villaggio è stato un giornalista del quotidiano di Napoli Il Mattino, Onorato Volzone, giunto in visita alla località a inizio anni ‘80.
Volzone ha coniato un’altra delle espressioni esemplificative della località cilentana. Stupito dalla frequenza delle frane e dai conseguenti trasferimenti forzati dei cittadini, la definì la “Pompei del Novecento”: come gli abitanti della città sita ai piedi del Vesuvio, anche i roscignoli hanno infatti dovuto fuggire e mettersi al riparo dalla forza della natura.
Ciò che è rimasto dall’ultimo spostamento all’inizio del secolo scorso costituisce oggi il Museo della Civiltà Contadina, dislocato in alcuni vani fra l’ex municipio e la dismessa canonica, fra la Piazza Giovanni Nicotera e la chiesa San Nicola di Bari.
In questo borgo agro-pastorale, gli ambienti adibiti a museo ospitano numerose fotografie di Franco (e non solo le sue), utensili e macchinari di allora che raccontano con la loro spoglia presenza le fatiche dei mestieri di un tempo: la semina, la raccolta a mano delle olive e dell’uva, la produzione 100% naturale del formaggio, della farina e del pane, la lavorazione e la messa a maggese dei campi.
Oltre le attività produttive, le culle dei bambini, i letti di fieno e paglia e i giochi in legno fatti a mano per i più piccoli, rievocano storie di vita trascorse all’insegna dell’umiltà e della semplicità.
Questa realtà così piccola che aveva fatto dell’equilibrio fra uomo, animali e natura la sua ragion d’essere, della lentezza il suo ritmo prediletto e dell’armonia con la natura una filosofia di vita, aveva conquistato, fin dalla tenera età, anche il cuore di un altro bambino che, dopo aver viaggiato a lungo in Italia e nel mondo, si preparava da adulto a fare ritorno a casa e a dare un importante contributo alla rinascita e allo slancio turistico della località campana.
A tu per tu con l’unico abitante abusivo del luogo: Giuseppe Spagnuolo
Neanche oggi Roscigno Vecchia è completamente desolata. Sembra che il cordone ombelicale con chi l’ha conosciuta fin dai primi anni di vita non sia mai stato tagliato: è stato così per Dorina e per gli altri 2 abitanti rimasti nelle loro case fino alla fine dei loro giorni; è stato così per Franco, che sgorga passione ed entusiasmo quando racconta della Roscigno che l’ha sedotto fin da ragazzino.
Ed è stato così anche per Giuseppe Spagnuolo. All’estremità di un edificio, nascosta in uno dei due lati più corti, c’è una piccola rampa di scale, alla fine della quale si trova una vecchia porta color verde sbiadito, quasi appoggiata al muro che delimita il perimetro dell’ingresso. È la porta della sua casa, nella quale vive in compagnia di numerosi gatti.
Giuseppe ha fatto ritorno in Campania nel ‘97. Dal 2001 risiede a Roscigno Vecchia. In tenera età, da Roscigno Nuova percorreva i circa 2 chilometri a piedi per andare a trovare i parenti nella parte più antica del villaggio, intenti a lavorare nei campi. Dopo aver girato l’Italia e il mondo, ha deciso di stabilirsi nel luogo che, più degli altri, lo fa sentire veramente a casa.
Le sue giornate scorrono lente, con la solita routine. La mattina si alza presto, imbocca la strada al contrario rispetto al percorso che faceva quand’era bambino e si dirige a Roscigno Nuova, prima a prendere il caffè, poi al supermercato. Ha il cellulare dallo scorso anno e tre anni fa ha dovuto vivere per un periodo senza corrente. Durante il pomeriggio in genere si ferma nella sede della Pro Loco, distante pochi metri dalla sua abitazione, a chiacchierare con i turisti interessati, ai quali ogni tanto fa anche da cicerone. La sera si rifugia in casa e guarda la televisione fino a tardi.
Giuseppe è convinto che Roscigno Vecchia, situata peraltro su un tratto della Via Silente, potrebbe essere valorizzata molto di più per il turismo, che lui stesso in buona parte ha contribuito a incrementare.
Poche persone hanno fatto grandi cose. Ognuno ha dato un piccolo, grande contributo allo sviluppo del posto che adesso, al pari di altre mete della Campania che non hanno bisogno di presentazioni, è frequentato da turisti provenienti anche da fuori dell’Europa.
Nell’attesa che anche le istituzioni facciano, finalmente, la loro parte per valorizzarla, Roscigno Vecchia è tornata ed è destinata questa volta a rimanere, radicandosi nei ricordi di chi visita il posto, ne parla con parenti, amici e conoscenti e contribuisce così a farla conoscere in tutto il mondo.
Per una volta, il futuro di Roscigno potrebbe non essere in avanti, bensì più indietro: proprio lì, nel suo vecchio borgo, all’insegna di un turismo che gli abitanti di allora avrebbero certamente voluto sostenibile.