Come la pandemia ha influito sull'inquinamento dei nostri mari

pandemia e inquinamento mari

L’Earth Day è la giornata istituita dall’Onu in cui dobbiamo ricordarci che sul nostro pianeta viviamo come ospiti. Durante questo giorno milioni di istituzioni in tutto il mondo si mobilitano creando eventi di promulgazione e sensibilizzazione a tematiche che riguardano l’ambiente che dovremmo “masticare” ogni giorno. Ciò che accade è che invece queste tematiche vengono quasi sempre tralasciate per dare spazio all’unico argomento che da un anno ci viene sottoposto quotidianamente: Covid-19.

Eppure, tematiche come ecologia e sostenibilità sono strettamente collegate al Covid e alla pandemia non solo perché la trasmissione del Coronavirus è facilitata dall’inquinamento, ma perché con la pandemia l’inquinamento ambientale del nostro pianeta sembra aumentare. Se comunque non vogliamo parlare del mondo in generale per pensare che questi problemi possano anche non appartenerci, prendiamo in considerazione allora i dati dell’inquinamento marino dell’istituto Arpat Toscana: secondo gli autori del rapporto, la plastica totale accumulata nel Mar Mediterraneo è stimata nell’ordine di grandezza di 1.178.000 tonnellate, con un possibile range da 53.500 a 3.546.700 tonnellate nei nostri mari.

A inquinarli oggi ci sono anche guanti e mascherine che finiscono nelle reti da pesca. Un danno anche per le attività marittime. Lo ha denunciato già lo scorso anno Fedagripesca Confcooperative che ha raccolto le segnalazioni dei pescatori lungo le coste italiane. “È impressionante la quantità di mascherine e guanti che porto a terra con le mie reti”, racconta all’Ansa Pietro, pescatore del Tirreno. “Va trovata una soluzione – osserva – perché così non possiamo andare avanti”. Secondo un reportage della rivista Internazionale, nel 2040 il flusso di plastica nei nostri oceani sarà triplicato. Questo è dovuto anche alla pandemia che ha dato il via ad un uso esponenziale di materiale uso e getta: “Più cose vengono gettate, più devono essere comprate. Si tratta di un modello d’affari che favorisce l’esistenza di oggetti non durevoli”.

Dati e numeri però non bastano. Per capire come la pandemia ha influito sull’inquinamento dei nostri mari abbiamo intervistato Paolo Bray, fondatore e Direttore della World Sustainability Organization e del programma di certificazione Friend of the Sea.

A quanto si stima l’impatto ambientale della pandemia sui mari italiani?

La pandemia ha avuto due effetti principali sull’ambiente: in una prima e breve fase iniziale a Marzo 2020, a seguito delle prime misure di restrizione, abbiamo assistito ad un “appropriamento di spazi” da parte della fauna acquatica e conseguenti avvistamenti di squali, delfini e capodogli in alcuni porti italiani ed in prossimità delle coste. Questo perché la riduzione del traffico navale, gli scarichi ridotti ed il minor inquinamento dell’aria hanno sicuramente giovato alla qualità delle acque. Il progetto Snapshot, del CNR in Italia, ha evidenziato una riduzione del 30% della presenza del carbonio organico, una sostanza legata alle attività antropiche, nel fiume Arno, in corrispondenza del periodo di lockdown. In un secondo momento, l’aggravarsi della pandemia ha dato vita a una nuova problematica ambientale: la dispersione di mascherine e materiale anti-covid nell’ambiente. Secondo la World Health Organization (WHO) la richiesta mensile globale di mascherine è di circa 89 milioni pezzi, mentre quella di guanti è di circa 76 milioni. Anche se solo l’1% venisse disperso nell’ambiente, ovviamente l’impatto sarebbe insostenibile. La plastica monouso è cresciuta anche attraverso i nuovi servizi di asporto che hanno sostituito la ristorazione classica e l’impennata di acquisti online. I dati del 2018 della sezione Ambiente delle Nazioni Unite dimostrano la criticità della situazione nel Mediterraneo dove ogni anno vengono immesse 570.000 tonnellate di rifiuti di plastica. Si teme che questi numeri possano crescere ulteriormente proprio a causa della pandemia.

Si sta facendo qualcosa a riguardo?

Negli ultimi anni, più volte ci è capitato di sentire la frase “entro il 2050 in mare ci sarà più plastica che pesci”. Gran parte dell’inquinamento marino è causato dalla presenza di micro-granuli di plastica, minuscole particelle rilasciate dagli oggetti che si decompongono, dai saponi e dai cosmetici che finiscono in mare. L’Unione Europea nel 2018 ha adottato la prima strategia sulla plastica con lo scopo di proteggere l’ambiente dall’inquinamento da plastica limitando l’uso di microplastiche e riducendo la produzione di plastica monouso. In particolare, l’Unione si è impegnata ad affrontare il tema della dispersione di rifiuti in mare con nuove disposizioni relative agli impianti portuali di raccolta di rifiuti marini. Le misure previste intendono garantire che i rifiuti generati a bordo di imbarcazioni o raccolti in mare non siano abbandonati, ma riportati a terra e lì adeguatamente gestiti.

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Sono inoltre comprese misure volte a ridurre le spese amministrative che gravano sui porti, le navi e le autorità competenti. L’Unione Europea ha inoltre dichiarato che entro il 2021 entrerà in vigore la direttiva sulla plastica monouso, che vieterà la produzione di numerosi oggetti come posate, cannucce e piatti. In Italia, negli anni, sono state emanate diverse leggi per ridurre l’inquinamento da plastica, a partire dal 2011 con il divieto di utilizzo di buste di plastica per la spesa, a seguire, nel 2018 con la legge che vieta l’uso di uso di sacchetti di plastica per gli alimenti e infine nel 2019 e 2020 dove sono stati vietati rispettivamente l’uso di bastoncini cotonati non biodegradabili e l’uso di microplastiche nei cosmetici.
Occorre tuttavia ricordare che la plastica rappresenta meno del 5% del totale degli inquinanti che generati dall’attività dell’uomo e che raggiungono il mare.

Il maggior contributo deriva dagli scarichi delle acque luride non depurate; il 20% è generato dagli inquinanti presenti nell’atmosfera; un altro 20% dai rifiuti generati dall’agricoltura; per un 10% contribuiscono gli scarichi industriali. La plastica rappresenta circa il 2,5% dei materiali inquinanti e di questa si stima che un 20% circa provenga dall’attività di pesca ed acquacoltura.

Ci sono dei sistemi di prevenzioni che possono essere attuati?

Diversi sono gli accorgimenti che possiamo adottare quotidianamente per contrastare questo andamento. Ovviamente non bisogna disperdere rifiuti, di qualsiasi genere, nell’ambiente, ma riciclarli. E’ anche opportuno cercare di ridurre il proprio consumo di alimenti, beni e servizi ai livelli raccomandati e non oltre. In questo modo ridurremo le emissioni in aria ed in acqua, generati come abbiamo visto dall’agricoltura, dalla produzione industriale e dai trasporti. I nostri acquisti devono essere indirizzati verso prodotti certificati per la loro sostenibilità e rispetto dell’ambiente. Le certificazioni, in particolare quelle di terza parte (cioè non auto-dichiarazioni delle aziende) riducono il rischio che il prodotto sia manufatto in maniera insostenibile per l’ambiente. Alcune certificazioni, come Friend of the Sea e Friend of the Earth verificano, oltre alla sostenibilità della produzione, anche il rispetto dei lavoratori.

Di cosa si occupa Friend of the Sea?

Friend of the Sea è un progetto della World Sustainability Organization, una ONG internazionale che porta avanti una missione umanitaria di tutela ambientale che nel tempo è diventato lo standard di certificazione leader per prodotti e servizi che rispettano e proteggono l’ambiente marino. Ho fondato Friend of the Sea nel 2008 ed attualmente ne dirigo le attività. La missione di Friend of the Sea è quella di proteggere le risorse acquatiche attraverso la promozione di pratiche sostenibili nella pesca, nell’acquacoltura, nella produzione di nutraceutici (integratori alimentari), nelle pratiche di Dolphin e Whale Watching, nel commercio di pesci ornamentali e nel trasporto marittimo. A livello internazionale, Friend of the Sea collabora con gli Stati di tutto il mondo, con l’industria ittica e navale, con gli scienziati, le ONG e il pubblico per promuovere pratiche sostenibili di sfruttamento delle risorse oceaniche e tutela dell’habitat marino, assumendo un ruolo fondamentale nel movimento internazionale per la sostenibilità. Friend of the Sea dedica anche una parte importante del proprio budget a progetti di conservazione e sensibilizzazione, contribuendo così alla protezione delle specie in pericolo.

Quali sono i nuovi dati sulla pesca illegale in Italia?

I dati provenienti dall’Unione Europea sulla pesca illegale nel Mediterraneo sono preoccupanti e dimostrano infatti come il Mar Mediterraneo sia il più sovrasfruttato al mondo. Solamente il 9% degli stock ittici nel Mediterraneo viene pescato in misura sostenibile. Questo vuol dire che alle specie non viene dato il tempo di rigenerarsi e di conseguenza molte popolazioni calano ogni anno. Ad aggravare la situazione si aggiungono pratiche di pesca con strumentazioni che generano un numero insostenibile di prese accessorie di specie a volte in pericolo di estinzione, quali tartarughe, delfini, uccelli marini e squali. A livello globale circa il 20% delle catture in mare (circa 20 milioni di tonnellate) viene pescato in maniera illegale. Secondo alcune stime la pesca illegale nel Mediterraneo raggiunge livelli ancora più preoccupanti, il fino a circa il 40% del pescato.

Cosa certifica Friend of the Sea?

La certificazione premia le pratiche sostenibili nei settori della pesca, dell’acquacoltura e della produzione di olio di pesce e omega 3. Negli anni più recenti, lo scopo della certificazione è stato esteso, al fine di premiare altri prodotti e servizi rispettosi dell’ambiente marino. Friend of the Sea certifica ad esempio, con rigorosi e trasparenti protocolli, creme UV che non impattano le barriere coralline; detergenti rispettosi della qualità delle acque; operatori sostenibili del trasporto marittimo e del dolphin e whale watching. Una lista completa delle certificazioni è disponibile su www.friendofthesea.org Friend of the Sea è l’unico programma di certificazione per la pesca sostenibile riconosciuto e supervisionato a livello internazionale da un ente nazionale di accreditamento. Diversi parametri di riferimento hanno confermato la forza e l’affidabilità della certificazione Friend of the Sea e dei criteri di tracciabilità. Audit annuali vengono condotti in loco da enti di certificazione internazionali indipendenti, previa consultazione con le parti interessate, secondo i rigorosi criteri di sostenibilità ambientale e di responsabilità sociale di Friend of the Sea.
Selezionando prodotti certificati sostenibili nei supermarket o anche nei ristoranti (scaricando la App Sustainable Restaurants ne potrete trovare diversi anche in Toscana) è possibile anche supportare direttamente i loro progetti di conservazione e sensibilizzazione.

Come si fa ad avere la vostra certificazione?

La procedura per ottenere la certificazione prevede alcuni semplici passaggi. La prima fase consiste nella compilazione del modulo di informazioni preliminari (disponibile sul nostro sito) da parte del cliente. Questo modulo ci fornisce tutte le informazioni aziendali necessarie. Successivamente il cliente riceve il contratto di royalty per il logo da Friend of the Sea e un’offerta di audit da parte dell’organismo di certificazione (che effettuerà l’audit). Quindi il cliente firma il contratto di royalty con il logo, sceglie l’organismo di certificazione e concorda la data di verifica. L’organismo di certificazione effettua l’audit e rilascia il certificato. Infine, Friend of the Sea inserisce il nome del cliente e la relazione di audit sul suo sito web. Una volta inviato il logo al cliente, Friend of the Sea inizia attività di marketing, stampa e social media per promuovere l’entrata del cliente nel mondo di Friend of the Sea.

Anche i ristoranti possono partecipare al progetto, sempre che nel loro menu appaia almeno un prodotto certificato. Perché credete che la certificazione possa essere un buon metodo per contrastare l’inquinamento marino e la pesca illegale?

Friend of the Sea è l’unico processo di certificazione sostenibile della pesca riconosciuto e controllato a livello mondiale da un organismo nazionale di accreditamento. Diversi studi di riferimento hanno confermato la forza e l’affidabilità della certificazione Friend of the Sea e della catena di custodia. Il nostro processo di certificazione della pesca e dell’acquacoltura fornisce chiari requisiti di certificazione e una serie di standard volti a rispettare l’ambiente marino e la conservazione delle nostre preziose risorse naturali per le generazioni future. Gli audit annuali sono effettuati in loco da organismi di certificazione internazionali indipendenti in consultazione con gli stakeholders, rispettando i rigorosi criteri di sostenibilità ambientale e responsabilità sociale di Friend of the Sea. Un’ampia gamma di soggetti interessati è invitata a partecipare a consultazioni pubbliche sulle nostre norme in materia di prodotti ittici e viene incoraggiata a fornire i propri contributi in qualsiasi momento. Pertanto, i processi decisionali e di attuazione delle decisioni di Friend of the Sea sono partecipativi, trasparenti e basati sul consenso.

Obiettivi futuri?

Friend of the Sea continuerà il suo impegno nella protezione di risorse acquatiche attraverso la promozione di pratiche sostenibili. Continueremo a sviluppare nuovi standard di sostenibilità e a migliorare quelli attuali adattandoci alle tecnologie emergenti. Un nostro obiettivo è anche quello di guidare l’industria e il mercato verso l’adozione di nuove tecnologie per promuovere e migliorare ulteriormente le pratiche sostenibili. La presenza di Friend of the Sea a livello internazionale, una forte certificazione dei prodotti, i nostri numerosi progetti di conservazione ambientale e un sistema decisionale basato sul consenso, ci permettono di emergere come il marchio di certificazione di sostenibilità leader.

Foto di copertina: anteritalia.org

Foto articolo: Friend of the Sea