Dal 17 marzo fino al 30 aprile alla galleria contemporanea B.east Gallery una mostra alla maniera antica.
Sono trascorsi cinque anni da quando la galleria dello storico dell’arte Yan Blusseau è stata aperta al pubblico: B.east Gallery si conferma essere un florido contenitore per eventi artistici selezionati e curati secondo uno stile, espone e promuove artisti fiorentini e internazionali attivi nel campo dell’arte urbana e della figurazione contemporanea con appuntamenti di notevole interesse.
Tra questi, segnaliamo l’inaugurazione il prossimo 17 marzo 2023 della mostra Paesi: in esposizione (sino al 30 aprile 2023) le nuove opere di Sebastiano Benegiamo, artista diplomato in Pittura all’Accademia di belle arti di Firenze con il maestro Adriano Bimbi, ha conseguito il diploma in specializzazione in arti grafiche presso la scuola Il Bisonte di Firenze con i maestri Manuel Ortega e Vincenzo Burlizzi. Benegiamo si è misurato con varie forme e tecniche di esecuzione, lasciando sempre un segno fortemente intimista. Questo nuovo lavoro è fatto di opere che ricordano la pittura alla maniera antica, di paesaggi che pur essendo veri paesaggi, sono al tempo stesso voce e confessione contemporanei.
Nel catalogo della mostra si trovano testi di Yan Blusseau, del Maestro Emerito della Accademia di Belle Arti di Firenze Adriano Bimbi (ve ne abbiamo parlato qui), della storica e critica d’arte Chiara Gatti, già direttrice del MAN di Nuoro e di Martina Scapigliati (avvocato appassionata d’arte, storica penna del nostro magazine).
Vi raccontiamo la mostra tramite alcuni estratti dei testi in catalogo, per un’anteprima di questa esposizione che non dovete perdere.
YAN BLUSSEAU: “Aprire nel marzo 2023 in una galleria d’arte contemporanea una mostra dedicata al paesaggio può per certi aspetti sorprendere, o per lo meno sembrare anacronistico. Nessuna ambizione rivoluzionaria, nessuna mossa da avanguardisti. Non si vuole fare rumore. I Paesi di Sebastiano Benegiamo sono dei silenzi, spesso anche piccoli, sussurati nell’umiltà della solitudine. […]
Sebastiano Benegiamo fa parte di quegli artisti fiorentini formati all’Accademia delle Belle Arti nelle classi di Adriano Bimbi. Vi approda a 20 anni, mentre si era fin’ora dedicato alla scrittura. Allora dipinge ritratti, anzi, teste. Sono figure in cui manca per l’appunto il tratto, appena fabbricate, fantasmatiche. La linea della sagoma stenta a dividere il dentro dal fuori. Le tonalità che privilegia sono scure, tratte da una palette terrosa. Più che di colore la palette è di materia ed è quella dimensione fango-argillosa a offrire corpo e peso alle sue figure in bilico tra l’essere e il non essere. Sebastiano trattava il suo modello non tanto come “oggetto” quanto come “spazio” la cui essenza era determinata dall’intuizione della sua diffusione.
[…] Sebastiano approda al paesaggio […] passeggia, si immerge nella contemplazione lasciandosi imprimere dall’insieme dello spazio che lo circonda. Solo in un secondo momento, nel suo studio in campagna, dipinge. Lo spazio vissuto ha lasciato una traccia, ed è quella traccia che lui riporta sulla tela. Il meccanismo in fondo non è dissimile a quello della decantazione. Troviamo su alcuni dei suoi lavori una metafora fisica di questa idea. Su diverse delle sue “Vedute” sono presenti residui di elementi vegetali, erbette o fieno. Potremmo romanticamente pensare che queste sono le tracce dell’aperta campagna dove lui dipingeva, residui portati dal vento mentre rappresenta il suo paesaggio “en plein air”. Ma Sebastiano non le ha dipinte “en plein air”, queste “tracce” si sono applicate all’opera mentre asciugava fuori dal suo studio”.
ADRIANO BIMBI: “…Caro Sebastiano […] È un po’ di tempo che non ci frequentiamo, ma certo non mi sono dimenticato della sua “grazia” nascosta dentro la sua “rivolta”. Tutto le è stato contro, ma una cosa così impalpabile come l’anima, vale a dire l’amore per l’arte, le ha fatto da angelo custode. Proprio bello! Nella vita ci si può affidare al lavoro, alla fede, all’amore e a chissà cos’altro: lei all’arte. È la scommessa più rischiosa, non sappiamo cosa sia l’arte e neanche come definirla, tuttavia ne abbiamo necessità come dell’acqua tutti i giorni.
[…] Quante cose appaiono all’orizzonte in quella linea indefinita che divide ciò che si vede da quello che si sente. Allora appare, ma sarebbe meglio dire, s’accende in tutta evidenza la sua tranquilla inquietudine come una sospensione, una tregua dalla spietatezza del vivere, quella antica che lo ha sempre accompagnato.
Paesaggi con le ombre della terra che segnano percorsi improbabili, con le nubi sospese che faticano ad entrare nel cielo e un delicato susseguirsi di carezze a fondere tutto lo spazio circostante. Gli bastano pochi squarci di luce a misurare quello spazio che ha imparato a conoscere e l’ha sposato con tutte le sue promesse.
Ecco la storia così come m’appare da quelle visioni: un’anima da paradiso, se mai ci fosse, quella di Sebastiano”.
CHIARA GATTI: “L’arte contemporanea che riflette sulla pittura come strumento lo fa spesso spaziando nei territori dell’astratto, dell’aniconico. Sebastiano Benegiamo, con scelta volitiva, apparentemente reazionaria, e forse per questo controcorrente, indaga invece un nuovo lessico, ricominciando però dal paesaggio. Un genere classico per sfondare nella sfera del concetto. […] I luoghi di ispirazione sono quelli dell’entroterra toscano, spazio fisico che da anni Benegiamo abita e sperimenta per restituirne, in modo progettuale, una mappatura emotiva, una geografia sentimentale, dove la citazione dichiarata di una lunga letteratura del naturalismo ottocentesco (da Barbizon in avanti) trasfigura nella sintesi della macchia, del “campo di colore”.
[…] La materia-foglio affiora con un valore espressivo che si somma a quello delle crettature, delle microfratture nel colore magro. Le dita sfumano i contorni. La coda del pennello graffia come un bisturi. La tecnica è presa in prestito dall’incisione, che Benegiamo conosce bene nei segreti dell’acquaforte o della puntasecca. E proprio come la punta di metallo che lacera la lastra, così un raschietto asporta spessori per lasciare passare la luce. Sui verdi di Corot si diffonde un senso metafisico di sospensione e attesa. La pittura è il sismografo che registra variazione di stato nel paesaggio. Mai atmosferico, ma mentale. La proiezione di ombre sul terreno è calcolata nell’economia dell’insieme, nel ritmo brachicardico degli affioramenti, nella simmetria fra pieni e vuoti, picchi e cadute, conche e risalite.
[…] Se, come ha scritto Ruggero Savinio, «la pittura è un fatto fisico», riferendosi a una pratica che è sopravvissuta alle revisioni del tempo, dalle caverne al contemporaneo, da Lascaux a Peter Doig, senza mai cambiare nome («continuiamo a chiamare pittura la pittura»), lo si deve al valore permanente dei suoi codici, declinabili in espressioni diverse, ma sempre riconducibili a una sintassi originaria che Benegiamo utilizza in purezza, nel minimalismo di un paesaggio che resta paesaggio, così come la pittura resta pittura, benché sia l’uno che l’altra siano alibi, attivatori estetici, per dare la possibilità a forma e colore di diventare protagonisti”.
MARTINA SCAPIGLIATI: “Dopo essersi a lungo misurato con la figura umana, Benegiamo è approdato al paesaggio come mezzo per esprimere nuove profondità, altre fatalità. Dal nero in cui tanto ha indugiato, è tornato al colore. Strati a togliere, a mettere, incisioni e pennellate come fili di corrente.
Con-fusione di livelli: un unico velo etereo proietta ai margini tutti gli elementi di questi panorami tremolanti, indecisi se appartenere al territorio della luce o a quello dell’ombra. Economia di disegno, soprattutto nostalgica astrazione.
La considerazione da fare per scrivere di Benegiamo e del suo lavoro è che non è possibile prescindere dalla sua vita, dal suo vissuto. Profilo singolare, la sua indole lo ha portato ad essere viaggiatore che sperimenta relazioni profonde con tutto, anche con la Terra, soggetto che ora ripete in modo quasi ossessivo, in una dimensione atmosferica e spaziale di cieli, mari, nubi e materie. […]
Acrilici e pastelli a olio su cartonlegno: le opere non descrivono la realtà ma la dissolvono, allo stesso tempo però rivelano e moltiplicano l’essenza dei suoi personali immaginari, incontaminati.
Questa raccolta di paesaggi naturali, panorami, paesi, potrebbe essere un concreto esempio di sacrificio per l’arte, un’arte che non scende a compromessi al costo di compiere i suoi sbagli.
La sincerità in un mondo insincero diventa oltraggiosa ed eretica, ma è un atto di coraggio”.