50 scatti inediti per i 50 anni del più grande festival musicale della nostra storia
Accadeva 50 anni fa. Il 15 agosto del 1969, le utopie e le speranze degli anni Sessanta diventano realtà esplodendo in quello che è stato e resterà il più grande evento, non solo musicale, di tutti i tempi.
In un prato sconosciuto nella cittadina di Bethel, a nord di New York, arriva la dirompente risposta di una generazione di uomini e di donne, figli di un sogno americano infranto.
E’ l’America macchiata dalle morti di Martin Luther King e Robert Kennedy, dalla guerra in Vietnam, quella delle proteste, delle rivolte studentesche, di una controcultura in nome del pacifismo e della non violenza, l’America dello sbarco sulla luna, dell’ascesa del rock, della summer of love e dei suoi giovani e sbandati hippie.
E proprio su quel prato sconosciuto, accadeva un rito di passaggio epocale dal potente contenuto rivoluzionario, quasi un campo di battaglia ma senza armi, solo la musica di Jimi Hendrix, Janis Joplin, dei Jefferson Airplan, di Joe Mcdonald o Santana che sparava decibel come proiettili impazziti.
In bilico tra racconti leggendari e cinema, il mito di Woodstock e di quello che ha significato la musica di quegli anni, ce lo racconta la fotografa e regista americana Amalie R. Rothschild, attraverso 50 foto di pace, amore e musica.
Lo spazio espositivo del Consiglio Regionale della Toscana intitolato a Carlo Azeglio Ciampi in via dei Pucci 16, ospita dal 3 ottobre al 3 novembre Woodstock e gli altri.
Ideata e curata da Marco Ferri e dalla stessa Rotschild, la mostra è patrocinata dalla XII Florence Biennale, Mostra Internazionale di Arte Contemporanea e Design, dal Consolato degli Stati Uniti di Firenze, dall’Associazione di Amicizia Italia-Israele Prato Pistoia e sponsorizzata da Angelo Pontecorboli Editore.
Si tratta di un tesoro culturale custodito e condiviso, da chi c’era, per commemorare non solo Woodstock ma anche gli altri eventi rock che si tennero nel prepotente e indimenticabile 1969.
Il percorso fotografico si muove partendo dalla prima sala, in cui sono esposti gli scatti, di grande formato, del prima, durante e dopo Woodstock.
Proseguendo, l’obiettivo della macchina fotografica si sposta sugli altri. Momenti in bianco e nero e a colori del Festival di Newport (luglio 1969), quello dell’Isola di Wight con gli Who e Bob Dylan (settembre 1969), il live dei Rolling Stones al Madison Square Garden di New York (novembre 1969) o la ‘’prima’’ dell’opera rock Tommy al Fillmore East di New York.
A questo luogo è dedicata particolare attenzione nella terza ed ultima sala.
Nel locale newyorkese la fotografa-regista, che all’epoca lavorava per la Joshua Light Show, spettacolo di luci liquide e arte psichedelica che facevano da sfondo ai live show, ha catturato le live performances di alcuni nomi come Jimi Hendrix, Joni Mitchell, Elton John e i Grateful Dead, rendendole eterne.
Sangue americano ma radici piantate a Firenze da vent’anni, Amalie Rothschild ha conseguito un BFA (1967) in Graphic Design presso la Rhode Island School of Design, dove ha studiato fotografia con Harry Callahan e ha ottenuto un MFA (1969) in produzione cinematografica presso l’Institute of Film and Television della New York University.
Dal 1968 al 1974 ha lavorato a lungo come fotografa free-lance in campo musicale, guadagnandosi alcune autorevoli vetrine come il The New York Times, Newsweek, Time-Life Books, Life Magazine, The Village Voice, Rolling Stone, After Dark e la lista potrebbe continuare.
La sua attitudine passa anche per il cinema, tanto che alcuni dei suoi lavori sono stati presentati e premiati in occasione di alcuni dei maggiori festival internazionali. Dal 1969 produce e dirige documentari incentrati sul rapporto tra artisti e società come Conversations with Willard Van Dyke e Painting the Town: Illusionistic Murals of Richard Haas.
Il percorso fotografico in cui ci conduce la Rothschild non si guarda solo con gli occhi. Alzi la mano chi, me compresa, osservando queste memorie, un po’ ci sogna e avrebbe voluto esserci, nel caldo agosto del 1969, su quel prato sconosciuto e miracoloso della cittadina di Bethel.
Articolo a cura di Sara Coseglia