Il giovane artista Leonardo Meoni alla prima mostra museale della sua carriera in Italia: fino al 10 ottobre 2024 al Museo Stefano Bardini in mostra una selezione di opere ideate specificamente per le sale espositive del Museo, in stretto dialogo con la collezione dell’antiquario e connoisseur fiorentino.
Quando penso a Leonardo Meoni penso a quel racconto di Raymond Carver, Cattedrale. Penso a quell’uomo cieco che “vede” nel buio chiaramente seguendo con le dita il solo tracciato del disegno: solo così, finalmente, lui riesce a “vedere” una Cattedrale. “[…] “Perfetto, facciamola”. Ha trovato la mia mano, quella con la penna. Ha chiuso la sua mano sulla mia. “Coraggio, fratello, disegna”, ha detto. “Disegna. Vedrai. Io ti vengo dietro. Andrà tutto bene. Comincia subito a fare come ti dico. Vedrai. Disegna”, ha detto il cieco. E così ho cominciato. Prima ho disegnato una specie di scatola che pareva una casa. Poteva essere anche la casa in cui abitavo. Poi ci ho messo sopra un tetto. Alle due estremità del tetto, ho disegnato delle guglie. Roba da matti. […]”
Leonardo Meoni è un artista che scolpisce con i polpastrelli. E’ giovane, non ha ancora compiuto 30 anni. Non dipinge coi colori: le sue tele sono “scavate” nel velluto con le mani. Diciamo che non dipinge e non fa scultura: fa tutti e due. Sono anni che Leonardo lavora così: i primi lavori con questo materiale sono nati agli inizi del 2020, lui era più giovane, più semplici ed elementari i disegni seppure, già allora, traccia di qualcosa di inedito.
L’evoluzione di questo artista è stata grande e questa mostra ne è il prestigioso testimone. Il velluto è un materiale cangevole, certo potrebbero non essere pochi i riferimenti al lusso, al decorativo… ma il suo utilizzo in questo modo è dirompente e contemporaneo: nessuno come Leonardo Meoni ha mai lavorato prima in questo modo con la materia, il colore e aggiungerei: l’aura di una tela e il suo potere immaginifico. In modo sottile, lui sceglie di dare importanza alle cose “nascoste” sotto la trama, le sue sono opere dichiaratamente ANTIPOP. Il titolo della mostra Gli altri colori purtroppo, sono tutti caduti, trae ispirazione da un brano di Cesare Brandi che rievoca la tecnica pittorica dell’affresco, la cui cattiva conservazione provoca la caduta di porzioni di pittura e la comparsa dei disegni preparatori retrostanti.
Meoni non sottrae e neppure addiziona: la materia la sposta. Leonardo sceglie una “tela”, un velluto in particolare, un colore in particolare… e interviene imprimendoci una visione che gioca con luci e chiaroscuri, rendendola tutta una dimensione. Scrive nel comunicato stampa Sergio Risaliti, che cura il progetto organizzato dal Museo Novecento in collaborazione con Amanita, la galleria che lo ha visto crescere e con cui già da tempo collabora a New York: “[…] La sua pratica si lega fortemente a un’indagine sulla percezione, che declina in un originale uso del velluto, un materiale che assorbe la luce e rende la lettura dell’opera ambigua e cangiante, mutando costantemente volto a seconda del punto di osservazione.
Troppa luce e troppa evidenza riducono le capacità cognitive dello sguardo e di pari passo inaridiscono lo spettro delle emozioni, riducendo a una superficiale reazione di fronte alla piatta trasparenza del significante. L’intrinseca ‘oscurità’ del velluto implica quindi un necessario sforzo di adattamento da parte di chi guarda, che viene così invitato a concentrarsi sugli elementi essenziali della composizione. La mancanza di luce assume pertanto una connotazione positiva, obbligando l’osservatore a dedicare del tempo alla contemplazione, al fine di cogliere l’opera nella sua complessa interezza. Meoni rifiuta una lettura e un’interpretazione immediata dell’immagine, preferendo ricercare gli elementi intimi e nascosti della raffigurazione. […]”.
L’artista Leonardo Meoni utilizza proprio i polpastrelli nell’epoca in cui sempre più questi scivolano sugli schermi vitrei dei cellulari, picchiettano sulle tastiere, Leonardo si muove contemporaneo in modo antico, le sale del Museo Bardini accolgono poeticamente questi suoi lavori dai numerosi rimandi. Dal comunicato stampa: “[…] Le sue ‘tele’, si iscrivono in una storia dell’arte italiana che dal rinascimento arriva all’arte povera, dove l’operazione mentale, concettuale dell’ideazione figurativa si concretizza attraverso una speciale e peculiare esecuzione su una materia inedita: nel suo caso il velluto che con certosina perizia quasi da cesellatore trasforma in una sintesi di disegno e scultura, di pittura e bassorilievo. […]”.
“[…] La mostra al Museo Stefano Bardini si articola in diverse sezioni che sviluppano il dialogo tra luce e oscurità. Nella cosiddetta Sala dei soffitti veneziani sono esposte tre grandi opere che indagano i paesaggi pittorici quattrocenteschi. Riprendendo i dettagli paesaggistici degli affreschi di Piero della Francesca e Benozzo Gozzoli, Meoni seleziona gli elementi delle vedute toscane che restituiscono un paesaggio intimo ed essenziale. Il velluto come materiale si presta a questa riflessione per la sua natura cangiante. Le opere in mostra diventano quadri che svelano “macchie” diverse a seconda della direzione in cui sono guardati.
All’interno delle sale al primo piano del museo che si affacciano sull’antistante Piazza de’ Mozzi, l’artista realizza quattro grandi opere di velluto che mascherano ed oscurano le finestre dell’edificio. Privando le sale della luce naturale, lo sguardo viene indirizzato ai dettagli nascosti del museo, della collezione permanente e delle opere di Meoni, esposti nell’ultima sezione della mostra, nel Salone dei Dipinti.
Dall’idea di mascherare le finestre del museo si articolano le opere dell’artista quali “Spengo il sole se chiudo gli occhi”. Tappandosi gli occhi è possibile vedere all’interno di questi, dice Meoni “C’è una mascheratura che viene ripresa da scene contemporanee: un carnevale di Rio, un po’ kitsch, un po’ glam. Mascherare il corpo è comunque qualcosa che riguarda l’oscurità. Un’idea che c’è anche nel salone al primo piano del museo. Al centro del soffitto è possibile vedere la decorazione di un sole che dovrebbe illuminare e portare la luce, ma che diventa il ritratto di una mancanza di luce, di una sottrazione”.
Una mostra da non perdere a Firenze, che conferma l’attenzione del Museo Novecento alle nuove generazioni di artisti e mantiene il suo impegno in un dialogo comunicativo tra l’antico e il contemporaneo.
Leonardo Meoni (Firenze, 1994) ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze e l’Accademia di Belle Arti di Brera e ha partecipato a varie mostre collettive e progetti espositivi, in Italia e all’estero. Lavorando con un approccio fortemente materico, le opere di Leonardo Meoni sono radicate in una corporeità tridimensionale. In stretto contatto con i precetti dell’arte pittorica, del tempo, della rappresentazione e dei gesti, Meoni sfuma empaticamente i confini tra generi e pratiche artistiche esistenti in uno spazio intermedio tra pittura, scultura e disegno, enfatizzando nel suo lavoro la contaminazione di pratiche e concetti diversi verso l’ibridazione universale.
Le opere di Meoni sono il risultato di un gesto performativo. Il velluto viene infatti “pettinato” e fissato in una continua connessione tra il disegno e la scultura. In un gioco materico di spostamento più che di addizione e sottrazione, si aggiunge alla dimensione tridimensionale delle opere di Meoni una temporalità segnata dal movimento dell’artista. Il velluto, assorbendo la luce, restituisce un’immagine ambigua, come una fotografia primordiale in cui il controllo del riflesso è soggetto agli elementi circostanti e non alla precisione del mezzo, creando una figura che si oppone alla interpretazione immediata.
Museo Stefano Bardini
Via dei Renai, 37, 50125 Firenze FI
Orario: Lun-Ven-Sab-Dom | 14:00-20:00
Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura
cover: Michele Monasta.