Il mare della storia è un insieme di piccolissime gocce: ognuna ha vita propria, ognuna racchiude segreti che hanno significato solo se inseriti in un contesto, solo come parte del tutto. Si chiama “microstoria”, qualcuno sostiene che sia la vera essenza del sapere: minuscoli pezzi di un mosaico che l’uomo non smette mai di restaurare. Le curiosità, i pettegolezzi, le dicerie, la tradizione orale, i canti popolari: sono i particolari che fanno la differenza. Gli usi, i costumi, le abitudini: sono le armi con cui il tempo forgia l’uomo.
Dal nostro veliero in viaggio, tuffiamoci nel Seicento fiorentino e scopriamo un’invenzione curiosa, una sorta di antenato di una strategia di marketing. Per tutto il XVI secolo, Firenze è un grande mercato a cielo aperto: dai vicini porti affluiscono prodotti d’ogni genere, la città torna ad essere un vivissimo centro culturale, imperniato sullo scambio d’idee e di merci. L’afflusso di gente e mercanzia genera una domanda di beni primari e non, indispensabili e superflui, per la sopravvivenza e per il vizio: la richiesta s’impenna e l’offerta deve tenere il passo. Lasciatosi alle spalle il tardo Medioevo, in una palude di guerre e carestie, superato il ricordo della terribile peste nera, l’economia riparte, anche nelle campagne intorno a Firenze.
Anche se il motore primario del sistema resta il settore tessile, di cui i fiorentini sono ancora i maestri indiscussi, sulle colline toscane la mezzadria si specializza sempre più nella coltivazione di una pianta antica come il mondo, dalla quale si ottiene il nettare più famoso della storia, cantato dagli egizi ai romani, dai greci ai celti: la vite.
Disse Galileo Galilei: «Il vino è un composto di umore e luce!». Ed è proprio nel periodo in cui vive e opera il grande scopritore dell’universo, che la produzione di vino subisce un’enorme impennata. Perché? La risposta sta nel vento della concorrenza, che spira fortissimo dal Nord Europa. I Paesi Bassi e l’Inghilterra travolgono il mercato della lana e del cotone, con metodi di lavorazione economici e veloci monopolizzano il commercio tessile; l’aristocrazia fiorentina è in ginocchio, la reazione si sfoga in un’inebriante parola: vino. I proprietari terrieri trasformano le loro attività: i grandi latifondi, spesso abbandonati o adibiti al pascolo, diventano distese di chicchi d’uva, arroccati su migliaia di piante disposte in file indiane. Il paesaggio si trasforma ed il commercio subisce una sterzata decisa.
Con centinaia di litri di vino riversati sul mercato locale, le rivendite presenti non bastano più. Non bastano le osterie, né le cosiddette celle, che prevedono la mescita all’avvento del compratore. Servono punti diretti, per uno spaccio veloce, immediato. I fiorentini sono sempre un passo avanti, mercanti astuti e strategici, e infilano una bottega in un buco: nascono i “tabernacoli del vino”. Vere e proprie piccole buchette, speculari alle cantine, hanno una forma a portoncino, con un archetto superiore, generalmente decorato con una cornice con punta a goccia, chiuso da una piccola porta di legno. Affacciandosi, negli orari stabiliti e incisi su lastre di marmo, si possono comprare fiaschetti di vino. Il commercio schizza alle stelle, le buchette diventano presto famose ed attivissime.
Curiosando per le vie di Firenze, ancora oggi si trovano queste misteriose, piccole aperture nelle facciate dei palazzi. Ne troviamo una passeggiando per il quartiere di Santo Spirito, un’altra in Borgo Pinti, altre ancora a Palazzo Antinori ed in via del Giglio, con tanto d’insegna per orari e modalità e via così altre decine e decine sparse per il centro. Ernest Hemingway scrisse: «Il vino è uno dei maggiori segni di civiltà del mondo», Salvador Dalì rispose dicendo «i veri intenditori di vino non bevono: degustano segreti».
Ed ecco spiegate le buchette del vino! E se le riattivassimo? No! I proprietari dei locali si arrabbierebbero, i baristi organizzerebbero una sommossa, le strade di Firenze pullulerebbero di ebbrezza e felicità, eccessiva felicità… forse.
GIANLUCA PARODI
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Dopo i Ciompi si ribellano i baristi: no alle buchette del vino!
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