Percorsi alternativi nel microcosmo di un artista che racconta in modo singolare il proprio personale, espressivo, universo quotidiano.
Enrico Pantani abita un piccolo paese, luminoso e lento della Toscana, Pomarance, dove «Non si vive male, anzi si vive bene. Ti accorgi del tempo e dello spazio, vedi e osservi il cielo…». Da lì, Pantani posa lo sguardo sui margini del mondo rendendolo insolito, quasi metafisico: su tela, carta o cartone, cattura panorami, vecchie fotografie, riflessioni, racconti da bar, nature morte, concetti, freddure, immaginari sessuali… Enrico Pantani riordina il quotidiano con un’elementare tecnica disinvolta, alla prima, evocativa.
Con olio, smalti o acquerelli, l’autore riesce a isolare la realtà in piccoli punti, farla emergere e brillare, crea opere come pagine di un diario che non richiedono selezione o preferenze: a questo ci pensino pure gli altri. I titoli sono parte integrante delle realizzazioni: La tavola di ieri sera – olio e smalti su carta Canson Montval 300gr – Secondo me chi ha inventato il toast è la persona più significativa della storia, oppure Le mie sneakers Valsport e il mio zaino Controradio appena sono entrato in studio erano lì che mi guardavano, si intravede la gamba della sedia Ikea – olio e smalti su tela 40x50cm e ancora: Tuffatore, da una foto misteriosa, collezione privata – olio e smalti su tela 18x24cm – Dipinto sabato pomeriggio, dopo di che ho dovuto riposarmi per un’ora dalla fatica.
Ho parlato con Enrico per telefono, era collegato dalla biblioteca dove lavora, abbiamo accennato alle sue amicizie – il fumettista Gipi, al quale ha dedicato la sua ultima pubblicazione –, alla musica – la recente partecipazione al MiAmi, la collaborazione con Ico e i casi umani –, all’arte – è contrario al prezzolato binomio “gallerista-artista” e alla figura del moderno curatore, ma non a quella di Pietro Gaglianò che, appunto, ha curato alcuni suoi lavori: «Lo ammetto, sono una persona impegnativa e spesso pesante, ma non fingo mai. Per questo ho delle noie, ma vaffanculo, non mi piegherò mai (e qui ci sta una bestemmia a piacere)».
La sua ultima pubblicazione è il libro illustrato Non capisco una sega (Skinnerboox), contenitore sfogliabile di pungenti, paradossali situazioni, dove l’ironia è tutta quella del microcosmo locale «È proprio il bar il vero protagonista delle storie, non tanto per l’ambientazione, quanto per l’utilizzo del linguaggio, sporco e maledettamente intriso di luoghi comuni, minchiate volanti, situazioni inverosimili, cinismo provinciale. Io abito in provincia, disegno la provincia, parlo e penso da provinciale, non avrei potuto in questa fase utilizzare un altro registro». Gli ho rivolto dieci domande, ha risposto così.
Chi è Enrico Pantani?
Enrico Pantani è un prototipo, nato per essere testato. Infatti non ha gli adesivi da gara, solo il necessario, il basilare, la struttura. Una volta testato, viene continuamente modificato per le prove successive. Non so se è chiaro.
Perché hai scelto l’arte?
Ho scelto l’arte perché ho visto una mostra di Picasso nel 1998. Ho iniziato allora a disegnare, poi a usare tele, poi a stampare, a fare sculture di carta, avendo sempre dietro un blocchetto dove appuntare tutto.
Cos’è arte per te, e cosa vuol dire essere artista?
Essere artista non mi riguarda, non mi sento tale. Per molti è più importante sfoggiare l’aria da artista che lavorare. Per me è essenziale solo quello che le mie mani tirano fuori.
Quando, dove e come lavori?
Lavoro sempre, anche quando dormo. Ho uno studio minuscolo in casa, accanto alla camera, di modo che possa raggiungerlo in ogni momento con circa 15 passi. Anche quando passeggio o quando prendo l’aperitivo sto lavorando, ci sono voci attorno a noi che vanno ascoltate, se non altro per capire con chi effettivamente viviamo questo pianeta.
Raccontaci il tuo primo lavoro e anche l’ultimo.
Il primo lavoro sinceramente l’ho rimosso, anche se ricordo di aver disegnato le prime cose con una matita verde acquerellabile. L’ultimo è una natura morta, ovvero la trasposizione in pittura della mia colazione. Ultimamente fotografo la mia colazione appena finita e poi la ridipingo immediatamente, senza sapere perché lo faccio.
E adesso uno che ti sta particolarmente a cuore.
Un lavoro che mi sta molto a cuore non posso descriverlo, perché anche se sono molto rude come persona, alla fine sono molto attaccato ad ogni segmento che disegno. Se poi fossi obbligato a citarne uno, direi tutta la serie di Sviluppi, foto ricordi di quando ero bambino, finiti nel volume edito da Skinnerboox.
Completa: sono bravo a… mi chiedo se…. spero di…
Sono bravo a bere, mi chiedo cosa ci sia dopo la morte, spero un giorno di poter abitare in una casa in riva al mare.
Dove ti trovi adesso?
Mi trovo nel mio paese natìo, Pomarance, un concentrato di ricordi, lentezza, bellezza, lontananza da tutto, chiacchiericcio, aperitivi, bagni al fiume, alienazione, psicodramma, molto landscape.
… E dove vorresti arrivare? Qual è la tua direzione?
New York, Berlino, Mumbai.
Cosa ne pensi di Firenze?
Credevo che nessuno mi avrebbe mai fatto questa domanda. Firenze è la città dove ho fatto l’università, l’ho vissuta tutta, mi ha dato molto di più di quello che le chiedevo, spensieratezza e senso di appartenenza – pur da estraneo –, un posto dove ho amato e sono stato amato, dove ho condiviso una casa con 5/6 pazzi sporchi e indecenti, dove mi sono sentito importante anche solo camminando in via Ghibellina, dove ho iniziato ad apprezzare la letteratura e i beatnik, dove sono stato in curva Fiesole a urlare, un posto indimenticabile e ancora nel mio cuore. “BatiGol”!
Immagini a cura di Enrico Pantani