Incontro con gli architetti di PLS Design che ci svelano i nuovi stimoli per la progettazione.
PLS nasce nel 2002 dalla collaborazione tra gli architetti Lorenzo Perini e Lino Losanno, dopo alcuni anni di lavoro insieme come responsabili del settore retail alla Nardi Associates. Sono esperti riconosciuti a livello internazionale in architettura, restauro e design. Vantano lavori per importanti maison della moda e l’architetto Perini ha recentemente tenuto un corso all’Istituto Europeo di Design dal titolo “Progettazione degli spazi effimeri”. Per FUL è stata l’occasione per visitare il loro studio e chiedere a lui e al collega Mauro Strozzieri cosa sta contaminando l’ideazione dei luoghi che spesso fruiamo, come avventori o consumatori.
Oggi cosa concorre a determinare l’ispirazione per un architetto?
Instagram e Pinterest sono diventati veri e propri contenitori di idee. L’immagine sui social è rinnovata, condivisa e rielaborata in modo impensabile fino a qualche tempo fa. Poi l’arte contemporanea, dai confini sempre più labili con il design, perché quest’ultimo è ormai esso stesso arte. Da non sottovalutare anche l’ispirazione che può arrivare dal cinema, inteso come un mondo dal grande potenziale comunicativo.
Avete un’esperienza internazionale nel settore dei retail di moda. Tecnicamente cosa significa progettare gli “spazi effimeri”?
Ci sono ambienti espositivi o commerciali che hanno la possibilità di essere reinterpretati nel tempo. Ad esempio, a Firenze, la celebre boutique “Luisa Via Roma” realizzata dal noto architetto Claudio Nardi nel 1984. Qui la direzione ha continuamente giocato con installazioni temporanee allo scopo di raccontare una storia o con decorazioni create appositamente per Pitti Uomo. Adesso sempre più velocemente il retail ha l’esigenza di rinnovarsi in maniera determinante, griglie decorative si sovrappongono all’occorrenza, magari seguendo una tendenza o le ultime proposte del Salone del Mobile di Milano.
L’ultimo lavoro importante che avete svolto in città è la progettazione architettonica del Gucci Garden. Non proprio uno “spazio effimero”, giusto?
Non in senso stretto, è pensato per durare… Ma forse non troppo, almeno finché non verrà ripensato di nuovo. Il Palazzo della Mercanzia è vincolato ma internamente abbiamo usato rivestimenti in legno e cartongesso, quindi elementi mobili. Il cambio della direzione creativa di Gucci, da Frida Giannini ad Alessandro Michele, ha portato alla reinterpretazione concettuale del museo. C’è un’area espositiva su due piani che si apre con una boutique di articoli unici: le forme di espressione più moderne della Maison come le nuove denominazioni – “Guccy”, “Guccify” e “Guccification” – nate da hashtag scoperti da Michele su Instagram. Al secondo piano della galleria due sale dalla scenografia che richiama i musei naturalistici e una in cui è possibile ripercorrere la storia della Maison attraverso oggetti e video. Tra le tende di velluto rosso si nasconde anche un auditorium con proiezioni di film sperimentali. Infine, il ristorante dello chef stellato Massimo Bottura.
C’è sempre stata l’esigenza di accompagnare la fruizione dei luoghi con delle sensazioni?
Potremmo fare l’esempio del cinema, c’è stata un’evoluzione dell’esperienza: all’inizio i film erano solo in bianco e nero e muti, poi è stato aggiunto il sonoro e infine il colore. Allo stesso modo nel nostro ambito fino agli ’90 il lighting design era la materia di studio imprescindibile, la luce è essenziale per mostrare al meglio quello che è in esposizione, fosse un negozio o un museo. Poi, dagli anni 2000, è diventato fondamentale abbinare l’audio. La musica, soprattutto per i giovani, è una colonna sonora costante della giornata.
A questo proposito al Gucci Garden è stato creato un canale sensoriale con il suono che l’avventore non capisce da dove arriva. Com’è stato possibile?
Grazie a dei “gioielli” chiamati Lyzard, speakers piccoli come una barretta di cioccolato Kinder, prodotti da un’eccellenza locale quale la K-array. L’azienda con sede nel Mugello ha vantaggi difficilmente riscontrabili in altri marchi, riescono ad abbinare ingegneria sonora ed estetica alla miniaturizzazione, con un’evoluzione incredibile nell’inserimento integrato negli ambienti. Dovevamo creare in un edificio pieno di vincoli architettonici un audio di qualità ma flessibile, data la diversità delle varie sale, ci siamo riusciti con questi speakers quasi invisibili che diffondono un suono avvolgente gestibile da remoto.
L’audio sembra proprio un elemento immancabile.
Oggi, in linea generale, è considerato importante qualunque sia la fruizione del luogo. È scientificamente testato che un bit elevato riduce la presenza nell’ambiente: nelle catene commerciali si trovano canzoni veloci, hit del momento e a volume piuttosto alto. Questo perché l’avventore deve entrare, comprare e uscire velocemente favorendo il ricambio delle presenze. Invece in un ristorante di lusso la musica è di sottofondo, non riconoscibile, perché i sensi si devono concentrare sul cibo.