La tragedia al cantiere Esselunga di via Mariti ci costringe a una riflessione non solo sulle “morti bianche” ma anche sul rapporto della nostra città con i suoi spazi. E delle scelte politiche orientate al beneficio dell’interesse privato rispetto all’uso pubblico.
La città di quarzo è un noto saggio del sociografo e urbanista americano Mike Davis. Pubblicato per la prima volta nel 1990, è stato tradotto e apprezzato in tutto il mondo. Dedicato alle trasformazioni di Los Angeles, si presentò come controcanto alla narrazione ottimistica boomer della rivoluzione urbana negli anni ‘80. La metropoli californiana, simbolo dell’immaginario postmoderno e meta ambita dagli immigrati di ogni etnia, per l’autore era invece diventata una realtà socialmente spaccata, dallo sviluppo disarmonico e sull’orlo dello scoppio di una violenza incontrollabile. Il libro si rivelò drammaticamente profetico: solo due anni dopo la “Città degli Angeli” sarebbe stata teatro di una sanguinosa rivolta razziale, scatenata dall’assoluzione degli agenti di polizia bianchi protagonisti del pestaggio dell’afro-americano Rodney King.
Con le dovute proporzioni, oggi pure Firenze è diventata una “città di quarzo”. Perché, osservando la capitale del Rinascimento, appare come un prisma in cui si rifrangono mille contraddizioni.
C’è la città d’arte che ha creato il suo immaginario internazionale da cartolina e lo spopolamento del centro storico. Ci sono le suites da migliaia d’euro a notte per i turisti più ricchi e il disagio degli studenti che non trovano un alloggio. Ci sono i palazzi eterni ereditati dalla dinastia de’ Medici e un cantiere edile che inghiotte cinque operai in una tempesta di cemento. E poi ci sono i cittadini che di grandi supermercati non ne sentono il bisogno preferendo invece un bel parco. Ha scritto Massimo Franchi su il Manifesto nell’editoriale del 17 febbraio che
«[…] mentre in tutto il mondo si ripensano gli spazi urbani azzerando il consumo di suolo e fermando la deriva dei “non luoghi” come i centri commerciali, il Comune guidato da Renzi e ora da Nardella ha fatto un bell’affare con il pagamento di Esselunga degli oneri di urbanizzazione per costruire. Molto meno lo ha fatto il quartiere che da mesi è alle prese con un cantiere mostruoso che fa tremare i palazzi della zona».
Tornando al saggio di Davis, anche nel caso di Firenze non si poteva non immaginare un finale diverso dalla “violenza incontrollabile”. Qui non si è manifestata a causa delle guerriglia urbana, ma dal bisogno di ridurre i tempi di realizzazione delle grandi opere e dalla logica del profitto a discapito della sicurezza. Poi si profila pure l’aggravante del caporalato e che alcuni di questi lavoratori fossero assunti in maniera irregolare. In fondo, come ha detto il filosofo Srećko Horvat, il sistema economico attuale è più violento di qualsiasi rivolta.
Secondo i dati dell’INAIL in Italia si registrano quasi cinque morti ogni due giorni, oltre 17 ogni settimana, 75 ogni mese. Ma le vittime di incidenti mortali sono solo una parte del dramma, in questa Spoon river del lavoro la magistratura ha sul tavolo ogni anno ben 3.000 dossier per incidenti. Serve quindi una più generale cultura della sicurezza fondata sulla “cura” per lavoratori e aziende, ma serve anche una riflessione sulle grandi opere per la città. La tragedia al cantiere di via Mariti ci costringe a interrogarci sul rapporto della nostra città con i suoi spazi. E delle scelte politiche sempre più orientate a beneficio dell’interesse privato rispetto all’uso pubblico.