“Pigliare occhi, per avere la mente”: il Giudizio Universale di Bosoletti a Firenze

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Un murale a sei facciate si snoda tra le Case popolari del Galluzzo per celebrare l’inesauribile immaginario partorito nei secoli dall’opera di Dante.

Tra i tanti grandi muri che negli ultimi tempi ne hanno ornato la superficie, c’è anche un’opera che lascia un’impronta profonda su Firenze. Il Giudizio universale di Bosoletti è nato in occasione delle celebrazioni per i 700 anni dalla morte di Dante e si dipana su sei facciate alle Case minime del Galluzzo.

Non un altro grande ritratto, dal retrogusto istituzionale, che finisce per celebrare solo l’immagine dell’uomo, appiattendo su questa la vastità dell’opera e la potenza dei suoi messaggi, ma un racconto che si basa e assieme celebra l’immaginario collettivo generato dai versi del Sommo Poeta. Un omaggio mediato e per questo ancora più intenso, una composizione nuova che celebra la forza poietica dell’opera dantesca, entra nella sua scia e si pone a sua testimonianza. Scrive Bosoletti: «Il viaggio, il naufragio, lo smarrimento nella selva, la salvezza grazie all’amore, hanno potuto costituire il linguaggio di chi, scampato agli orrori più indicibili, ha sentito incombente il bisogno di trovare le parole per descrivere l’inaudito (Primo Levi)».

Francisco Bosoletti è un artista nato e cresciuto ad Armstrong, un piccolo paesino della provincia di Santa Fe, in Argentina, ma da anni vive in Italia, tra Napoli e Firenze. Grazie al suo stile unico e senza tempo, classico, ma al contempo meticcio, e alla potenza evocativa dei suoi soggetti si sta affermando tra gli artisti murali più apprezzati a livello internazionale e ha realizzato opere in diverse parti del mondo. A giusta ragione si definisce un pittore e infatti risulta difficilmente collocabile in quella che è stata chiamata street art.

A Firenze ha cercato a lungo il luogo adatto per il suo Giudizio Universale fino che non è giunto in una strada le cui case si aprono in modo irregolare a creare una sorta di piccola piazza. Sei facciate uguali tra loro, ma sparse come delle carte gettate su un tavolo, un gioco di specchi che può rompere l’abituale ritmo nell’incedere del passante. L’opera si inserisce in questa confusione e la alimenta, ma in modo discreto senza imporsi allo sguardo: la scala di grigi, usata abitualmente dall’artista, e la mancanza di figure che spiccano sulle altre la fanno passare quasi inosservata a uno sguardo distratto. 

Una volta notata però rischia di divenire magnetica. Immersi al centro di queste facciate ci troviamo spaesati, non sappiamo scegliere da quale iniziare, se ce ne sia una più importante e in che modo muoverci al loro interno. Perfino il nostro giudizio estetico fatica ad emergere, come e ancor più sommersa resta la traccia per scovarvi un significato. Un’opera che non vuole piacere a tutti i costi, che non fornisce facili interpretazioni, ma invita invece a trascorrerci del tempo, osservarla, anzi leggerla. Uno sforzo ermeneutico che contiene già al suo interno il valore, al di là dell’esito al quale giungerà. «Pigliare occhi, per aver la mente» scriveva Dante e probabilmente è questo l’eterno compito di ogni forma d’arte.

Per Bosoletti «Corde invincibili legano i sommersi e i salvati, i corpi nella loro nudità sono indistinguibili, i ruoli possono cambiare, l’azione di vedere costruisce la dignità morale dell’uomo.» Così l’occhio un po’ assopito fa breccia nella patina del tramonto estivo e le figure emergono dallo sfondo: le onde del mare, i migranti, la foresta, le corde delle navi, i legami che ci uniscono o i fili che ci muovono come marionette, un gesto d’aiuto o di violenza, l’infinita lotta del sopraffarci a vicenda o lo sforzo collettivo e solidale per raggiungere il sogno della bellezza?

Nel venire a galla queste immagini portano con sé delle domande che ci toccano nel profondo e ci spingono a riflettere tanto sulle persone che vogliamo essere e sulla vita che aspiriamo a condurre quanto sul tipo di società e di mondo nei quali desideriamo vivere. Il movimento verticale di alcune facciate rende così ancora più pressante il bisogno di emanciparci da certi atteggiamenti, abitudini e comportamenti e l’anelito a raggiungere una condizione individuale costantemente migliore, in un cammino senza fine. Nessun giudizio universale, nessuna apocatastasi, ma una liberazione da compiere col corpo, in questa vita, qui e ora. E insieme, perché per superare certe brutture delle nostre società è necessario comprendere nel profondo il legame che ci lega agli altri e alla natura. Il nostro benessere individuale è veramente tale solo se viene parimenti garantito quello di tutte le altre persone e viene tutelato l’ambiente. Di fronte a certe sfide che ci pone la contemporaneità – pensiamo al cambiamento climatico – verosimilmente ci salveremo o affonderemo tutti insieme.

L’opera di Bosoletti, come e ancor più quella di Dante, parla al contempo a un io e a un noi. Rompendo la gradualità della scala di grigi non solo rappresenta, ma sembra porci davanti a un bivio netto: l’abbrutimento o l’elevazione. Una scelta che devono affrontare anche le istituzioni nella gestione delle città, perché l’ambiente urbano che ci circonda e nel quale trascorriamo pressoché l’interezza della nostre vite ha degli effetti su di noi tanto significativi, quanto rimossi sia dai nostri pensieri che dalle agende politiche. 

La realizzazione di quest’opera a Firenze potrebbe essere un passo nella direzione di una diversa idea di arte smarcata da una parte dall’esclusivo interesse per la tutela e valorizzazione del patrimonio artistico del passato (spesso solo finalizzate alla sua mercificazione), dall’altra dall’eccessiva simpatia nei confronti di un’arte contemporanea e di una street art solamente ornamentali e didascaliche. «Pigliare occhi, per aver la mente» e magari anche il cuore.

Foto di Francisco Bosoletti