A Volterra, fino al 3 novembre, in mostra le serigrafie dell’artista di Bristol che raccontano come ci è stato rubato il futuro dal capitalismo.
NO FUTURE è il titolo del graffito che Bansky ha realizzato nel 2010 su un muro di Southampton: un bambino imbronciato è seduto per terra, tiene stretto tra le mani un palloncino la cui rotondità diventa una perfetta O circolare dal tratto rosso, la O di NO FUTURE.
Nessun futuro per Banksy che, come un fantasma, si muove nell’anonimato, da sempre nascondendo la propria identità. E’ il più celebre degli street artist viventi e fa parte degli artisti che tutti conoscono, assieme a nomi come quelli di Picasso, Van Gogh… la sua è una produzione contemporanea di pittura antagonista, si muove per immagini rendendole icone, ne stravolge il senso per offrirne di nuovi, per lo più inquietanti. Affronta il presente come è: nel suo lavoro non c’è passato, non c’è futuro, solo una rassegna di cruda adesione alla realtà in salsa ironica, condita di amarezza.
Ha inaugurato al Centro Studi Espositivo Santa Maria Maddalena di Volterra il 18 marzo scorso (fino al 3 novembre 2024) la mostra “Banksy – Realismo capitalista”, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra, con la curatela scientifica di Stefano Antonelli e Ginaluca Marziani. E’ una mostra atipica perché Banksy è artista di strada, i muri o le fermate degli autobus sono il suo terreno di espressione privilegiato: Writing graffiti is about the most honest way you can be an artist. It takes no money to do it, you don’t need ad education to understand it, there’s no admission fee and bus stops are far more interesting and useful places to have pictures than in museums (Banksy, Banging Your Head Against a Brick Wall, 2001). La sua è un’arte fuori dai musei, dalle gallerie, così accessibile a tutti, fuori dalle logiche consumistiche del mercato, del collezionismo… ma, ecco, l’occasione della mostra qui a Volterra è quella per comprendere che la produzione di Banksy non è solo di strada, anche quella di studio, ed è cospicua.
Così il graffitista strizza l’occhio al collezionismo snob e vorace del collezionismo mondiale, all’artworld ufficiale ed elitario, per colpirlo con i suoi stessi strumenti, come fece nel 2018 all’asta milionaria di Sotheby’s a Londra, quando distrusse la versione su tela della celebre aggiudicata “Girl With Balloon” facendola distruggere da un trita documenti. Il titolo della mostra è preso da un testo del filosofo britannico Mark Fisher: per come lo concepisco io, il realismo capitalista non può restare confinato alle arti o ai meccanismi semipropagandistici della pubblicità, è più un’atmosfera che pervade e condiziona non solo la produzione culturale ma anche il modo in cui vengono regolati il lavoro e l’educazione, e che agisce come una specie di barriera invisibile che limita tanto il pensiero quanto l’azione (Mark Fisher, Capitalist Realism: Is There No Alternative? 2009)
Tra il 1998 e il 2009 l’artista britannico ha esposto in 36 mostre documentate, con opere che presentavano istanze pubbliche identiche a quelle portate sui muri. A Volterra sono esposte numerose serigrafie che arrivano dalle più importanti collezioni private, anche britanniche: il progetto espositivo, ogni opera, documento o materiale presente in catalogo, sono stati supervisionati, verificati per accuratezza ed autenticità e approvati per conto di Banksy da Pest Control Office ltd, l’unico canale ufficiale, creato nel 2009 dallo stesso artista, che garantisce l’autenticità delle opere.
“E’ più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo” recita la provocazione attribuita a Frederic Jameson (o Slavoj Žižek) ed è con questa citazione che inizia il percorso espositivo. Due le sale dedicate: nella prima sono esposte le numerose serigrafie, nella seconda una sala video. Le origini: i graffiti di New York (in mostra le fotografie della leggendaria Martha Cooper) e il Punk (il segno più conosciuto di Banksy, quel tratto bianconero piuttosto grezzo, si dice venga dai lavori di Jamie Reid, graphic designer salito agli onori della croncaca per le copertine dei Sex Pistols, a cui l’artista britannico ha da sempre tratto ispirazione).
Ecco l’arte di Banksy: alla radice delle sue opere il costante riferimento al movimento filosofico e sociologico del Situazionismo del Novecento, al concetto di détournement (in italiano deviazione, distrazione): pratica politico-artistica con cui si decontestualizza un’opera cristallizzata nella memoria per inserirla in un contesto nuovo, manipolandola, collocando elementi che ne mettono in crisi il significato: la Virgin Mary (Toxic Mary) (2003) riprende una Madonna con Bambino in classico stile rinascimentale, Banksy rielabora l’immagine aggiungendo un biberon con su il simbolo del veleno, che la madre porge verso il figlio piccolo, Napalm (Can’t beat that feeling) (2004) colloca al centro dell’opera la fuga dalla città di Trảng Bàng della giovane Phan Thi Kim Phuc ustionata dal napalm dopo un bombardamento dell’esercito americano: nella versione dell’artista britannico, la bambina è vicina a deu icone della cultura americana, Topolino e Ronald Mc Donald, e ancora il Flower Thrower di Love Is In The Air (2003), mette in discussione tutto, così come Queen Vic (2003) che rappresenta in modo destabilizzante la conservatrice Regina Vittoria in versione lesbica, con reggicalze e stivali neri di pelle, impegnata in un “queening” che la vede seduta “regalmente” sul volto di un’altra donna (la stessa Queen che dichiarò l’impossibilità per le donne di essere gay approvando di fatto leggi contro l’omosessualità).
E ancora Bomb Love – Bomb Hugger (2003): una bambina abbraccia una bomba come fosse un orsacchiotto durante le manifestazioni in gran Bretagna per criticare l’intervento con gli USA contro l’Iraq. E poi ratti, topi dappertutto, che infestano anche l’allestimento, scimmie che ci ricordano: Laugh now, but one day we’ll be in charge, forze dell’ordine, capitalismo, distruzione. Il catalogo della mostra raccoglie testi critici di notevole interesse, senza dubbio una delle cose belle dell’esposizione è anche quello. Il video di Dismaland (2015) è esemplare e da vedere: “un parco a tema familiare non adatto ai bambini”. E 10 anni prima, invece, Banksy si misurava con Santa’s Ghetto, la mostra di beneficienza realizzata in favore della Palestina, terra che tocca nel profondo i sentimenti dell’artista e teatro di un genocidio tragicamente ancora attuale…
Qualsiasi mostra dedicata a Banksy ha senza dubbio un indiscutibile valore documentaristico, consentendo di riflettere sugli infiniti temi e contraddizioni che attraversano la nostra società e quindi la sua arte, le sue opere somigliano a testi militanti. Il vero Banksy però, resta quello libero e imprendibile delle strade metropolitane: “Se ripeti una bugia abbastanza volte diventa verità politica” (Banksy, scritta su muro).
In copertina: Girl with balloon 2005 cm. 70 x 50_0104