Fino al 1 maggio 2023, il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato ospita la mostra dell’artista Massimo Bartolini.
Si apre così un nuovo capitolo del ciclo di monografie che il Centro Luigi Pecci organizza annualmente per presentare al pubblico l’opera di artisti e artiste italiane: con Massimo Bartolini. L’artista toscano ha da sempre usato diversi media espressivi, focalizzando la sua attenzione sulla progettazione di elementi che stimolano la nostra percezione e che riescono a trasformare lo spazio. La carriera artistica di Bartolini parte da Firenze, dall’Accademia di Belle Arti, e arriva ben presto in tutta Europa. Da GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea a Torino (nel 2005) al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato (nel 2003), fino alla Fondazione di Serralves (Museo d’Arte Contemporanea di Porto, nel 2007). L’artista toscano prende parte anche a numerose manifestazioni internazionali come Manifesta 4 (Francoforte, 2002), la seconda Biennale di Santa Fe (1997), la Biennale di Venezia (nel 2005 e nel 1999), la Triennale di Yokohama (nel 2011), e l’anno successivo è al dOCUMENTA (13) a Kassel.
La mostra – a cura di Luca Cerizza con Elena Magini e realizzata in partnership con Intesa Sanpaolo – si sviluppa attorno a una nuova installazione (la più grande mai realizzata dall’artista) creata appositamente per gli spazi del museo e che propone una sorta di nuova spina dorsale che guida lo spettatore alla scoperta di opere appartenenti a momenti diversi della sua carriera. Un itinerario fatto di incontri sorprendenti e rivelatori, che prescindono dal carattere retrospettivo e dall’organizzazione cronologica e tematica.
Tutto ha inizio in Giappone, da una nota pièce del teatro Noh giapponese, una forma teatrale tradizionale, nata in Giappone intorno al XIV secolo, caratterizzata dall’uso di maschere e abiti folkloristici, nonché dalla quasi totale assenza di scenografia. Tale espressione teatrale prevede una serie di movimenti molto lenti e aggraziati accompagnati da un canto gutturale e da strumenti a fiato e a percussioni e racconta di antiche storie e leggende, con forti riferimenti alla spiritualità.
L’opera racconta la storia di un pescatore che un giorno trova l’hagoromo, il manto di piume della tennin, uno spirito celeste femminile di sovrannaturale bellezza. Alla richiesta dello spirito di avere indietro il manto senza il quale non sarebbe potuta tornare in cielo, il pescatore risponde di volerla prima vedere danzare. Lei accetta e mentre danza il coro spiega che i suoi movimenti simboleggiano il quotidiano mutare della luna. Alla fine della sua danza, la tennin scompare, come una montagna lentamente nascosta dalla nebbia.
Ma Hagoromo (1989) è anche il titolo di quella che Bartolini considera la sua prima opera matura: all’interno del suo vecchio studio, su un palco illuminato, un musicista improvvisa una musica per sassofono. Una danzatrice reagisce alla musica, muovendosi dentro un parallelepipedo su ruote, che ha le sembianze di una minuscola unità abitativa.
In questa performance sono già anticipati alcuni dei temi e dei caratteri che accompagnano ancora oggi la sua ricerca: la dimensione narrativa, che si sviluppa a partire da omaggi e riferimenti ad altre storie, opere e biografie; il rapporto con la dimensione architettonica e spaziale; la relazione con la dimensione teatrale e performativa, anche attraverso l’uso del suono e della musica; la delineazione all’interno dell’opera di rapporti tra opposti apparentemente inconciliabili.
Hagoromo è, inoltre, la più ampia pubblicazione mai dedicata all’artista toscano, in cui appare in tutto il suo splendore il ricco apparato iconografico che illustra il percorso dell’artista accompagnato da notizie bibliografiche. A cura di Luca Cerizza e Cristiana Perrella, e pubblicato da NERO, il volume (dal titolo, appunto, Hagoromo: Massimo Bartolini 1989-2022) è un progetto realizzato grazie al sostegno dell’Italian Council (X edizione 2021), il programma di promozione internazionale dell’arte italiana della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.
Un’opera quindi imperdibile e affascinante, quella di Bartolini, che ha inizio da lontano (radicandosi nella mitologia giapponese) e che unisce passato e presente, luce e ombra, musica e spazio. Uno spazio protagonista di tutte le opere di Bartolini, nate dall’indagine dei sistemi percettivi, fisici e relazionali del fruitore. Quello spazio, occupato, creato o modificato dall’artista, che trascende il luogo fisico, reale e architettonicamente definito, per arrivare alla dimensione intima ed emotiva.
Foto a cura del Centro Pecci Prato