Le foto di Gianmarco Rescigno sulla manifestazione a Firenze del 30 ottobre scorso contro l’ultimo D.P.C.M. sul Covid-19 – convocata da un manifesto “Fate girare Firenze” – presto trasformatasi in una guerriglia urbana – ci ha spinto ad una riflessione più ampia. In Italia come all’estero abbiamo visto una saldatura tra negazionisti ed estrema destra.
Di fronte alle varie manifestazioni che il fenomeno del negazionismo anti Covid-19 assume, siano esse di piazza o semplicemente dei commenti su internet, viene naturale reagire con sbigottimento. Poi, al loro persistere e intensificarsi, con la ricerca di spiegazioni che sono solo parzialmente utili: l’analfabetismo funzionale, l’ignoranza, i bias cognitivi, i social network, la semplice stupidità.
Non si vede infatti per quale motivo oggi queste debbano avere più rilevanza che in passato. A meno che non si introduca un ulteriore elemento che ne aumenti la diffusione, riassumibile nella formula del ‘disadattamento ideologico’.
Quando la coerenza tra l’idea che abbiamo del mondo, del suo funzionamento, del ruolo che pensiamo di ricoprirvi e le nostre condizioni materiali di vita viene a mancare, non si possono che produrre delle fratture che non sono solo psichiche ma anche sociali.
La perdita di fiducia nelle istituzioni, siano esse lo Stato, la medicina, i media, viene pertanto compensata aggrappandosi ad appigli ideologici, non necessariamente coerenti tra di loro.
Capaci però di fornire un sostegno psicologico in un momento di crisi, se non altro adducendo ad un capro espiatorio l’origine di problemi la cui causa reale può essere sfuggevole. E queste fratture costituiscono terreno fertile perché movimenti, per loro natura opportunistici come quelli neofascisti, cerchino di crearsi una base di consenso.
Del resto il proliferare di teorie del complotto legate ad una pandemia non sono una novità. Si è registrato anche in episodi paragonabili, come l’epidemia di influenza spagnola del 1918.
Ma che si tratti di un problema allo stesso tempo più profondo e più generalizzato, che cioè esula dalla contingenza della malattia, ce lo suggeriscono due fatti. Il primo è che teorie della cospirazione più o meno bizzarre si stanno diffondendo a macchia d’olio per lo meno da un decennio. Il secondo è che quanto osserviamo ai nostri giorni riecheggia nei lavori di alcuni osservatori del periodo interbellico. Del resto, oggi come allora, stiamo attraversando una lunga crisi di sistema rispetto alla quale facciamo molta fatica a reagire.
Situazione Fascista.
Quando Karl Polanyi parlava di “situazione fascista”, riferendosi all’Europa degli anni ‘30, lo faceva elencando quelle precondizioni che avrebbero poi favorito l’avvento del fascismo: “filosofie irrazionaliste, il culto estetico della razza, la demagogia anticapitalistica, opinioni monetarie eterodosse, critiche al sistema partitico, denigrazione diffusa del regime [democratico].”
Confrontando questi fenomeni con quanto sta avvenendo negli anni successivi alla Grande Crisi del 2008 sembra di essere di fronte ad un tipico caso di storia che, se non si ripete, di certo fa rima.
Un elenco aggiornato includerebbe numerose teorie della cospirazione: le scie chimiche, QAnon, l’etnonazionalismo, i vari movimenti anti-casta, le più varie idee attorno alla natura e al ruolo della moneta (dalla Modern Monetary Theory alle cripto monete). Infine, l’insofferenza nei confronti della democrazia rappresentativa nelle sue varie forme.
Se le idee che circolano al giorno d’oggi non sono poi così aliene rispetto al passato, che dire del milieu sociale nel quale attecchiscono?
Erich Fromm, un altro osservatore del nazi-fascismo, lo individuava nella ‘classe media inferiore’. La quale consiste di “piccoli artigiani, bottegai e impiegati” e che oggi potrebbe includere quegli esercenti, quelle partite IVA, quei piccolissimi imprenditori che si sentono mancare la terra sotto i piedi. Soggetti intimoriti di scivolare tra le crepe di un’economia e di una società in profonda crisi.
È proprio qui che il ‘disadattamento ideologico’ si manifesta in modo più forte, in virtù di due caratteristiche contraddittorie che convivono e cozzano l’una con l’altra. Ovvero, la propria vulnerabilità economica ed il senso di appartenenza ad una classe che ritiene la stabilità economica un valore nel quale si identifica.
Ed è proprio qui che oggi, non diversamente da ieri, il neofascismo cerca di allargare i propri consensi rispondendo alle domande che il senso d’insicurezza e impotenza genera. Se, tornando a Karl Polanyi, la diagnosi della “situazione fascista” sembra essere tutt’ora utile per interpretare il presente, forse può esserlo anche la terapia che egli raccomandava.
La necessità di un nuovo equilibrio sociale.
Laddove la società capitalistica smette di funzionare in modo inclusivo generando sacche sempre più ampie di malcontento, si affaccia lo spettro di fenomeni regressivi, autoritari e distruttivi. Se vogliamo scongiurare simili rischi dobbiamo far sì che il nostro orizzonte ideologico e le nostre prospettive economiche siano quanto più possibile allineate. Questo richiede di abbandonare la credenza, ormai relegabile all’ambito del pensiero magico, secondo la quale il mercato si autoregoli e trovi un equilibrio socialmente stabile.
Ciò che stiamo vedendo è che il mercato lasciato a sé stesso, alle sue crisi cicliche, alla sua tendenza a polarizzare le ricchezze, produce solo risentimento e instabilità.
Inaugurare una nuova stagione all’insegna della solidarietà e dell’inclusività, accompagnata da politiche pubbliche concrete che ci proiettino verso il futuro affrontando alcuni nodi strutturali cruciali (basti pensare all’idea del Green New Deal), sarebbe lo strumento ideale per ricacciare gli spettri del passato nei libri di storia.
Articolo di Francesco Marrangoni
Foto: Gianmarco Rescigno / La serie è visibile sul nostro libro Firenze 2020